Ognuno ha le perversioni che si può permettere; la mia di oggi  riguarda il Connettivismo (Siemens, Downes).

Sto ripassando i grandi padri di questo nostro mestiere e dò una sbriciatina anche ai figli.

Tra i più nobili, certamente George Siemens e Stephen Dawnes cui si deve la fortunata concettualizzazione di “connettivismo” da loro ritenuta una una teoria dell’apprendimento per l’era digitale.

Non me ne vogliano gli stimatissimi “colleghi” (tra virgolette a segnalare la presunzione di questa auto attribuzione), ma il Connettivismo non è una teoria dell’ apprendimento. Ne per l’era digitale, ne per altre ere precedenti e future.

Vedrò di argomentare questa mia affermazione.

Principi del connettivismo sono (http://www.elearnspace.org/Articles/connectivism.htm):

  • Apprendimento e conoscenza stanno nella diversità delle opinioni
  • L’apprendimento è il processo di connettere nodi o sorgenti di informazione specializzati
  • L’apprendimento può risiedere anche in apparecchiature non umane
  • La capacità di imparare cose nuove è più importante di ciò che è già conosciuto
  • Per facilitare l’apprendimento continuo è necessario alimentare e mantenere connessioni
  • L’abilità fondamentale è quella di vedere connessioni tra campi, idee e concetti
  • Lo scopo delle attività di apprendimento connettiviste è di mantenere aggiornata la conoscenza
  • La presa di decisione è essa stessa un processo. Scegliere cosa imparare e il significato delle informazioni in entrata va visto attraverso le lenti di una realtà in movimento. Una risposta corretta oggi può essere errata domani per i cambiamenti delle informazioni che influenzano la decisione

Qualche altra idea sul Connettivismo presa, spero in modo corretto, dai lavori degli autori:

Il connettivismo è una teoria dell’apprendimento per l’era del digitale ed è basata sulle loro analisi dei limiti delle teorie sull’apprendimento maggiormente accreditate come il comportamentismo, il cognitivismo e il costruttivismo nello spiegare gli effetti delle tecnologie su comportamenti umani come il modo di comunicare e di imparare. D. G. Perrin afferma che la teoria mette assieme degli elementi di numerose teorie dell’apprendimento, elementi delle strutture sociali e usi delle tecnologie  per generare un adeguato costrutto teorico per l’apprendimento nell’era del digitale.

L’apprendimento è il processo di creare connessioni e costruire reti.

Il Connettivismo è, anche, l’integrazione di principi esplorati dalle teorie del caos, del networking, della complessità e dell’auto-organizzazione.

I classici “know-how” e “know-what” (conoscere come e cosa) vanno integrati con il “know where”, la comprensione di dove trovare la conoscenza quando serve e l’imparare ad imparare è più importante dell’apprendimento in quanto tale.

Questi “principi” sono tutt’altro che nuovi: vi ritrovo tutte le concettualizzazioni del costruttivismo sociale, della distribuite cognition di Perkins, della comunità di pratiche di Lave e Wenger, della conceptual knowledge, della cognitive flexibility (Spiro) , oltre che l’intero approccio del Life Long Learning. L’imparare a imparare è un concetto che sento fin dai primi giorni del mio lavoro. Dewy, ben prima che Internet e il World Wide Web esistessero, parlava di Learning Webs. Bereiter e Scardamalia hanno concettualizzato e utilizzato i Learning Circles fin dai primi giorni di internet ….

Insomma …. nulla di nuovo sotto il sole.

Ecco perchè il Connettivismo, più che una vera e propria teoria dell’apprendimento può essere considerato un quadro concettuale organico che mette assieme  differenti teorie dell’apprendimento “pre-tecnologiche”  per descrivere il contesto sociale, cognitivo e tecnico in cui avviene l’apprendimento nell’era del digitale. Pløn Verhagen parla del Connettivismo come di “visione pedagogica” più che di una teoria dell’apprendimento mentre per Bill Kerr le teorie dell’apprendimento esistenti sono in grado di spiegare adeguatamente l’apprendimento nell’era digitale. Concordo pienamente con questi pareri.

Buona l’idea di trovare un nome (un “catch-all name” come dicono gli anglofoni), un’idea che metta assieme in modo organico, sistematizzato, logico, opportuno tanti concetti e tante pratiche nate in momenti storici e culturali tanto diversi. Ottimo come “concetto ombrella” sotto cui mettere tutto questo e per definirlo con una parola sola. Ma non una “teoria dell’apprendimento”.

Ma, allora, se proprio vogliamo trovare dei “concetti-ombrella” , possiamo ricorrere anche al DULP di Carlo Giovannella che mi pare abbia dietro un pensiero più originale e ricco (anche se, come già ebbi modo di dire, il DULP più che un paradigma è il sol dell’avvenir) o al Complex learning tanto caro all’amica-pirata Eleonora Guglielman.

