Non è una battuta con cui voglio concorrere al nobel della cazzata. E’ una affermazione di cui sono convinto. Almeno in linea di principio.

La considerazione nasce dalla notizia che negli US il comitato di gestione di una scuola ha licenziato tutti i suoi insegnanti (74 insegnanti e 19 membri dello staff, direttore compreso)  per incapacità: numerosi studenti avevano appreso davvero poco.

Trovo normale che un professionista che non sa fare il proprio mestiere venga cacciato e messo nelle condizioni non nuocere ulteriormente.

Per quanto riguarda il mestiere dell’insegnante è un po’ complicato determinare se quel professionista dell’apprendimento ha fatto o meno il proprio dovere.

Innanzitutto perchè andrebbe definito quale sia il mestiere dell’insegnante. Insegnare?  Si, ma non basta. La finalità della scuola, per perseguire la quale gli insegnanti sono assunti e pagati, non è far insegnare agli insegnanti, ma far apprendere agli studenti !!!!

Scontata, qualcuno potrebbe dire, questa affermazione. Ma non lo è affatto. Per parecchi motivi.

1.

Sembra abbastanza diffusa la convinzione che all’insegnamento consegua sempre, necessariamente, automaticamente, l’apprendimento. Quindi, all’affermazione “ho insegnato” corrisponde la convinzione “gli studenti hanno imparato” . L’insegnante si proccupa di insegnare (“cosa dico oggi a scuola? quale esercizio faccio fare?…), tanto l’apprendimento si verificherà. Se qualche studente non avrà imparato, la colpa è loro che … non mi hanno seguito con attenzione…

Basterebbe che tutti gli insegnati fossero consapevoli di questa, banalissima e scontata, verità per portarli a rifocalizzare la propria attività

2.

Cosa vuol dire apprendere? Vuol dire memorizzare? Vuol dire ripetere? Vuol dire prendere bei voti nelle interrogazioni e nelle verifiche? Vuol dire “capire”? Si, secondo me, apprendere vuol dire proprio “capire”. La comprensione è la condizione cognitiva necessaria perchè lo studente faccia proprie le nuove conoscenze, dia loro un significato e le usi per fare qualcosa.

Ci sono insegnanti che sanno dare spiegazioni confuse di cosa significhi per loro “apprendere”. Per molti l’apprendimento non è un problema: l’apprendimento è l’apprendimento; cos’altro dovrebbe essere? quanti apprendimenti ci sono? Jonassen mi diceva che dalla sua esperienza con tanti insegnanti si è costruito il convincimento che la causa principale delle loro basse performance (= scarsa efficacia della loro didattica) era l’idea vaga, semplicistica, superficiale di cosa fosse l’apprendimento che gli insegnanti avevano. Evidentemente il problema è universale.

Anche le idee su cosa sia l’apprendimento sono tante come sono tante anche le idee che si possono avere su quale sia lo scopo della scuola. Ok, la scuola deve insegnare … ma per quale scopo? Deve sfornare persone con la testa ben piena di informazioni? Deve sfornare persone che sappiano usare quelle informazioni? Devono essere persone che sappiano usare la propria testa o persone che non si domandino tanto il perchè delle cose?

Tanti i punti di vista anche qui.

Chiari i due punti precedenti sappiamo rispetto a cosa misuare la competenza, l’efficacia degli insegnanti.

Eccoci, quindi, pronti per un altro punto critico.

3.

Come valutare gli insegnanti? Chi valuta gli insegnanti? Secondo quali parametri? Cosa facciamo una volta valutati gli insegnanti con quei risultati?

Sappiamo dell’atavica ritrosia degli insegannti a farsi valutare. Come se il loro operato fosse al di sopra di ogni necessità di rendicontare cosa hanno fatto. Come se il loro lavoro fosse giustificato per il solo motivo di essere stati in un’aula per un certo numero di ore. Sappiamo la reazione al mitico/famigerato “concorsone” di Berlinguer. Saltato il concorsone e saltato anche Berliguer (e adesso ci troviamo il giano-ministro Tremonti-Gelmini).

