Rovistando tra le “bozze” del blog scopro questo post che credevo aver pubblicato. E’ di quasi un anno fa, ma le questioni che Mariaserena pone sono più che attuali. Quindi, pubblico …

 

Mariaserena Peterlin, insegnante che, da come la conosco ora , quando insegnava non poteva non essere una grande insegnante, lancia un messaggio forte, lei che di scuola ha sempre parlato: Non voglio più parlare di scuola.

Mariaserena, va ricordato, è stata lei a lanciare l’idea di quello che sarebbe diventato il Manifesto degli Insegnanti, certamente il frutto più bello (fino ad ora) de La Scuola che Funziona

Sono giorni, questi, in cui più di altri tutti parlano di scuola (pubblica): chi per sostenerla e valorizzarla, chi per denigrarla e demolirla.

La scuola è stata vivisezionata nelle sue implicazioni sociali, culturali, economiche, professionali, etiche …

Credo che tutto il dicibile sulla scuola sia stato detto e ridetto.

Ovvio che ora si provi uno sfinimento di fronte a questa valanga di parole e che si sia presi da un (salutare) senso di nausea e non si abbia più la voglia di parlarne. Mariaserana esprime con la sua solita efficacia il disagio di fronte a quello che, a conti fatti, si rivelerà un mero parlare senza alcuna prospettiva se non il continuare a parlare, a dire le stesse cose. Anche  “intelligenti” ma sempre e solo parole.

La questione è: riusciamo a darci una prospettiva? Riusciamo a trasformare la parola in azione? Riusciamo a fare qualcosa? Intanto leggiamo Mariaserena (i titoli in grassetto colorato sono miei)

 

Stanchezza

Non voglio più parlare di scuola.
Non voglio più intervenire nei dibattiti di insegnanti.
Non voglio più mediare o cercare di capire di che si parla.
Non voglio più ascoltare le stesse tiritere.
Non voglio usare il tempo per ritornare su vecchi concetti e per discutere su affermazioni vecchie come il cucco.
Non lo dico per disamore, per snobismo, per rifiuto del mondo dell’educazione.

Insulti
Lo dico perché è evidente che i problemi sono stati tutti messi sul tappeto, ma che la volontà di risolverli non c’è.
La dimostrazione è che di fronte alla scuola, anzi sulla scuola, c’è da decenni una istituzione governativo-ministeriale che ha smesso di svolgere la funzione di un motore per diventare solo un peso occhiuto, censorio e ammosciante.
Si valuta il risultato dell’azione didattica solo per recriminare sulla qualità degli insegnanti e dei loro studenti e non per studiare soluzioni; infatti si accusa la scuola di non essere adeguata al mondo d’oggi.

Identità

E gli insegnanti si sentono in crisi mentre dovrebbero rispondere che loro non sono chiamati a formare persone “adeguate” ma persone attive e pensanti. Dovrebbero inoltre rispondere con una evidenza: davvero si chiede di formare persone più colte, più autonome, più preparate, più fornite di strumenti culturali? E allora come si concilia allora tutto questo con la “fuga dei cervelli?”
Il sistema vigente attuale cosa intenderebbe per “formare persone adeguate”? Persone obbedienti e allineate?

Riformette

Il sospetto è giustificato visto che le uniche soluzioni proposte e ammannite pomposamente come “riforma” sono ispirate a quella che possiamo definire la strategia del grembiulino, del calamaio e della falce: ossia il ritorno al passato.

Il problema è che il passato ha realmente una sua dignità che il presente non potrebbe sostenere, e che il presente ha una sua fame di soluzioni che il passato non potrebbe saziare.
Un altro problema è che la scuola può funzionare e funziona solo se funzionano i docenti e le famiglie, e non se ascolta i predicozzi dei funzionari o degli esperti tuttologi.

Martirio

Un ulteriore problema è che se troppo spesso acquista visibilità e alza la voce solo l’insegnante che si lamenta e gode delle sue lamentele, se ne fa corona di martirio e non la smette.
Che cosa dovrebbe smettere?
Semplicemente di fare questo mestiere.
Ogni lavoro ha le sue fatiche, ed alcuni lavori hanno fatiche che incidono di più sul livello di impegno relazionale che siamo in grado di sostenere, altri sull’impegno fisico, altri sulla necessità di aggiornarsi velocemente, altri sulla sensazione di instabilità che non è garantita, altri sui gravi rischi professionali che si corrono; e potremmo continuare.
Invece non si prende atto di questo, non si ha una visione realistica e costruttiva e ci si lamenta: c’è chi si sente sfruttato e chi si sente sovraccarico o pensa di fare fatiche ripetute inutilmente.
Amici miei né Spartaco, né Atlante, né Sisifo ci salveranno.
Chi vuole lavorare a scuola prenda esempio da Robinson Crusoe. Un vero faber.
Oppure lasci perdere. Molto meglio trovarsi un lavoro come dama di compagnia o badante. C’è richiesta abbondante, si guadagna di più, si ha a che fare con una persona alla volta spesso non in grado di reagire, si risponde solo ad una famiglia e poi c’è l’enorme vantaggio del rapido turn over del… cliente…

Non voglio parlare più di scuola. Non di questa scuola e non in questo modo.
E credo sia, oltre che una buona idea, anche un sollievo reciproco e forse diffuso.

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Un pensiero su “Non voglio più parlare di scuola (Mariaserena Peterlin)”
  1. Che dire Gianni, grazie innanzitutto.
    E poi confermo parola per parola.
    Ognuno dei punti che hai così bene suddiviso enucleando i concetti è un pezzo di vita non solo mia, ma di tanti di noi.
    Forse dovremmo ricominciare da capo superando la fase “martirio”.
    Forse possiamo smettere di dire che “il problema è a monte” o che “il discorso è ben altro”.
    Il problema è qui, ce l’abbiamo noi tra testa e piedi (passando per il cuore)
    Il discorso è tra noi: tra cervello e bocca.
    Il lavoro è nostro: rimbocchiamoci le maniche non dimenticando di far pensare la testa.
    🙂

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