DaD – La valutazione impossibile
Una persona non è un voto
Mi riferisco alla “valutazione” di fine anno, a quella dei voti in pagella, quella dei promossi e dei bocciati, quella che ha una grande importanza amministrativa, quella che è un feticcio tanto per gli insegnanti che per gli studenti e le famiglie, quella che spesso è un rito dovuto.
Quella che non si sa se e in quale misura rappresenti tutto quello che uno studente e una studentessa hanno imparato.
Quella che è espressione della “didattica della paura” (V. Caico)
Quella che, comunque, diventa una rappresentazione sociale del valore della persona.
Molto probabilmente una persona non è un voto (anzi, non lo è proprio), ma per tanti aspetti e nei fatti uno studente è il voto che si porta dietro.
Sono, comunque, tantissime le implicazioni di un voto al di là degli aspetti amministrativi, ma al momento teniamoci solo sul piano degli aspetti formali del voto.
Come valutare il lavoro degli studenti in questo anno disastrato?
Pur in condizioni precarie, una valutazione/feedback agli studenti può e deve essere data agli studenti ma limitatamente alle attività che si stanno svolgendo (ho parlato qui di valutazione autentica e qui di valutazione intuitiva) ma non so in quale misura quei pochi indizi che si riescono a raccogliere possano legittimare alla una valutazione del percorso di studi di un intero anno.
Sappiamo tutti benissimo che il giudizio valutativo è un giudizio basato su “indizi” (non è una misurazione). Le rilevazioni che facciamo ci forniscono “indizi probatori” dello sviluppo di conoscenze, di abilità, di competenze. L’insieme delle conoscenze di uno studente non può essere rilevato attraverso una singola prestazione ma attraverso un’intera classe di prestazioni (M. Baldacci).
Per valutare bene dobbiamo far ricorso ad attività di livello logico adeguato, che forniscano elementi probatori o indizi validi, autenticamente legati alla dimensione che intendiamo valutare.
Un giudizio valutativo ha una componente inferenziale e un aspetto olistico. Si passa dagli indizi raccolti attraverso l’osservazione al giudizio; sulla base di indizi si formulano ipotesi; le ipotesi sono provvisorie e per questo il giudizio non va cristallizzato.
Le informazioni per la valutazione provengono dall’intero contesto in cui si sviluppa l’esperienza di apprendimento e per questo l’osservazione deve essere diffusa su tutta l’attività, le fonti degli indizi sono plurime e non tutte formalizzabili e prevedibili.
La valutazione deve, pertanto, dar luogo a un giudizio critico articolato.
La buona valutazione richiede osservazione interpretativa, inferenza e giudizio critico.
Domandiamoci quindi: quante osservazioni riusciamo fare? su quanta parte della attività riusciamo a farle? su quali tipologie del processo di apprendimento riusciamo a farle?
Nelle condizioni in cui si sta sviluppando una parte significativa dell’anno scolastico, quella parte in cui anche in ragione di quanto è stato fatto in precedenza possono venire a maturazione tanti apprendimenti e si possono raccogliere tanti indizi per una buona valutazione, anche dal punto di vista pedagogico si può fare una valutazione precaria e zeppa di limiti, figuriamoci dal punto di vista formale!
Con gli avvocati (certi miseri avvocati) già sul piede di guerra per portare in tribunale i medici che non hanno tenuto in vita i vecchietti colpiti dal virus, figuriamoci se non ti azzannano alla giugulare per ogni voto sgradito. E, qui, di elementi per spuntarla ne hanno parecchi.
Inutile concludere che la valutazione di quest’anno non può che essere politica e che il “sei politico” (ma anche il dieci, dico sul serio) deve essere la norma, valorizzando apprendimenti migliori e accompagnando la valutazione politica con “raccomandazioni per il recupero”. Poi si vedrà se e come “recuperare”.
PS: spero che questa crisi della valutazione porti seriamente a riflettere su cosa significhi valutare, sul come valutare e su quale uso fare della valutazione.
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