Sappiamo anche dei sindacati della scuola storicamente poco propensi all’innovazione temendo, forse non a torto, il prezzo da pagare in termini di diminuzione del numero dei propri protetti.

4

A prescindere da questo particolare di non secondaria importanza, ciò che taglia la testa al toro e rende, a mio avviso, praticamente impossibile attivare qui da noi un sistema di valutazione degli insegnanti e del loro insegnamento che sia serio, credibile, autorevole è il contesto, chiamiamolo “culturale” (nel senso che questo concetto assume nell’antropologia culturale) che caratterizza ogni forma di azione istituzionale nel nostro Paese.

Avete presente il grado di corruzione presente in ogni affare pubblico? E il livello di etica presente nell’azione dei nostri politici e nella burocrazia che conta? E il grado di clientelismo e familismo che caratterizza l’accesso e la progressione di carriera nella scala gerarchica pubblica?  E i criteri di valutazione e di valorizzazione della competenza? E avete presente cosa davvero significa “competenza” in questo contesto? E come venga mistificato e piegato a disegni “superiore” persino il concetto di “meritocrazia”?

Quale affidabilità avrebbe un dispositivo di valutazione concepito e agito in questo contesto? Quali garanzie abbiamo che le valutazioni valutino davvero la competenza ad insegnare? NESSUNA.

Ecco perchè in apertura mi sono detto favorevole a licenziare gli insegnanti incapaci, percisando di esserlo solo in linea di principio.

Facciamo, quindi, meri esercizi di stile plaudendo all’iniziativa americana e augurandoci di veder applicate quelle regole anche qui da noi.

E’ meschino opportunismo evidenziare come anche il ministro dell’istruzione di Obama abbia apprezzato l’opera di quel consiglio di gestione di quella scuola

P. S.

Non vorrei dare l’impressione di leggere il fatto in modo semplicistico attribuendo gli scarsi risultati di apprendimento degli studenti all’incompetenza didattica degli insegnati (sarebbe meglio dire “di parecchi insegnanti” perchè di bravi insegnanti  ce ne sono numerosi anche da noi).

Non trascuro l’importanza del contesto che caratterizza la società contemporanea; i valori che vengono promossi tramite i mass media, valori che assegnano poca o nulla importanza alla scuola e al faticoso percorso che è necessario compiere per avere successo nella vita.

Non trascuro neppure l’indecifrabilità del presente e la sua proiezione nel futuro, indecifrabilità che non facilita l’identificazione dello scenario per il quale lavorare . Figurarsi l’identificazione dei modo e dei mezzi per farlo.

Non trascuro, ovviamente, i segnali di disistima che emergono dalla società verso la scuola, complice una campaga politoco-mediatica tendente a screditare la scuola e le persone che vi lavorano.

Non trascuro, infine, il disegno politico in atto tendente a riportare la scuola “libera” e la libertà di insegnamento sotto il controllo culturale di chi comanda.

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13 pensiero su “Licenziare gli insegnanti che non sanno insegnare (si fa per dire)”
  1. Ci vorrebbe, Gianni, ci vorrebbe eccome un repulisti della categoria, che scremasse gli appassionati dagli oziosi a tempo pieno, che separasse chi tenta strade nuove da chi da tempo si è seduto (non già sugli allori, ma in un posto ben meno nobile).
    Ma poi si aprirebbe la giostra del “chi valuta chi e come”: che in Italia, con la scarsa cultura della valutazione, disistima verso il mondo scolastico e abitudine al “mi manda Capone”, si risolverebbe con il cercare il più alto numero di Torri e Regine che proteggano e avvantaggino nel gioco. E così il bravo insegnante andrebbe sotto scacco in 4 mosse (ma pure meno…).
    La meritocrazia degli insegnanti, pensata così come viene pubblicizzata in questi ultimi anni, ha lo stesso valore del grembiulino o del voto numerico: make up da quattro soldi per una scuola che cade a pezzi.

