Un articolo del Corriere (Primo giorno di e-scuola, con quella è che non mi piace) rilanciato su FB da Roberto Maragliano, sostanzialmente sui libri di testo al digitale e su altri gingilli digitali che invado le scuole, mi fa venire la voglia di dire la mia sulla presunta “rivoluzione” che il digitale sta compiendo (anche) a scuola.

Ci sono processi inarrestabili, come la diffusione del digitale ovunque. E’ solo questione di tempo per i costi che il digitale comporta e per gli atteggiamenti e le abilità delle persone che le dovranno usare.

Non vedo, quindi, ragione, perchè il digitale non entri diffusamente anche  a scuola e perchè i libri di testo a stampa siano sostituiti o integrati con quelli digitali. E’ un fenomeno che potremo definire “naturale” e che può essere incoraggiato oppure ostacolato. Io lo incoraggio

Ovvio, anche, che su questi cambiamenti ci siano appetiti economici, nulla di scandaloso.

La questione è, a mio avviso e consapevole che come in tutte le questioni complesse ci sono numerosi punti di vista differenti tutti legittimi, come usare il digitale a scuola.

Guardandomi in giro non vedo usi tanto “innovativi” nè per quanto riguarda le potenzialità dello strumento (il digitale, internet), nè per quanto riguarda il contesto d’uso, cioè l’apprendimento.

Detto che il digitale, di per sè, non è una innovazione (forse lo era 10 anni fa), innovazione è l’uso che se ne fa. C’è chi con il digitale fa cose vecchie in modo nuovo, c’è chi fa cose nuove in modo nuovo. Per me “innovazione” è la seconda opzione. Tutto il resto è ammodernamento, adeguamento al nuovo.

Per me, la prospettiva di “innovazione” e quella di usare le tecnologie per cambiare la scuola e per migliorare l’apprendimento. La LIM (il feticcio didattico del momento) altro non serve che a razionalizzare e, in alcuni limitati casi, a migliorare la didattica trasmissiva. Ma non è concentrandosi sulla didattica trasmissiva che si cambia la scuola e si migliora l’apprendimento.

Per migliorare l’apprendimento  (con e senza le tecnologie) ci dovremo riferire alle acquisizioni delle più recenti (parlo di almeno una ventina d’anni) ricerche su come le persone apprendono e fare tesoro di queste per cambiare le pratiche didattiche. Non mi dilungo qui su questo tema.

Per quanto riguarda l’uso delle tecnologie digitali e della rete (nonostante gli anni che sono passati è sempre la rete la vera “tecnologia innovativa”), si innova cogliendo le caratteristiche proprie di questa tecnologia: la connessione, la condivisione, la collaborazione. Di idee, di persone, di artefatti. Oltre che la multimedialità (facciamo ancora fare “compiti scritti” …).

Una riflessione a parte merita l’editoria scolastica.

Credo che il meccanismo dell’ “adozione” sia un potente macigno sulla strada dell’innovazione. Le rendite di posizione non hanno mai promosso innovazione.

Superata, ipoteticamente, la questione dell’adozione, il problema rimane: cosa sono i “libri di testo” nell’era digitale? Da tempo affermo che la prospettiva è quella del “libro di testo” come “ambiente di apprendimento” (alcuni link qui sotto).

E gli editori? Premesso che ritengo “giusto” che ognuno cerchi di fare business con ciò che sa fare (precisazione dovuta per evitare alzate di scudi di chi so io …); premesso, anche, che vedo editori con diversi tassi di etica; premesso, ancora, che vedo significativi sforzi di innovazione da parte di alcuni editori (soprattutto “piccoli”), tutto ciò premesso, credo che l’editoria scolastica godrà sempre di buona salute per il semplice fatto che la stragrande maggioranza degli insegnanti trovrà più comodo trovare la pappa pronta che cucinarsela da sè. La maggior parte degli insegnanti preferirà i 4 salti in padella (grazie, Emanuela Zibordi, per la felice metafora) che cucinarsi due spaghetti al pomodoro.

