Complice la calura estiva e il rallentamento del nomadismo formativo, mi dedico a qualche lettura, piluccando tra i tanti libri acquistati per quando avrei avuto tempo per leggere. Ogni tanto salta fuori qualche spunto per riflessioni più strutturate, per portare avanti un’idea, un’ipotesi di lavoro …

Per non perdere tutto questo materiale prezioso ho pensato di raccogliere qui, nel mio blog, questi spunti, in forma di appunti …nell’afa.

Quindi, post non definivi ma raccolta di cose che ho trovato degne di conservazione alle quali aggiungere qualche mia considerazione.

Prima o poi qualcosa di più strutturato nascerà (forse).

Inizio con Contro l’ideologia del merito di Mauro Boarelli, Editori Laterza, marzo 2010.

Una tematica qui affrontata è quella della valutazione standardizzata, quella dell’invalsi, per intenderci.

L’analisi fatta da Boarelli porta a concludere (pag. 32) che le valutazioni standardizzate tramite test hanno la funzione di “… chiudere, uniformare, banalizzare, decontestualizzare”.

Citando Guido Armellini, l’implicazione è che prendendo in considerazione “… quei campi dell’esperienza che ci rendono uguali… restano ai margini del lavoro scolastico quei campi della conoscenza che ci fanno diversi …resta fuori dalla scuola la parte più importante dell’esperienza umana”.

Altra considerazione dell’autore è che i test standardizzati “…rappresentano un potente strumento di selezione e orientamento dell’insegnamento” (p. 33).

Citando l’austriaco Hienz von Foerester che prende in considerazione l’intero ciclo dei processi di insegnamento, risulta chiaro  (p. 34) che i processi di apprendimento vengono uniformati e – di conseguenza – banalizzati.

Lo studente che entra nel sistema scolastico è un’imprevedibile “macchina non-banale” ed i test sono un mezzo per misurare il grado di banalizzazione. Se lo studente ottiene il punteggio massimo, ciò è segno di una perfetta banalizzazione: lo studente è completamente prevedibile, e quindi può essere ammesso nella società. La conclusione di von Forster è che i test … sono adatti a valutare prestazioni e non esseri umani.

Sul contesto reale della valutazione standardizzata (cui non sfugge il nostro Paese), Boarelli fa notare (p. 41) che l’uso sempre maggiore delle misurazioni quantitative e la mancanza di attenzione verso gli aspetti non misurabili dell’educazione sono conseguenza dell’importanza assunta dalle valutazioni OCSE PISA; questo fatto è particolarmente grave sul piano della democrazia per “…la mancanza di legittimazione democratica del ruolo dell’OCSE nel governo (indiretto) dei sistemi scolastici nazionali.

Anziché “misurare”, i test dettano legge.”

Sulla questione di cosa misurino e cosa non consentano di apprezzare i test standardizzati ho trovato degna di attenzione l’esperienza fatta dalla maestra Adriana Presentini citata dall’autore (p. 29) che consente di mettere in luce i meccanismi di funzionamento dei test, i modi in cui interagiscono con i meccanismi dell’apprendimento, i loro effetti collaterali e il loro impatto sul sistema educativo nel suo insieme.

La maestra Presentini ha presentato ai suoi alunni, secondo anno, una favola che descrive una situazione-problema (ripresa da test invalsi) e agli alunni era richiesto di dare prova di comprensione del testo rispondendo ad alcune domande, tra cui alcune sulla morale della favola stessa.

I bambini dovevano scegliere una sola tra quattro soluzioni possibili: nessuno degli alunni ha scelto la risposta ritenuta quella giusta. Sorpresa da questo esito, nei giorni successivi la maestra riprende il problema analizzando la fiaba con il metodo dell’attività filosofica e impegnandosi in conversazioni intorno alla morale della stessa.

Confrontandosi tra di loro, i bambini trovano molte altre possibili morali non previste dal test e mettono in evidenza che anche le risposte “sbagliate” secondo la formulazione del test non lo erano affatto.

Per giungere a questa comprensione della favola i bambini hanno, però, avuto bisogno di tempo e confronto (aspetti non previsti nelle modalità di somministrazione dei test), e questo ha consentito loro di elaborare un’interpretazione molteplice e ricca di sfaccettature.

Interessante una consapevolezza maturata dagli alunni con il supporto dell’insegnante: il loro lavoro, secondo la logica del test, sarebbe stato sbagliato, contrariamente alla loro esperienza che suggerisce che la risposta corretta può essere più di una, e non sempre e solo una.

 

Concordo con l’autore: i test  standardizzati, segmentando e parcellizzando una situazione allo scopo di poter “misurare” in modo “oggettivo” le risposte e finiscono con l’essere caratterizzati da meccanismi riduttivi di compressione di una situazione e di fornire elementi parziale, se non fuorvianti, sugli apprendimenti degli studenti.

Come dimostra un altro esperimento citato da Boarelli e condotto con studenti delle scuole superiori (p. 31 e 32), la risposta “giusta” secondo gli estensori del test è quella più superficiale e l’adesione da parte degli studenti a  tale risposta denota un atteggiamento opportunistico (so che si vuole questa risposta e io la do).

COME FACCIO

Quando sono richiesto di interventi sulla valutazione, l’approccio che prediligo è quello che considera la valutazione come opportunità di apprendimento. Ritornerò su aspetto.

 

 

 

 

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