Si, perché non dare un significativo valore agiunto all’uso didattico delle tecnologie? Perché limitarsi ad usi “poveri” delle tecnologie digitali e di rete nella attività didattiche e di apprendimento? Perché invece di limitarci a pubblicare contenuti non sviluppiamo dei veri e propri ambienti di apprendimento?

Queste domande mi sono venute spontanee dopo aver letto un paio di giorni fa l’articolo pubblicato su Repubblica dove, con il titolo enfatico “L’università sul tablet. Dalla scienza a Dante 300, milioni di lezioni” si annuncia la rivoluzione in atto nelle università italiane: centinaia di ore di lezione sono disponibili agli studenti in formato podcast via internet!

  • A Napoli, 580 lezioni su iTunes; 5000 sul portale di Ateneo, 900.000 visitatori
  • A Trento, 3 corsi completi su iTunes
  • A Milano, un centinaio di lezioni, sempre su iTunes
  • A Reggio Emilia, 500 titoli e 12.000 download  a settimana  ……..

E’ fuori di dubbio che sia una grande comodità per lo studente, magari non frequentante, trovarsi le registrazioni delle lezioni a portata di mouse ed un grande aiuto poter riascoltarsi la lezione per chi ha frequentato ma è stato un po’ pigro e non si è preso appunti ….

E’ fuor di dubbio che si tratti di una bella e utile innovazione quella di distribuire lezioni via internet e, per le nostra università, allinearsi con quanto già si fa in tante altre Università …

E’ fuor di dubbio che registrare e diffondere  le lezioni sia un bel costo per le Università che lo fanno e che questo sia un segno del prendersi cura degli studenti e delle studentesse  …..

E’ fuor di dubbio che tra l’avere le lezioni registrate e accessibili e il non averle, è meglio averle ….

…. ma ……

Ma la questione è: “si tratta di vera innovazione?”. Detto in altre parole e andando oltre l’approccio (banale, superficiale)  alle tecnologie didattiche tipico degli organi di stampa, “è questo l’uso più innovativo che delle tecnologie digitali e di internet si può fare a scuola e all’università?

La mia risposta è un NO chiaro e deciso: non è questo un uso “innovativo” delle tecnologie. O, almeno, non  possiamo dire che si tratti di un uso “ricco”. Quello di distribuire contenuti via internet è un uso didattico decisamente povero delle tecnologie digitali e di internet.

Anche se questi contenuti sono raccolti e distribuiti nel formato leggero, poco strutturato, “fresco” di una registrazione audio o video e non hanno la forma strutturata, rigida, chiusa di un coursewre o di un set di learning object: sempre di contenuti si tratta e, come ben sappiamo, da soli, i contenuti, non bastano a fare di una lezione una buona lezione. I “contenuti” sono come gli “ingredienti” di una ricetta: senza il procedimento (e un po’ di esperienza) non si prepara la pietanza.

Fuor di metafora, il problema principale di ogni istituzione educativa, dalle elementari all’università, non è quello di selezionare , organizzare e distribuire i contenuti didattici (in questo si è oramai sviluppata una buona competenza), ma far si che questi contenuti siano capiti e appresi e, magari, trasferiti, dal contesto scolastico a quell’d’uso.

Il vero problema è che chi apprende non si limiti alla memorizzazione e alla ripetizione meccanica dei contenti.

Il vero problema è che quei contenuti acquisiscano un significato, che abbiamo un senso per chi li studia.

Si pensa davvero che uno studente che si prepara ad un esame studiando anche 3 o 5 libri abbia davvero imparato qualcosa di quella tematica?

Parlavo prima di usi “ricchi” e di usi “poveri”  delle tecnologie. Mi spiego: lo scopo dell’istruzione è l’insegnamento o l’apprendimento? Ovvia la risposta.

Perché, allora, tanto interesse per  l’insegnamento così poco per l’apprendimento?

Nella mia pratica didattica mi sono reso conto (non da ora) che il vero ostacolo che gli studenti incontrano nel  percorso che li porta all’apprendimento è quello di non “studiare” in modo adeguato ed efficace.

Se, come docenti, diamo loro dei contenuti da “studiare” ( in forma di libro o di audio-video registrazione non cambia nulla) e li valutiamo sulla base della quantità e della precisione della ripetizione di quel libro sollecitando, se siamo illuminati, qualche e sporadica riflessione personale, è normale che gli studenti sviluppino di quel tema una conoscenza ed una comprensione superficiale e parziale; che possano, a buon titolo, essere considerati degli “ignoranti” (pur patentati) dello stesso; che non possiamo acusare loro se usciti dall’università  entreranno nel modo del lavoro conoscendo poco o nulla di un argomento-tema-problema ; se loro stessi avranno la sensazione di aver perso solo tempo all’università…..

Ritornando al nostro tema, possiamo aiutare studenti e studentesse ad imparare di più e meglio? Possiamo essere aiutati in questo arduo compito didattico dalle tecnologie?