In teoria, ma davvero in teoria, credo che con l’avvento della rete i libri di testo (che, nel frattempo, da sussidi per  gli studenti si sono trasformati in sussidi per gli insegnanti) siano superati. In rete si trovano tantissime risorse gratuite con le quali “cucinare” una bella lezione; in rete si trovano sempre di più insegnanti che condividono gratuitamente risorse didattiche e che collaborano tra di loro (a volte anche con il contributo degli studenti) per costruire risorse didattiche. In rete si stanno sviluppando repository aperti di risorse. La rete sta emancipando l’insegnate dalla tirannia dei libri di testo e di risorse didattiche preconfezionate.

L’uso innovativo della rete ( e delle pratiche didattiche quotidiane) passa, anche, attraverso l’attivazione di nuove pratiche, di collaborazione tra insegnanti per la produzione e per l’uso di risorse didattiche. Se queste nuove pratiche taglieranno gli spazi di business per l’editoria scolastica posizionata su prodotti e servizi tradizionali, vorrà dire che ci saranno nuovi stimoli anche per l’innovazione del ruolo dell’editore scolastico.

In questo  contesto, la tecnologia (digitale, di rete) non è un’opzione, ma un dovere per collegare la scuola al mondo esterno. Più la scuola (e l’insegnante) rifiuta la tecnologa, più si isola dal mondo reale. Ma non basta usare la tecnologia, bisogna usarla producendo valore aggiunto.

 

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Libri di testo tra rassegnazione e speranze

https://www.giannimarconato.it/2009/05/schoolbookcamp-riflessioni/

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8 pensiero su “Il digitale è un dovere, anche a scuola”
  1. Condivido il tuo ragionamento. Ma come sai penso che una delle vie per affermare questa prospettiva, al di là delle resistenze inevitabili, sia quella del coinvolgimento diretto del singolo docente che prima di tutto deve sperimentare su se stesso cosa comporti conoscere e apprendere in un contesto e in una logica di rete. Perché questo avvenga non si può star fermi ad aspettare che ci piova dal cielo un ministro illuminato e i soldini necessari per dar corpo alle sue illuminazioni. Occorre laicizzarsi e anche accettare di convivere con determinati meccanismi di mercato, almeno con quelli che oggi sembrano essere più orientati nella direzione del concedere fiducia e spazio al digitale. Questi ci dicono che il digitale sta investendo, per affermarsi, sulle caratteristiche del risparmio, della facile e rapida acquisizione, della densità linguistica, dell’integrazione delle prospettive e dei punti di vista, sul ruolo attivo dell’utente. Se un docente pensa che queste caratteristiche non siano in conflitto con i suoi interessi professionali e intellettuali, al contrario che li soddisfino positivamente, bene, non c’è che da sperimentare le soluzioni digitali prima di tutto su di sé, superando le solite obiezioni (per quel che ci pagano, e poi con questi colleghi, mancano le macchine a scuola, ecc.), e mirando, come dovrebbe essere, a creare le condizioni per uno stile e un comportamento professionali meno rigidi e pesanti di quelli consueti (anche agli occhi degli studenti).

  2. Grazie Roberto per il tuo contributo. Concordo con te quando dici di non indulgere nella lamentazione e di invocare il mondo ideale prima di mettersi in cammino. Sono certo che anche in queste condizioni (disastrate ecc …) si possa fare tanto, E tanti (anche se pochi considerando la popolazione insegnante) lo stanno facendo. In questa prospettiva credo davvero nel potere-potente della comunità on-line degli insegnanti. E qualcosa cerco di fare, nel mio piccolo