  2. Ecco, avete già detto tutto 🙂
    A conferma vi lascio una ciliegina amara: all’epoca del famoso concorsone un noto sindacato si era attrezzato e aveva diffuso copia del quizzone in anteprima a un congruo numero di fedelissimi, oggi lo chiamerebbero nocciolo duro del consenso…..
    Penso che apprendere sia capire, ovvero imparare a capire. E insegnare fornire le strategie più efficaci per capire, attraverso l’uso dei codici e degli strumenti più diversificati che sia possibile utilizzare. Ma incontro ancora tanta gente per cui prima viene “l’ordine: alunni stretti in banchi schierati in posizione di chi riceve ordini, e soprattutto pronti a ripetere senza discutere”
    Perciò, data la mia incapacità di allinearmi con il neominculpop, penso sarei buttata fuori senza tanti complimenti. (Magari sarebbe la volta che mi dedicherei ad attività più economicamente fruittuose, vai a saperlo)
    Penso che l’unica via possibile perché l’argomento venga affrontato con la neutralità dovuta sia solo una rivoluzione “interna” alla categoria. Insomma occorrerebbe che in ogni scuola ci fosse una Scuolachefunziona 🙂
    E’ un po’ – se volete- la stessa cosa che succede nella pseudodiatriba tra insegnanti a favore della tecnologia e insegnanti sdegnosamente contrari: si mesta creando un torbido in cui non si capisca più dove sta la differenza.

  3. Leggo dall’articolo:
    “La scuola conta 800 alunni. Ed è l’unica nella cittadina di Central Falls, considerata tra le più povere dello Stato del Rhode Island, sulla costa orientale non troppo distante da New York. È frequentata in maggioranza da figli di immigrati; il 65 per cento sono ispanici e per loro l’inglese è la seconda lingua.”

    Ecco, facciamo pure come gli anglossassoni tutti, perché non solo gli americani hanno di queste belle pensate. Si licenziano gli insegnanti che lavorano in situazioni più difficili? Mah.

    Noi insegnanti disdegniamo di essere valutati, Gianni? Lo siamo quotidianamente e costantemente, ché non c’è insegnante che non abbia una cinquantina occhi che lo soppesano e dietro gli occhi degli alunni ci sono quelli dei genitori, per non parlare dei colleghi (oh, Cristina, ma devono essere dei geni quegli oziosi a tempo pieno, da additare alla pubblica ammirazione. Come si può riuscire a essere oziosi con una classe da “custodire”, non dico una classe cui insegnare qualcosa ma semplicemente da sorvegliare? Sì, solo un genio può riuscire a oziare in una situazione simile).

    Ricordo poi che al concorsone berlingueriano, in sé davvero risibile, la partecipazione era volontaria. Parte del resto della storia è stata raccontata da Valentina.

  4. Segnalo, come opportuna integrazione a quanto ho scritto, un recente articolo apparso su Internazionale con titolo Il bravo maestro. qui l’intero pezzo http://www.scienzesocialiweb.it/press01. E grazie a Paola Limone per la segnalazione (http://spicchidilimone.blogspot.com/2010/02/ecco-il-bravo-maestro.html)

    Un breve estratto

    La scelta della scuola è sempre stata una delle principali preoccupazioni dei genitori ma, a livello statistico, la scelta del maestro conta molto di più. La qualità dell’insegnamento varia più all’interno di ogni scuola che tra un istituto e l’altro. Nessuno però è ancora riuscito a stabilire in modo certo e obiettivo come dovrebbe essere un bravo insegnante. Sappiamo riconoscere e apprezzare le sue doti, ma non siamo in grado di riprodurle. Oggi però gli studi sulla qualità dell’insegnamento sono diventati così importanti che non si possono più ignorare. Nell’ultimo anno, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama e il suo segretario all’istruzione Arne Duncan hanno accantonato le discussioni sul sistema scolastico che avevano caratterizzato l’era Bush per concentrarsi sulla qualità dell’insegnamento. E lo hanno fatto usando l’argomento più convincente: uno stanziamento di miliardi di dollari.

