Luisa

Una serie di commenti fatti in Facebook da Luisa Nardecchia, un’amica insegnante, al mio post sul Light Learning offrono un contributo alla comprensione del significato e della portata di un’esperienza di apprendimento vissuta da una persona adulta, acculturata, di solide basi personali, scientifiche e metodologiche.

Riporto quasi per intero le riflessioni di Luisa con qualche mia messa in evidenza dei passaggi che mi hanno colpito maggiormente.

Non è un  “saggio scientifico” sul senso dell’apprendere con il supporto delle tecnologie ma la narrazione di una storia con tutta la freschezza del racconto, con tutta la soggettività di un’esperienza.

Le questioni?

  1. L’ambivalenza delle tecnologie nei processi di apprendimento: facilitano le operazioni ma rimane poco di significativo; le tecnologie hanno dannato ma anche salvato. Un’ambivalenza irrisolvibile perché fisiologica
  2. L’importanza di conoscenze solide a cui ancorarsi nei momenti di smarrimento;
  3. Il ruolo di processi di pensiero avanzati , di strutture cognitive altrettanto solide per poter gestire situazioni critiche alle quali non puoi far fronte con procedure, semplici o complesse che siano.

Lascio la parola a Luisa

 

Non ho avuto i miei libri per sette anni. Li sto recuperando pian piano. Per sette anni ho comprato pochissimi libri, perché non sapevo dove metterli. Ho comprato il Kindle, comprato gli e-book, navigato tantissimo spizzicando qua e là, studiando riviste on-line anche pregiatissime, tipo Griselda. Ho letto tanto, tanto, in modo onnivoro e compulsivo, sul web. Ora che sono tornata a casa, ho la sensazione che non sia rimasto granché di strutturato in tutto quello che ho letto in sette anni. Forse sono io, forse è il mio status terremotato, non lo so. Di fatto, ho voglia di condividere con voi la mia desolazione.per questi sette anni di studio matto e disperatissimo di cui mi resta ben poco. Tocca qua, tocca là, apri, chiudi, seleziona, cestina, non ti ricordi dove hai letto cosa, nulla è archiviabile, tutto è surfing. Tutto è consumato come un rapporto vorace tra sconosciuti. Tutto si brucia all’istante. Impari percorsi, ma non conosci mai luoghi. Sai guardare dalle finestre, ma non vedi mai che cosa davvero succede dentro le case. Guardi, comprendi, ma non conosci. Mi sento una che per sette anni non ha studiato. Una che per sette anni è stata in preda a una leggerezza davvero insostenibile.
(Forse non c’entra niente col post di Gianni, ma mi andava di condividere questo stato d’animo. Grazie a Gianni per avermelo consentito sulla sua bacheca, dove mi sento a mio agio e tra amici).

 

 

Non è semplice, ancora devo capire bene. Per ora la mia libreria è vuota. Sto aspettando che attivino l’ascensore per iniziare a portare i miei libri. Si sono mescolati, ne porterò un po’ per volta. Ma già li sento…. Li sento dentro di me, capisci? All’inizio scrivevo sempre “omnia mea mecum”, ma poter consultare un libro mi è mancato, e lo scopro veramente solo adesso. Questa sensazione ha non dico azzerato, ma svilito completamente il mio lavoro di sette anni. Mi sono resettata e sono tornata al punto in cui avevo lasciato. Come se l’utilizzo dello studio on-line (inclusi i corsi) fosse solo emergenziale. Sono sempre stata una grande sostenitrice della tecnologia, mi piace, mi affascinano le novità. Ma mi accorgo ora che sono strumenti che non possono essere usati senza aver prima strutturato un sapere scientifico. Cioè organizzato conoscenze che aiutino a capire quello che accade, oltre che a risolvere problemi. Spesso la vita non è solo un insieme di problemi da risolvere. Sono riuscita ad evitare di impazzire solo grazie alla mia “cultura”, cioè a quegli strumenti messi insieme negli anni per far fronte alla vita. Chi questi strumenti non li ha avuti è finito nella depressione, nell’alcol, negli psicofarmaci. La leggerezza del web mi ha aiutato tantissimo. I social mi hanno aiutato tantissimo (all’inizio). Ma credo sia potuto succedere solo grazie alla “pesantezza” delle mie conoscenze esistenziali, letterarie, filosofiche, che mi hanno fatto da bussola. Chi questi strumenti non li ha, non credo riesca a far fronte a un disastro, a meno che non sia un primitivo istintivo che mira solo alla sopravvivenza. Uno che non si interroghi sulle cose,
Beh è un po’ confuso perchè sono confusa io. Ci vuole ancora tempo. Le emozioni devo decantare. Grazie, il bisogno di ora è quello di sfogarmi, di capire dove sono andati questi sette anni… Grazie Gianni…. Nessuno mi ha mai chiesto queste cose, in sette anni…

