Ovvero, gli effetti cognitivi dell’utilizzo delle tecnologie ipermediali nella formazione basata su web (modello e-learning e learning object).

In un interessante libro edito qualche anno fa (Instructional and Cognitive Impacts of Web-based Education, 2000) ho letto questa curiosa affermazione:

la rappresentazione di conoscenza sul web è come una fetta di formaggio svizzero: ampia, sottile e piena di buchi.

Da qualche altra parte ho vista riprendere l’affermazione riferendola (quanto mai opportunamente) all’e-learning.

Per quale motivo Beverly Abbey fa questa affermazione?

Osservando il comportamento al pc (browsing, lo ha chiamato) Abbey ha notato che, con costanza, l’uso di bottoni cliccabili, di immagini e testi linkati riduce il comportamento dell’utilizzatore ad un rapido movimento di mani con rapida scorsa del testo e delle immagini. Il fatto che decisione di selezionare e cliccare possa essere presa con rapidità, minimizza l’attenzione prestata alla dettagliata lettura del testo o all’interpretazione delle figure. La conseguenza è che l’attenzione dell’utilizzatore è posta su piccoli pezzi di informazione che può essere scorsa , letta ed utilizzata rapidamente e, spesso, senza riflessione. In aggiunta, la possibilità che il sito potrà essere rivisitato con facilità anche successivamente, incoraggia un approccio ancor più affrettato e superficiale.

La persona non legge il testo ma lo screma (skim) e cerca parole chiave comprensibili e titoli di spalla o “note a margine” per dare un senso personale a quanto scritto.

Credo che questo approccio porti la conseguenza che il pensiero di chi ha scritto più che compreso, venga interpretato alla luce delle rappresentazioni della tematica di chi, superficialmente, legge.

Questa ricerca conferma come il web, accanto ad una indubbia opportunità, sia una ulteriore minaccia allo sviluppo di abilità cognitive come l’attenzione, la riflessione, la comprensione.

Notando come a volte si sviluppa la discussione in alcuni forum e mailing list, mi viene da pensare che questo approccio cognitivo al web favorisca, anche, l’incomunicabilità tra le persone. Sto sperimentando, in questi giorni, qualcosa di simile in una mailing list. Spero sia solo una mia impressione.

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10 pensiero su “Emmental tra i banchi di scuola (e nei computer)”
  1. Sono interessanti i tuoi post e a proposito di ciò mi piacerebbe dire la mia e credo che l’approccio con la lettura nel web sia di impatto e di immediatezza , non a caso gli articoli per non creare una certa noia, devono essere molto compatti e coincisi nella loro spiegazione ; inoltre insegnano sia la lettura veloce che un apprendimento più immediato ma anche superficiale. Inoltre è vero anche che quando si studia qualcosa , non si apprende tutto e subito ma bisogna ripetere più volte, quindi io non mi sento di categorizzare l’uso della rete. L’importante è lo stesso uso che se ne fà!
    Imma Brunetti

  2. Hai ragione, Imma. Il lavoro citato mi ha interessato per il problema, più che reale, che evidenzia.
    Quanto si dice sugli stili comunicativi e di studio dei ragazzi d’oggi può essere letto anche alla luce di quanto sopra. Grazie per l’intresse per le cosette che scrivo
    Gianni

  3. avete letto l’articolo di ItaliaOggi “Una scuola senza improvvisazioni”?
    Ceruti, estensore delle NIN, dice:
    D. Allora aveva ragione la Moratti, che insisteva sull’innovazione..

    R. Tenere conto della società che cambia non vuol dire rinunciare alla missione di formazione che spetta alla scuola. E non vuol dire neanche fare micro progetti didattici che affrontano le emergenze educative con soluzioni alla moda

    La scuola non va messa al traino della cultura tecnica e tecnocratica ma neanche di quella sociologica. Per permettere ai bambini di apprendere le nuove tecnologie -il pc, per esempio lo sanno già usare a casa- e per farli diventare buoni cittadini, bisogna dotarli di buone conoscenze relative alle discipline fondamentali. Il che vuol dire anche avere un metodo che potrà poi essere applicato a tutto, e diventerà il patrimonio più grande per il futuro.


    Mi colpisce per l’inattesa coonessione con le riflessioni di Gianni.

  4. Già, il web ha questi problemi, però è importante dire (anche) che:

    se il messaggio non è compreso forse è scritto male (il web non è un libro no?)

    le risorse extratestuali (grafiche innanzittutto) non sono solo “cariiinee” ma l’utente le può utilizzare per muoversi nel testo

    le risorse interattive (ma qui mi riferisco all’elearning) non servono solo a fare “click” ma dovrebbero facilitare (se non obbligare) la riflessione

    Ciao

  5. Concordo pienamente sul fatto “vocazione” e su quello che insegnare non è per tutti, come non è per tutti fare il prete, lo scalatore, il sub.
    Fare l’insegnante sottopone a forte stress come tutte le professioni dove il rapporto umano è fondamentale (medico, infermiere, psicologo ..) ed è necessario essere adeguatamente attrezzati. Però si fa, in più di un caso, l’insegnante per avere molto tempo libero da dedicare alla famiglia (cosa più che giusta,ma perchè gli studenti devono pagare per questo?) o perchè non si trova di meglio da fare.
    Non per tutti gli insegnanti, ma per tanti

  6. guarda, che il mito dell’insegnante con molto tempo libero appartiene agli anni ’70 e ’80.
    Da quando il contratto è privatizzato e c’è il FIS, cose disgiunte ma deflagranti, il tempo libero è davvero poco…..

  7. Alessandro, concordo in parte. Ci sono molti colleghi che poco si fanno coinvolgere in commissioni, progetti- per molti di questi meno male, però:-), didattica (!) e quant’altro, per i quali il tempo libero, anzi, di più, la mente “libera” (dal pensiero scuola), resta ancora molto! 🙂
    Gianni, sulle considerazioni “emmental”, azzeccatissime!
    g.

  8. Io credo che l’insegnante sia una persona e come tale, può essere motivata e non motivata, impegnata e fannullona, eccc….
    Quel che è certo è che il contesto istituzionale non facilita tanto il lavoro delle persone/insegnanti. Nel senso che se fai, bene, se non fai, bene lo stesso.A questo punto solo chi vuole fa e chi fa è chi è intrinsecamente motivato e possiede una propria etica del lavoro (e di insegnante) si da da fare.
    Solo i suoi allievi lo ringrazieranno per l’impegno. E non è poco

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