La mia risposta è in un SI chiaro e deciso: con le tecnologie (digitali e di internet) possiamo costruire ambienti di apprendimento che, attivando e sostenendo processi significativi di pensiero, indicano a studenti e studentesse modalità alternative e significative di studio che portano a capire la tematica in questione e ne svilupano un apprendimento solido e profondo.

Con le tecnologie si possono realizzare attività di

  • esplorazione e ricerca di contenuti,
  • di discussione e confronto sugli stessi con colleghi studenti e docenti,
  • di costruzione di artefatti cognitivi associati a quei contenuti,
  • di rappresentazioni multiple della conoscenza costruita…..

Con un’idea chiara e solida dei processi cognitivi e con un uso esperto, intelligente, creativo delle diverse tecnologie disponibili  e sfruttando le caratteristiche uniche del digitale e della rete, si possono costruire numerose attività di apprendimento che aiutano gli studenti a studiare e a capire il contenuto che stanno studiando.

Sperando che, se abbiamo creato le condizioni adeguate, se abbiamo sollecitato e sostenuto adeguati processi cognitivi, se abbiamo, in un certo senso, obbligato chi studia a pensare in modo duro ( e se chi studia ha accettato la sfida – e la fatica – per un apprendimento autentico), si sia, alfine, sviluppato un apprendimento buono.

 

Questa è, a mio avviso, la vera innovazione che si può produrre a scuola e all’università se si vuol dire, e vantarsi, di fare una didattica innovativa e di usare le tecnologie…..

Tutto il resto è, comunque, buona, anche se povera, cosa.

Questo approccio non solo a tutela degli studenti e del loro diritto di apprendere ma anche dei professori e del loro dovere di insegnare, professori che Repubblica vorrebbe sostituiti da podcast, web e cellulari

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19 pensiero su “Andiamo oltre i contenuti?”
  1. La cosiddetta sfida tecnologica, virtuosamente e spregiudicatamente intesa, potrebbe portare proprio ad un rovesciamento della prospettiva “tradizionale”(ed anche ad una sua verifica); ovvero non dovremmo più chiederci se le tecnologie aiutano ad insegnare meglio ciò che sempre si è insegnato, ma se vale la pena di continuare a immaginare come adeguato un insegnante che esaurisca la sua attività nel trasferire (pur se con modalità varie) contenuti al discente.
    Se questa seconda ipotesi dovesse essere accettata allora potremmo tranquillamente propinare podcast e surrogati telematici diversi (non diciamolo a Gelmini perchè emanerebbe subito l’O.M. apposita) e risparmiare i denari degli stipendi dei docenti.
    Nella pratica didattica accanto a esperienze innovative possiamo rilevare una interessante quota di conservatorismo diffuso; quello che, appunto fa prevalere la logica dell’insegnamento su quello dell’apprendimento. Il conservatorismo è diffuso ed anche incentivato, fa tendenza, e lo si maschera di eccellenza e di rigore.
    Dispiace ammetterlo, ma chi ha esperienza ricorda benissimo che le sperimentazioni degli anni 80 avevano lanciato la didattica dell’INSEGNARE AD IMPARARE, mentre attualmente oltre ad aver chiuso con le sperimentazioni vediamo la sconcertante diffusione di una didattica dell’INSEGNARE A RIPETERE.
    E allora non rimane che smascherare il meccanismo: la didattica tramite podcast ecc può essere utile, ma va sorvegliata e amministrata con intelligenza affinché non porti altra acqua al molino dell’omologazione passiva e tritacervelli che ormai dilaga senza freni coinvolgendo sì la scuola, ma anche tanta parte della realtà sociale giovanile e non solo.

  2. Dimenticavo; sul “dovere di insegnare” direi che ai docenti dovrebbe essere ricordato che la libertà e il diritto di insegnamento passano per l’ardua salita della verifica quotidiana del risultato delle loro pratiche didattiche. Diritti e doveri. E tra i doveri ci sarebbe anche quello di mettersi in discussione.
    (condivido il post su fB)

  3. Però Gianni il movimento OER va visto anche in un altro senso.E' chiaro che se ci si limita a presentare la contabilità dei contenuti disponibili online tutto sembra un po' limitato…Tuttavia, la pubblicazione di contenuti da parte delle università (ma anche delle scuole, perché no..) implica che molti docenti/autori si espongano, che mostrino cosa fanno e come lo fanno.E' il primo passo di quella "apertura delle porte delle aule" della quale vado cincischiando da qualche tempo 🙂 e che penso sempre più possa avere un ruolo chiave per il miglioramento della qualità in educazione (aldilà degli sproloqui governativi sulla "valutazione"..).Certo, i contenuti sono il primo passo, anche perché nel frattempo abbiamo già proposte di corsi aperti online (Siemens e Downes sono arrivati alla terza edizione del loro corso sul connettivismo..) e idee su come condividere "pratiche aperte" (penso al lavoro di Grainne Conole della OU: http://goo.gl/5xkDo).Concludendo, soprattutto per quanto riguarda l'Italia: tutto sommato ben vengano queste iniziative! Siamo indietro di un decennio in questo settore…

