Siamo alle solite. Abbiamo appena capito che non esiste la scuola digitale (perché esiste sempre e solo la scuola dove si usa quando serve anche il digitale) che i soliti noti hanno la pretesa di farci credere che esista la SCUOLA DELLE COMPETENZE e che questa sia la sola prospettiva possibile per il futuro.

Esiste sempre e comunque la SCUOLA dove si sviluppano conoscenze, abilità e, perché no, anche “competenze”, tante dimensioni dell’essere e dell’agire, ognuna con le sue proprie caratteristiche. Non può esistere una scuola che costruisca la propria identità sulle “competenze” che non sono, comunque, un fine ma una delle risorse che danno valore alla persone. La “scuola delle competenze”, qualora esistesse veramente, sarebbe una scuola monca, parziale, povera. La scuola ha come finalità la promozione della persona, del cittadino, nella sua interezza. Lo scopo della scuola è istruire.

Auspicare l’avvento della scuola delle competenze vuol forse dire che fino ad ora abbiamo avuto la scuola delle … incompetenze?

La scuola ha la finalità di sviluppare persone istruite, capaci, competenti; ha, anche, la finalità di dotare le persone di una buona base di saperi, di abilità di pensiero, personali e sociali, di atteggiamenti nonché di fornire gli strumenti con i quali tutti possano costruire professionalità e cittadinanza. Cosa c’è di nuovo? (*)

Non vedo comunque nulla di sconveniente che la scuola voglia perseguire in modo più mirato quelle che in gergo tecnico si chiamano “competenza”.

Si dovrebbero, però, preliminarmente, chiarire due questioni:

  1. Cosa si intenda per “competenza”, perché ci sono tanti tipi di competenza, ci sono tante idee di cosa essa sia e a cosa debba essere finalizzata;
  2. Se lavorare nella prospettiva delle competenze implichi abbandonare a scuola  e nei curricoli la prospettiva delle “discipline”.

Due questioni per niente marginali anche se a sentir parlare di “scuola delle competenze” parrebbe che nelle intenzioni di chi usa questa espressione si stia immaginando una scuola nuova e “altro” rispetto alla scuola che abbiamo. Certamente la scuola,  come ogni organismo, ha avuto anche nel passato una storia evolutiva e continuerà ad averla, esistono epoche diverse, stili pedagogici e fini diversi, ma la questione è: quale scuola immaginano costoro? Quale cittadino e per quale società?

Inutile che, quasi a rassicurare i cultori delle discipline (li contenuti e le strutture dei saperi), si affermi che “non esiste competenza senza conoscenza”: lasciamo questi slogan da casalinga di Voghera alle chiacchiere nei bar e dal parrucchiere e tra tecnici sarebbe il caso di usare argomentazioni e non strategie di marketing e domandarci, almeno, quanta e quale conoscenza incorpora una competenza.

QUALE COMPETENZA ? TRA FARE E PENSARE, TRA PRODOTTI E PROCESSI

Osservando le pratiche in atto e il dibattito che le accompagna, le ispira e le argomenta e che porta alcuni a prospettare LA SCUOLA DELLE COMPETENZE, la questione centrale mi pare essere: QUANTA CONOSCENZA C’È NELLA COMPETENZA? QUANTO PENSIERO C’È NELLA COMPETENZA? Ai fini dell’istruzione, cosa vogliamo considerare per COMPETENZA? Ciò che una persona fa o tutto ciò che gli consente di fare?

La competenza è ciò che consente alle persone di agire in modo competente: saper far bene qualcosa in un contesto e per uno scopo.

Due possibili sguardi sulla competenza e la funzione della scuola:

  • Per alcuni l’essenza della competenza è il FARE: in questo caso il compito della scuola è aiutare le persone a fare ciò che il descrittore della competenza indica, con il supporto delle conoscenze e delle abilità necessarie allo scopo.
  • Per altri la sua essenza sta nel PENSARE: aderendo a questa visione, compito della scuola è favorire lo sviluppo dell’insieme dei processi cognitivi e psicologici che fanno da motore per le successive prestazioni competenti.

Perché Nel primo caso abbiamo una visione ristretta di competenza e nel secondo una ampia?  Assumere il fare come attrattore dell’istruzione significa focalizzarsi sulla generazione di PRODOTTI mentre assumere gli aspetti interni come attrattore dell’istruzione significa focalizzarsi sullo sviluppo di PROCESSI.

Sviluppare processi significa lavorare sulle numerose determinanti dell’azione (ricchezza di processi e di conoscenze cui attingere per far  fronte alle diverse situazioni) per mettere le persone in grado di avere comportamenti e atteggiamenti generativi rispetto alla realtà, di essere in grado di risolvere un’ampia gamma di problemi aperti ed inediti, di innovare.

Sviluppare prodotti significa lavorare sulle soluzioni (padronanza delle conoscenze e delle abilità strettamente necessarie) e questo porta ad  avere atteggiamenti e  comportamenti riproduttivi ed essere in grado di dare, anche, ottime prestazioni ma in un ambito molto ristretto di contesti e scopi.

La conoscenza necessaria per essere in grado di generare “prodotti” è limita rispetto a quella necessaria a generare “processi”. In un caso abbiamo un uso strumentale dei saperi, dall’altro un uso funzionale degli stessi.

Chiariamoci, quindi, quale tipo di competenza vogliamo promuovere. Se del primo, punteremo certamente ad una competenza con poca conoscenza servendoci solo quella necessaria a “fare” specifiche cose; puntando al secondo tipo, ci servirà molta conoscenza, che è quella necessaria a “pensare”.

Se la “competenza” che intendiamo promuovere è del primo tipo andremo certamente verso LA SCUOLA DELLE COMPETENZE, e sarà la scuola delle prestazioni previste e controllate, la scuola per esecutori, che è la negazione del senso della scuola. Se, invece, intendiamo promuovere la competenza del secondo tipo non potremo che confermare una scuola ancorata alle discipline. E, magari, avere LA SCUOLA DELLE PERSONE?

ATTENZIONE: nella scuola ancorata alle discipline le discipline devono essere insegnate per l’apprendimento significativo, le conoscenze disciplinari devono essere insegnate ed apprese in modo intrecciato, la loro appropriazione profonda deve consente il transfer tra più contesti: attraverso le discipline si sviluppano forme di pensiero che rendono la persona capace di pensare, di essere autonoma e libera.

Quella che deve essere superata è la scuola dell’apprendimento meccanico delle discipline, la scuola della didattica standardizzata, la scuola dell’apprendimento casuale, la scuola dei libri di testo, non la scuola della didattica delle discipline.

(*)

Una riflessione andrebbe fatta sulle implicazioni dell’avvento della scuola di massa esplicitando quali scopi le siano assegnati, perché ipotizzare che la scuola che forma cittadini consapevoli, liberi e critici, potrebbe significare  andare all’utopia della Costituzione del 48 e a Don Milani, non all’attualità. Viviamo in un nuovo contesto economico e geopolitico che è cambiato in funzione della globalizzazione e l’istruzione di massa potrebbe non essere più una ISTITUZIONE e diventare un SERVIZIO cambiando i suoi fini. Non si tratterebbe, pertanto, di effettuare un mero ritorno nostalgico al passato ma di attualizzare la scuola della Costituzione al tempo presente.

 

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