    Grazie a questa decisione, Duncan dispone di un budget che è più del doppio di quello che normalmente spetta a un ministro dell’istruzione. E ha potuto investire 4,3 miliardi di dollari in un programma che ha chiamato Race to the top, corsa all’eccellenza. Più che una corsa è una maratona, ed è molto faticosa. L’obiettivo è cercare di individuare i bravi insegnanti, capire come lo sono diventati e formarne altri.

  5. Torno ora dal convegno di Bologna “Perchè mi bocci?” , tema trasversale è stato quello della personalizzazione degli apprendimenti.
    Ragazzi, quanto siamo indietro? da vergognarsi… A breve usciranno sul sito dell’ADI slides e relazioni.

  6. Certi docenti, al tempo del debito formativo, mi criticarono perché le verifiche cui sottoposi gli studenti erano “troppo difficili” e tutti rimasero col debito…
    Gli stessi docenti, si scannavano ai collegi docenti per portare avanti progetti extracurriculari non funzionali all’offerta formativa. Perché? L’esperto esterno, pagato con fondi UE, era parente stretto (marito o moglie) di qualche proponente ed il bando d’assegnazione dell’incarico era un bando ad-personam.
    Gli stessi docenti, tuttavia, sparavano e sparano a zero contro Berlusconi perchè fa approvare leggi ad-personam ed amministra in conflitto d’interessi.
    Altri docenti non partecipano mai alle riunioni degli organi collegiali, si ubriacano con certi bidelli o ai viaggi d’istruzione…
    Sono tutti così marci? No di certo, ma la meritocrazia, in una Italia dove se sei una meretrice o un farabutto puoi diventare ministro, è difficile da verificare…

  7. Certo, ignmj, che la situazione che descrivi non è tanto favorevole alla “buona scuola”!
    Purtroppo la situazione che descivi non è isolata.
    Certo che il conteto culturale in cui la scuola è immeresa contribuise a tirare in giù la scuola, scuola che già al suo interno non ha sempre le necessarie energie e risorse per puntare all’insù.
    Che fare? Disperarsi e mollare?
    Non credo sia questa la strada. Nelle scuola c’è del buono (conosci http://www.lascuolachefunziona.it ?) ed è su questo che si può, si deve, andare avanti.

  8. Non mi sono ancora registrato al sito http://www.lascuolachefunziona.it
    Prima di farlo, volevo raccontare portare all’attenzione dei visitatori che tra Catania e la Calabria, nell’ottobre 2009, la Finanza ha sequestrato varie scuole private denunciandone dirigenti e vari dipendenti. Perché solo il TG3 Sicilia ha specificato che erano scuole private? Tra le irregolarità contestate: presenze fittizie di alunni mai frequentanti, forse solo iscritti.
    Se si abolisse per decreto che non si possono recuperare più anni scolastici in uno solo, vorrei vedere se e quanti diplomifici potrebbero fare “concorrenza a vantaggio dell’offerta formativa” alle scuole pubbliche. Ma cosa sperare da un ministro che ha trovato l’abilitazione a fare l’avvocato nella sorpresa dell’ovetto al cioccolato? I diplomifici contribuiranno a formare sudditi asserviti, a loro volta fonti e veicoli di voti per chi non vuole cittadini pensanti ma veline e calciatori.
    Povera Italia…