  3. Sottoscrivo Gianni!
    “Il digitale è un dovere, anche a scuola” è la linea guida che perseguo da un po’ di tempo in qua come docente, formatore, consulente ecc.
    Sottoscrivo anche che “..per me “innovazione” è la seconda opzione. Tutto il resto è ammodernamento, adeguamento al nuovo”, ma nel quotidiano non disprezzo quando alla fine di un percorso qualcuno arriva anche solo “con il digitale a fare cose vecchie in modo nuovo”.
    Competenze digitali. Dovere. Situazione dramamtica: un corpo docente che in gran parte rifiuta la rilevanza (se non l’esistenza stessa) di una “competenza digitale”, DEVE far acquisire agli studenti una competenza che non possiede e che, quando è incanalata in un percoso “scolastico” (non necessariamente tradizionale e trasmissivo), dopo i 13-14 anni gli studenti stessi spesso osteggiano e rifiutano.
    Io temo che senza una rielaborazione tutta individale e personale, senza la frequenza nel proprio quotidiano professionale e privato delle pratiche “di questa tecnologia: la connessione, la condivisione, la collaborazione. Di idee, di persone, di artefatti. Oltre che la multimedialità..” non si vada molto in là, quando l’obiettivo finale è cambiare la scuola, e quando è sempre più manifesto che questo cambiare non ha senso oggi senza l’impiego delle ICT. Difficile che un docente “senta” o anche solo veda e pensi l’impiego di una pratica digitale, se di suo non l’ha in qualche modo assimilata.
    Allora bene “piccoli” passi tipo:
    -tutta la parte organizzativa/gestionale (registri, programmazioni, scritini, pagelle, relazioni) da svolgere esclusivamente ed obbligatoriamente -per tutti- per via digitale (e on line)
    -uso “vero”, in situazione, di strumenti online ormai semplici e consolidati quando si devono produrre documenti a più mani (perché google docs ai corsi continua a meravigliare quando si scrive a quattro mani con un partner remoto, ma poi a scuola girano solo pennette ed allegati quando si deve condividere un doc)
    -approccio alla LIM tutto centrato sull’impiego di software generico e applicativi “2.0”, più che sui piccipocci dei software di “costruzione” di manufatti didattici. La LIM è comunque uno strumento uno a molti, e allora usiamola per amplificare e condividere pratiche di rete.
    E’ sicuramente “vecchio in modo nuovo”. In qualche caso, e con gran fatica, questo è stato in gran parte fatto. Sul fronte più strettamente didattico qualcosa si comincia a muovere, ma sono solo segnali, insufficienti per parlare di “nuovo”.
    Piccoli passi, mentre il mondo galoppa.
    “..ciao, come va?” “…si lotta, si lotta…”

  4. Saluti a tutti!
    Bondi mi ha segnalato questi spunti e non ho resistito…Arguti come sempre i Roberti. Talvolta penso che come appassionati ci alambicchiamo troppo. Io sogno il momento in cui il digitale sarà trasparente e normale sarà usarlo o no. Questo è già accaduto fuori scuola dove in qualsiasi attività si fanno schizzi o appunti a mano, si usa l’agenda digitale, si trova un indirizzo navigando. A questo punto si deve scegliere se la scuola deve essere una riserva indiana o deve essere il mondo. Magari il meglio che il mondo offre. Credo fino agli anni 70 per molti di noi era l’unico modo per avvicinarsi ad un mondo di idee. Oggi le idee, quelle alte e belle stanno altrove… E non c’è organizzazione, hw, sw o finanziamento che tenga. La differenza la fanno le persone.e l’idea che uno ha del suo essere intellettuale…

  5. Ciao Gianni,
    ma siamo sicuri che gli insegnati vogliano davvero emanciparsi, e che la rete sia lo strumento migliore per raggiungere questa agognata emancipazione?
    Condivido tutto il tuo ragionamento, ma quello che succede dentro la scuola è ben altra cosa. Purtroppo.

    F

  6. Ormai sono un po’ di anni che si combatte per l’uso delle tecnologie nella didattica, spesso mettendo più l’accento sulle tecnologie che non sulla didattica, spesso registrando la resistenza dei docenti al cambiamento.
    Abbiamo la certezza che nei prossimi anni le tecnologie cambieranno, la rete è agli albori; continueremo con la stessa solfa per le future tecnologie dell’informazione?

    Per un professionista dell’insegnamento la tecnologia dell’informazione è un mezzo che non può fare a meno di conoscere ad un buon livello; dopodichè è libero di utilizzarlo o meno, a seconda del proprio ‘fiuto’ per la particolare situazione didattica.

    Se vado dal meccanico per farmi aggiustare i freni all’auto e mi risponde che non lo fa perchè oggi ‘bisogna usare i computer’, cambio meccanico.
    Se vado dal docente di mio figlio e gli chiedo di usare anche le tecnologie per migliorare l’apprendimento e mi risponde di no ‘perchè bisogna usare i computer’ cosa posso fare?