 

A noi di una certa età nessuno ha insegnato mai niente: come si fa un articolo di giornale? E un saggio breve? una tesi? Un curriculum vitae? Come si naviga il web? Come si riconosce una fonte buona da una non buona? Come capisci che una notizia è una bufala? Eppure noi sappiamo farlo. E molto meglio di come lo sanno fare adesso, a quanto vedo nei giovani. E (paulo maiora canamus) dove trova uno gli strumenti per comprendere l’ingiustizia, la violenza, le ruberie, le mascalzonate che succedono dopo un terremoto (per esempio)? Non credo che continuare a studiare NOI per loro, continuare a masticare, omogeneizzare e digerire cibo al posto loro possa consentire una buona crescita. Non fanno che “smanettare”. Tutti li mettono su un piedistallo, inneggiando a quanto sono “bravi” e intuitivi. NO. stanno solo smanettando. Nella migliore delle ipotesi, cercano su google. E poi tra i 347100 risultati non sanno che pesci pigliare, chiudendo gli occhi e cliccando su “mi sento fortunato”. Mah!

 

Dici, Gianni? A me sembra un po’ un delirio ahaha 🙂 Sai che cosa mi salva? Questo, l’ironia. Che è una cosa che si conquista con lo studio, Mann diceva “la tragedia è umana, l’ironia è DIVINA”. Puoi perdere tutto, ritrovarti in mezzo a una strada con due stracci, ma se hai uno studio serio, alle spalle, puoi farcela. E’ un po’ il carrello che spingono padre e figlio ne “la strada” di Cormac Maccarty. Quanto mi ha salvato, quel libro. Ciao Gianni, ne riparliamo 😉
GRAZIE

 

Sarei ipocrita se dicessi che la tecnologia non mi ha salvato. Mi ha salvato eccome. Dopo il sisma ci siamo ritrovati su Facebook, non sapevami chi era vivo e chi era morto. E l’anno dopo ho aperto un blog. Saper comunicare col resto del mondo attraverso quel blog, mi ha salvato. Raccontare, mi ha salvato. Se non avessi saputo farlo, se non avessi padroneggiato il mezzo, avrei sofferto infinitamente di più.
Ho imparato da sola, non ho mai fatto corsi, lo considero un lavoro pedissequo, se non banale. Ho imparato l’html da sola, in modo rudimentale ma funzionale. E quando ai corsi mi dicono “usa questo e usa quello” io resto basita: e ogni volta chiedo…… “sì, ma per metterci dentro COSA”? La risposta è sempre “un’unità didattica”. Ah. Perché? Perché se no è noiosa? Se no non stanno seduti? Non sono abbastanza divertente? Sono troppo speculativa? Troppo teorica? Invece se presento la pietanza su un bel piatto da portata la mangiano più volentieri? Perché devono “fare”, devono essere “operativi”? E perché? Sai una cosa? una volta quando leggevo un libro e compariva un’ombra, i ragazzi non mi chiedevano mai: “Prof, che significa quell’ombra?” Ma come che significa? Una volta non lo si doveva spiegare. Adesso devo spiegare pure metafore banali, perché non le capiscono, Quindi sapranno bene come trovare un Pokemon, come orientarsi con una bussola. Ma non sapranno dove andare.

 

Riporto anche un commento di Fulvia

Che dire? Sono profondamente colpita dell’intelligenza e dalla verità delle tue riflessioni, che testimoniano di te e del tuo percorso e non degli slogan banali e ripetitivi cui ci stanno abituando. Senza commentare l’esperienza che hai vissuto, della quale ritengo di non potermi permettere di dire nulla, non avendola vissuta, sottolineo solo due aspetti: il primo è che questa tragedia ti ha fatta crescere e sviluppare, e non ti ha distrutta. Il secondo è che hai ragione. La nostra generazione (io sono del 69) ha molte più competenze e molte più risorse a cui attingere di quanto non abbia questa generazione “digitale”, e mi chiedo anch’io come ciò sia possibile. Cerco anche di darmi delle risposte e sto ancora indagando i motivi profondi di questa che a me pare un’ovvietà. Passando al tuo “disagio” (io lo percepisco come tale, ma può essere benissimo che sbagli) riferito al multitasking, per me non è così. Ma forse soltanto perché per me non è il risultato di una vita sospesa dall’emergenza e dalla tragedia. Mi piacerebbe affrontare il discorso, anche privatamente, perché i quesiti che hai posto e le tue riflessioni stimolano e integrano le mie. Grazie per il tuo contributo e per la tua (virtuale) amicizia.

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