  9. Gentile dott. Marconato,
    ho scoperto casualmente il suo sito e vorrei sottoporre all’attenzione sua e dei visitatori un’altra delle tante anomalie della scuola italiana, forse attirandomi le critiche di qualcuno, ma per trasparenza debbo scrivere ciò che segue.
    Sono un chimico, abilitato ad insegnare chimica ovviamente ma… posso insegnarla solo negli istituti tecnici e professionali! Se dovessi risultare soprannumerario, non potrei avere nessuna opportunità d’insegnare chimica in un liceo! Sì, perché nei licei della repubblica delle banane, docenti laureati in chimica non possono insegnarla nei licei, docenti laureati in biologia o scienze naturali o geologia possono invece insegnarla.
    Mi è stato fatto notare, passando ad un altro contesto ma non è una divagazione, che se una persona ha una congiuntivite, per farsela curare va dall’oculista. Se il malato si rivolgesse ad un ortopedico serio, medico anche lui ma non oculista, dovrebbe sentirsi dire: “vada da un oculista”. Nella repubblica delle banane, invece, facendo una trasposizione dal mondo medico a quello scolastico, un ortopedico potrebbe curare le stesse patologie dell’oculista ma l’oculista potrebbe curare le congiuntiviti solo nel proprio studio!
    Niente male, vero?
    L’ortopedico e l’oculista, come il chimico ed il biologo, hanno studiato, in parte della loro carriera universitaria, le stesse materie, ma non hanno lo stesso titolo nè seguito un identico percorso formativo. Perché non fare un bel tam-tam su questa vergognosa anomalia? NON intendo assolutamente fare guerra ai colleghi di altre classi di concorso, ma è indispensabile che ogni docente insegni la disciplina specifica corrispondente al titolo di studio posseduto. Se si è in possesso di più lauree, ovviamente, nulla vieterebbe ad un docente d’insegnare più discipline. Ma la condizione primaria per l’accesso ad un insegnamento dovrebbe essere il possesso del titolo di studio specifico.
    Lo scorso anno diedi lezioni private di chimica ad una signorina di un liceo classico col giudizio sospeso per la chimica. La signorina ed i suoi genitori cercavano disperatamente un docente laureato in chimica, perché? Ricordo che la collega titolare dell’insegnamento non era laureata in chimica e le sue lezioni erano una vergognosa riproposizione dei sui corsi universitari di chimica.
    Concludo citando un mio docente di chimica dell’università, il cui figlio studiava chimica al liceo. Il docente disse che rinunciò ad aiutare il ragazzo dopo averne letto i fedeli appunti presi a lezione. Allora non sapevo che un chimico non potesse insegnare chimica nei licei…
    Un saluto da Benedetto Raimondi

  10. Si infatti, purtroppo , li vogliono laureati, ma non serve una stupida laurea se poi molti di loro, non hanno ancora capito che le ragazze necessitano di andare in bagno spesso, oppure ancora, sono pretenziosi, vanno a simpatie, agevolano i figli di qualcuno ecc ecc, l’elenco è lunghissimo ! Io stesso sono insegnante, non sono laureato ma ho insegnato, e molti miei colleghi non mi potevano vedere xk’ dicevano ke alteravo le loro ” regole “, tipo : bambini in fila x 2, chi mangia una caramella o la offre a tutti o non la mangia…..ma andate a fare un giro ! Si cmq , tornando a noi, io adesso non insegno più purtroppo, cmq se mia figlia mi venisse a casa a lamentarsi di qualche insegnante, non vorrei essere nei panni di quello…

  11. Ciao a tutti
    ho trovato per caso questo blog e questo post
    cosi’ vi racconto queste due ” ipotesi ” :
    insegnante di matematica consegna le verifiche a suoi alunni
    in processione una decina di loro dopo averle ricontrollate le riporta all’insegnante segnalando che alcuni esercizi giusti sono stati corretti come sbagliati la stessa insegnante provvede a rettificare i voti alzandoli a seconda del caso
    questo si verifica piu’ volte nel corso dell’anno scolastico
    altro episodio
    la verifica viene consegnata all’alunno e vi e’ segnato un voto
    dopo pochi secondi l’ insegnate la richiede indietro e rettifica il voto abbassandolo di due punti
    …………………………………………………………………….

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