Connettivismo o non connettivismo, mi pare che le pratiche culturali, sociali, di accesso alla conoscenza che si sono imposte in modo non guidato con lo sviluppo e la diffusione delle tecnologie digitali e di internet (es. il social networking nelle sue differenti forme e finalità) possono essere ritenute una conferma empirica delle conoscenze sviluppate in questi due ultimi decenni su come le persone apprendono, cioè in una dimensione sociale, nell’interazione, nella condivisione, in modo situato.

L’esplosione del social networking, certamente favorito dalle tecnologie di rete, dal loro basso costo, dalle loro performance, dalla loro diffusione, sta a testimoniare l’esistenza di una tendenza che potremo definire “spontanea” dell’agire umano che porta a fare uso della rete e delle tecnologie ad essa associate per stabilire relazioni, e anche per apprendere, in modo del tutto nuovo rispetto  quanto esistente nelle epoche pre-digitali. E, non a caso, questi comportamenti provano, se ancora ce ne fosse il bisogno, la plausibilità delle “scoperte” fatte da antropologi, etnologi, psicologi cognitivisti su come le persone apprendono in situazioni reali.

Dire che le persone apprendono, oggi, in modo diverso che nel passato (grazie alle tecnologie) non sta a significare che i meccanismi dell’apprendere siano, oggi, diversi da ieri; vuol semplicemente dire che:

  • con le tecnologie “apprendere in rete” (di persone) è più agevole che nel passato perchè alla rete materiale si è affiancata la rete virtuale;
  • in questo modo la “rete di apprendimento” è più ampia e ricca e può includere persone che vanno oltre la rete geografica accessibile alle normali persone;
  • le “conoscenze” cui si può accedere sono maggiori e diversificate;
  • l’ “esplorazione” di risorse è facilitata e che le risorse stesse sono maggiori;
  • le forme di apprendimento utilizzzabili sono sempre più spesso informali,  “naturali”, cognitivamente ergonomiche;
  • tutto questo mette in azione un apprendimento nel contesto dell’esecuzione delle pratiche sociali e professionali generando un “apprendimento utile”;
  • questo “apprendimento dinamico” è funzionale alla realtà contemporanea.

In breve, le tecnologie digitali e di internet rendono l’apprendimento più agevole e più utile.

Il rovescio della medaglia è che le persone che possono avere accesso a questo “paradiso digitale dell’apprendimento”  sono ancora  poche. Sono quelle che abitano la rete (Giorgio, ti senti fischiare le orecchie?), sono quelle che hanno atteggiamenti e competenze adeguate, che hanno accesso in condizioni “normali” alle tecnologie. Sono, insomma,  i privilegiati. Altro che democraticità della rete …

Concludendo positivamente, dei Nostri ricordo la loro prossima fatica didattica in rete, il corso Personal Learning Environments, Networks, and Knowledge.

Di Stephen Downes ricordo il suo recentissimo apprezzamento del lavoro del “la scuola che funziona” Manifesto degli insegnanti nonchè (narcisisticamente) l’avermi citato una decina di anni fa …..

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9 pensiero su “Perversioni di ferragosto: riflessioni sul Connettivismo”
  1. in tutto ciò sono d'accordo e mi piace sottolineare questo passo"■in questo modo la “rete di apprendimento” è più ampia e ricca e può includere persone che vanno oltre la rete geografica accessibile alle normali persone "…quanto è vero e quanto ora non mi ritengo normale …il problema è far diventare tutti anormali per normalizzare il maggior numero di persone ..distribuire la conoscenza e innescare l'apprendimento a 360° gradi..in questa "anormalità" mi piace sapere che sono in buona compagnia ….mi piace sapere che ci adoperiamo affinchè altri tanti altri rinetrino in questa anormalità..

  2. in tutto ciò sono d'accordo e mi piace sottolineare questo passo"■in questo modo la “rete di apprendimento” è più ampia e ricca e può includere persone che vanno oltre la rete geografica accessibile alle normali persone "…quanto è vero e quanto ora non mi ritengo normale …il problema è far diventare tutti anormali per normalizzare il maggior numero di persone ..distribuire la conoscenza e innescare l'apprendimento​ a 360° gradi..in questa "anormalità" mi piace sapere che sono in buona compagnia ….mi piace sapere che ci adoperiamo affinchè altri tanti altri rinetrino in questa anormalità..

  3. Brevemente, da posizione di fortuna, sperimentando allo stesso tempo
    un Ipad 🙂

    Non entro tanto nel merito del fatto se il connettivismo sia o meno
    una teoria dell’apprendimento. Preferisco pensare a questo tipo di “teorie”
    piuttosto come a delle visioni, o prospettive o scenari, che
    riflettono le conoscenze, i contesti sociali e culturali e anche i
    paradigmi conoscitivi dell’epoca cui appartengono.

    La cristallizzazione del pensiero in teorie è un esercizio accademico
    probabilmente necessario ma molto abusato. La storia della scienza è
    ricca di episodi di ottusità dovuti all’eccessiva fiducia nelle teorie
    preesistenti.

    Concordo con la maggior parte delle cose scritte da Gianni nella sua
    riflessione sul connettivismo. Vorrei però menzionare un paio di elementi
    che cambiano un po’ la prospettiva. Essi sono riconducibili più alla
    visione di Downes piuttosto che a quella di Siemens, che mi sembra
    quella alla quale Gianni faccia maggior riferimento.