  4. Certo, oltre i contenuti senza cadere nel tecnologismo. Pura anarchia per chi, come tutti (o quasi), pensa solo in termini di gabbiem contenutistiche e anche la tecnologia non la vede come strumento per promuovere l'apprendimento ma ulteriorecontenuto da ingabbiare. Del resto, rendiamocene conto, stare in gabbia è rassicurante. Oltre i contenuti…in mare aperto…troppo rischioso…

  5. @ salvatore, è proprio quella che indichi anche tu strada da percorrere: processi cognitivi e tecnologie (dato che di queste si parla). Sul fatto che la LIM sia la nuova lima, ho seri dubbi. Mi pare più la chiave del carceriere

  6. @ Antonio, certo che le risorse/contenuti aperti e direi anche in formato narrativo più che decsrittivo, sono una buona cosa, un bel passo in avanti. Ma non fermiamoci qua e per non fermarsi qua credo sia opportuno ricordare che con il contenuto non si ha vera gloria. Ricordi cosa diceva lo schiavo al condottiero vincitore d batttaglie durante la sfilata per raccogliere gli onori? ricordati che sei cenere (o qualcosa di simile) .. quindi .. non ti montare troppo la testa …

  7. La LIM è uno strumento molto ingombrante che cade per lo più in un assoluto deserto scolastico di utilizzi attivi, dai pc (mai capiti) al web (guardato più che toccato). Che sia interattiva è una cosa che preoccupa fino a un certo punto. L'importante è che sia una LAVAGNA!

  8. @ Roberto, tecnologia come gabbia. Utilissima metafora. La ripetizione, il noto come rassicurazione. Una chiave di lettura della tamatica da tenere persente. Grazie per l'ulteriore stimolo

  9. ma ci sono alcune osservazioni/narrazioni un po' etnografiche in giro? ossia: non le programmzazioni o i discorsi "su", ma pratiche che vengono osservate, anche da altri, e narrate?

  10. Però Gianni il movimento OER va visto anche in un altro senso.E' chiaro che se ci si limita a presentare la contabilità dei contenuti disponibili online tutto sembra un po' limitato…Tuttavia, la pubblicazione di contenuti da parte delle università (ma anche delle scuole, perché no..) implica che molti docenti/autori si espongano, che mostrino cosa fanno e come lo fanno.E' il primo passo di quella "apertura delle porte delle aule" della quale vado cincischiando da qualche tempo 🙂 e che penso sempre più possa avere un ruolo chiave per il miglioramento della qualità in educazione (aldilà degli sproloqui governativi sulla "valutazione"..​).Certo, i contenuti sono il primo passo, anche perché nel frattempo abbiamo già proposte di corsi aperti online (Siemens e Downes sono arrivati alla terza edizione del loro corso sul connettivismo..​) e idee su come condividere "pratiche aperte" (penso al lavoro di Grainne Conole della OU: http://goo.gl/5​xkDo).Concludendo, soprattutto per quanto riguarda l'Italia: tutto sommato ben vengano queste iniziative! Siamo indietro di un decennio in questo settore…

  11. Certo, oltre i contenuti senza cadere nel tecnologismo. Pura anarchia per chi, come tutti (o quasi), pensa solo in termini di gabbiem contenutistiche​ e anche la tecnologia non la vede come strumento per promuovere l'apprendimento​ ma ulterioreconten​uto da ingabbiare. Del resto, rendiamocene conto, stare in gabbia è rassicurante. Oltre i contenuti…in mare aperto…troppo​ rischioso…

  12. @ Antonio, certo che le risorse/contenu​ti aperti e direi anche in formato narrativo più che decsrittivo, sono una buona cosa, un bel passo in avanti. Ma non fermiamoci qua e per non fermarsi qua credo sia opportuno ricordare che con il contenuto non si ha vera gloria. Ricordi cosa diceva lo schiavo al condottiero vincitore d batttaglie durante la sfilata per raccogliere gli onori? ricordati che sei cenere (o qualcosa di simile) .. quindi .. non ti montare troppo la testa …

  13. @ Roberto, tecnologia come gabbia. Utilissima metafora. La ripetizione, il noto come rassicurazione.​ Una chiave di lettura della tamatica da tenere persente. Grazie per l'ulteriore stimolo

  14. ma ci sono alcune osservazioni/na​rrazioni un po' etnografiche in giro? ossia: non le programmzazioni​ o i discorsi "su", ma pratiche che vengono osservate, anche da altri, e narrate?

  15. Continuamente mi metto in discussione ma fatico a trovare modelli di didattica innovativa.

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