    [auguri]

  7. In effetti, l’hanno detto in forma diversa Maragliano e Bondi, il coinvolgimento a livello personale (per sé) dell’insegnante è la chiave di volta dell’intera questione.
    Un insegnante direttamente interessato/appassionato/coinvolto nelle problematiche della cultura digitale non potrà che essere un veicolo, al limite anche involontario, di innovazione didattica.
    Chi passa il proprio tempo libero sui gruppi Facebook con i colleghi o chi, per interesse o per divertimento, si scarica e si guarda l’ultima distribuzione di Edubuntu, anche solo per capire come funziona, o chi si cimenta con la LIM “fai da te” per una sorta di sfida auto imposta o chi, per propria comodità, utilizza Google Docs o altre “nuvole”, non potrà, una volta che si trova davanti i propri alunni, non sentire la forte tentazione di sperimentare soluzioni didattiche nuove.
    Che poi queste soluzioni “nuove” siano davvero “innovative” dipenderà dal livello di cultura pedagogica o, più banalmente, da quanto il nostro conosca il modo di pensare dei suoi alunni.
    E comunque decidere, nel breve tempo, che cosa sia davvero “innovativo” non è facile.
    C’è un però.
    La mancanza dei computer nelle scuole non è un alibi. E’ un dato reale. E la mancanza di risorse economiche c’entra fino ad un certo punto. Esiste ancora una diffusissima cultura dell’ostracismo (anche fisico) del digitale dalla scuola.
    Due esempi.
    In Piemonte almeno i tre quarti delle LIM acquistate dal ministero per le scuole primarie sono state sistemate in spazi comuni anziché nelle aule (nonostante le chiare indicazioni di Ansas e MIUR).
    Nella mia scuola (centro di Torino) ci sono quattro persone in segreteria, più il dirigente. Complessivamente dispongono di una decina di computer (due per persona).
    Ci sono anche 180 bambini e 20 insegnanti. Questi, per la didattica, dispongono di meno di 20 computer (donati da una banca, non acquistati). Rapporto di uno a dieci…
    Ci sarebbero ancora parecchi altri “però”, intrecciati tra loro. Dalle noiosità burocratiche dei corsi di formazione ufficiali alla superficialità di molte costose sperimentazioni centrate più sulla novità tecnologica che non sulla qualità pedagogica…
    Non la faccio lunga, però osservo che mentre il mondo reale incentiva l’interesse/passione/coinvolgimento dell’insegnante per il digitale, non fosse altro che per motivi commerciali, il mondo interno alla scuola non fa altro che mortificarlo in continuazione.

  8. Condivido molte delle osservazioni fatte da Roberto, Daniele, Italo, Alessandro: la questione è complessa con tante ombre e qualche luce. Risultati a macchia di leopardo. Tante facce, difficile fare generalizzazioni. Se guardiamo alla questione con un minimo di prospettiva storica ci accorgiamo che tante cose sono cambiate in questi anni rispetto alla questione digitale, ed in meglio. Ci sono più tecnologie a scuola (anche se ce ne sono ancora pochissime); tanti insegnanti le usano (anche se sono ancora pochissimi e non si sa quale sia il valore aggiunto per l’apprendimento). Il trend evolutivo c’è, non ci sono dubbi. La questione è se questo sia un trend “naturale” che si sarebbe verificato anche senza incentivi e specifiche politiche o se frutto di queste e se si (come credo), se le politiche adottate siano state efficienti ed efficaci. Su questo ho dei dubbi. Credo che non abbia giovato allo sviluppo la mistificazione che si è fatta e che si continua a fare dell’innovazione e la demagogia dell’innovazione che prevale sull’innovazione. Io non mi accontento di rilevare che qualcosa è cambiato e pur non disdegnando e sottovalutando i cambiamenti ed i risultati, sono ancora insoddisfatto di ciò che abbiamo ottenuto. Credo che ciò che ha pesato di più sulla scarsa innovazione introdotta sia stata la prospettiva adottata da politici e tecnici o meglio, la non assunzione di una prospettiva aderendo al giorno per giorno. E, forse, anche consapevolezza poco diffusa della portata dell’innovazione che avevamo in mano. Credo che i blog, i social network , gli ambienti di confronto debbano essere luoghi di elaborazione di prospettive. Con i piedi per terra ci stiamo tutti i giorni (purtroppo)

    Filippo sulla voglia degli insegnanti di emanciparsi: ne conosco tanti di volenterosi ma ancor di più di … mosci. Anche qui non generalizzare

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