    Downes fa un passo indietro e prima di parlare di apprendimento rivede
    (non è certo il primo ma è questo che fa) l’idea di conoscenza, che
    viene vista come una proprietà emergente di alcuni tipi di rete, quali
    per esempio quella neuronale del nostro cervello o quella di Internet.

    Come tale, la conoscenza, non è una cosa che si costruisce bensì una
    cosa che emerge e si sviluppa autonomamente. Ovviamente, nella nostra
    soggettività, noi abbiamo la sensazione di costruire qualcosa e questo
    va bene, ma il fenomeno di acquisizione di conoscenza è ben più esteso
    di quello che ciascuno di noi esperisce. La capacità di acquisire
    conoscenza, in questa visione, è un attributo di qualsiasi essere
    vivente, sia esso un’ameba o una rete di umani.

    Trovo che sia interessante proprio il cambio di prospettiva, perché
    credo che si possano fare dei significativi passi avanti nel
    comprendere l’apprendimento se alfine rinunciamo all’ultima forma
    residua di antropocentrismo, quella che vede l’uomo soggetto che
    studia un mondo fatto oggetto da lui indipendente, come un fotografo
    che non è toccato da ciò che vede nell’obiettivo del suo apparecchio.

    È, in estrema sintesi, lo spostamento paradigmatico che abbiamo
    invocato ormai tante volte, che consiste nel uscire da se stessi, in
    un certo senso, nel mollare la sensazione di centralità del proprio
    punto di vista, nel diventare consapevoli di essere “nodo” di una rete
    estremamente generale alla cui conoscenza generale noi partecipiamo, nell’acquisire sensibilità per la natura viva di qualsiasi rete, da quella dei cicli biochimici in una cellula a quella di una comunità di pratica, che sia o meno in Internet.

  4. in tutto ciò sono d'accordo e mi piace sottolineare questo passo"■in questo modo la “rete di apprendimento” è più ampia e ricca e può includere persone che vanno oltre la rete geografica accessibile alle normali persone "…quanto è vero e quanto ora non mi ritengo normale …il problema è far diventare tutti anormali per normalizzare il maggior numero di persone ..distribuire la conoscenza e innescare l'apprendimento a 360° gradi..in questa "anormalità" mi piace sapere che sono in buona compagnia ….mi piace sapere che ci adoperiamo affinchè altri tanti altri rinetrino in questa anormalità..

  5. Gianni,
    devo confessare che la tua affermazione “dire che le persone apprendono, oggi, in modo diverso che nel passato (grazie alle tecnologie) non sta a significare che i meccanismi dell’apprendere siano, oggi, diversi da ieri” non mi convince del tutto. Almeno se la guardo come (molto modesto) studioso dell’apprendimento e se la comprendo correttamente.
    L’apprendimento, come tu stesso credo riconosca, non riguarda solo la “biologia” dei suoi meccanismi (se ne parli in questo senso), o almeno, non è da questo punto di vista che a uno studioso come noi dovrebbe interessare guardarlo. Gli aspetti rilevanti dovrebbero essere invece quelli più squisitamente culturali e, dunque, proprio il fatto che, come tu stesso dichiari, le persone oggi apprendono in modo (culturalmente) diverso che nel passato.
    Può darsi pure che i meccanismi alla base dell’apprendere siano sempre gli stessi, ma questo, ripeto, non mi pare l’aspetto rilevante per i nostri tentativi e scopi di comprensione.
    L’apprendimento (in una forse troppo semplificata e parziale illustrazione, di cui mi scuso in anticipo) può essere considerato una ‘attività’ che storicamente si esplica nella creazione, più o meno deliberata quando non del tutto spontanea, di ambienti, situazioni e artefatti socio-culturali che, in determinate condizioni e circostanze e in conseguenza di utilizzi efficaci, lo possano motivare, innescare, facilitare, potenziare: così può essere considerata oggi la rete e i suoi strumenti al pari degli strumenti, delle istituzioni e aggregazioni sociali che ci provengono dal lontano passato come il libro, la scuola, i circoli di studio ecc.
    I vari e sempre nuovi intrecci e configurazioni di ambienti/artefatti/situazioni offrono ciascuno un peculiare contesto che, a mio parere, costituisce l’oggetto più interessante e la stessa sostanza dello studio e comprensione dell’apprendimento (situato) umano e ne determinano, in una misura per noi studiosi rilevantissima, i caratteri e l’essenza.
    E questo mi porta a concordare con la visione di Andreas riguardo alle teorie dell’apprendimento.

  6. Grazie Marcello. Letto il tuo contributo e quello di Andreas. Ci ritornrò a breve. Ora sono di corsa …. Grazie per essere entrati nel merito della questione

  7. Sottolineo, invece, "il rovescio della medaglia". La mancanza di accesso alla rete amplifica ancora di più il gap tra digitalizzati e non, trasformando così la Democrazia in rete una pura e semplice utopia.

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