La lotta controegemonica nella scuola del neoliberismo è una guerra di posizione: piccole conquiste, arretramenti ….ma si può fare

I pilastri del neoliberismo

La realtà sociale è fatta di imprese: non esistono le nazioni ma nazioni – azienda, ognuno deve essere imprenditore di se stesso

Tutte le relazioni sociali devono conformarsi al principio della competizione, la concorrenza è il meccanismo che garantisce l’efficienza sociale, tutte le relazioni sociali devono diventare relazioni competitive

Il ruolo della scuola nel neoliberismo

La scuola deve essere una fabbrica di capitale umano

La scuola deve essere una palestra di competizione

Le competenze rilevanti non sono tutte quelle in possesso della persona ma solo quelle utilizzabili nel processo produttivo

La scuola deve formare il produttore competente animato da spirito competitivo

La scuola stessa si deve trasformare in un’azienda che compete con le altre aziende scolastiche nel mercato della formazione

La scuola deve mettere in competizione tra loro gli insegnanti attraverso incentivi e sistemi premiali

Un’importante lezione (2018) del professor Massimo Baldacci, ordinario di pedagogia generale all’Università di Urbino, uno dei pochi pedagogisti italiani a concepire un’idea di scuola non asservita al sistema ma al servizio della persona. E’ autore, tra l’altro, del libro «Per un’idea di scuola». pubblicato da Franco Angeli nel 2014. Bisogna privilegiare lo sviluppo umano e non il capitale umano. Non incoraggiare i produttori efficienti, ma i liberi pensatori.

Riassumo qui di seguito (principalmente a mio beneficio) questa preziosa lezione per la lucidità con cui l’Autore mette in evidenza la direzione presa dalla scuola italiana, ne specifica gli assi portanti teoretici e operativi lungo cui si muove da almeno un ventennio e in chiusura fa una chiamata alla mobilitazione “contro-egemonica” di tutti coloro che hanno a cuore una scuola che veda la persona come un fine a sé e non un mezzo per l’economia.

Tesi: nella crisi della nostra epoca, che non è solo economica ma storico-culturale, la scuola è arrivata ad un bivio, ad un punto di scelta: adeguarsi alle spinte che la stanno portando all’adesione ad un paradigma di tipo neoliberista oppure rimaner fedeli ad un progetto di scuola della Costituzione.

Dove andrà definitivamente la nostra scuola? La spinta è verso la sponda neoliberista ma questa deriva si può invertire con una robusta azione di opposizione: è il momento di una pedagogia militante. E’ il momento di schierarsi, di prendere posizione rispetto a questa doppia possibilità.

Baldacci ricostruisce come siamo arrivati a quella biforcazione e riflette sul fatto se tale corrente sia già troppo forte per permetterci di correggere la rotta o se la partita sia ancora aperta.

Le 3 fasi del percorso compiuto dalla scuola in Italia dal dopoguerra ad oggi

  1. Dal primo decennio post seconda Guerra alla fine anni 80: il periodo della scuola bloccata
  2. Dalla fine anni ’50 agli inizi anni 90: il riformismo contraddittorio
  3. Dagli anni 90 ad ora: alla genesi della scuola neoliberista

SCUOLA BLOCCATA: nell’immediato dopoguerra la scuola si muove in continuità con quella del periodo fascista, con un canale per le classi dirigenti (ginnasio e licei) e una per quelle subalterne/operaie (breve, senza sbocchi, avviamento professionale); è il periodo dell’egemonia cattolica che ostacolava ogni cambiamento e con la sinistra assente su questo versante, molto più focalizzata sulla questione operaia che su quella educativa.

RIFORMISMO CONTRADDITTORIO: La trasformazione economica e dei costumi portò ad una fase di riformismo ma con un andamento da “guerra di trincea”, una lotta dal basso molto precaria, portata avanti dai partiti della sinistra e dai sindacati ma con l’ostilità del mondo cattolico conservatore. Una prima fase negli 60 – 70 con la riforma della scuola media (62), il superamento della struttura duale ereditata dal fascismo e con un solo canale per tutti i cittadini, con la scuola materna statale, il tempo pieno, le 150 ore, i decreti delegati (depotenziati da una vocazione burocratica), la 517 sulla la valutazione scolastica. Si opera con riforme settoriali, attraverso interventi parziali, con la logica del rattoppo, senza una progettualità organica finalizzata a rendere operativa la scuola disegnata nella Costituzione, un progetto cui non si è mai messo mano; senza cambiamenti significativi, si cambiava il meno possibile per depotenziare la spinta innovativa. I cambiamenti del sistema scolastico sono dipesi poco dalla pedagogia che era intervenuta a cose fatte o le ha accompagnate ma mai determinate.

LA GENESI DELLA SCUOLA NEOLIBERISTA: i mutamenti economici portano alla virata dell’economia mondiale verso la finanziariazzazione delle attività produttive (il finanzcapitalismo di Gallino), un aspetto cui inizialmente si prestò poca attenzione ma che determinò il decorso successivo dell’economia. Salta il compromesso tra capitale e lavoro e la democrazia. La democrazia è vista come ostacolo allo sviluppo del capitalismo. Globalizzazione, finaziarizzazione, automazione, tecnologizzazione, delocalizzazione caratterizzano il cambiamento dell’economia mondiale. Viene annunciata la fine delle ideologie, ci si muove in logica funzionalista, la liberal democrazia: Si aprono, però, le porte alle più grande ideologia del ‘900 il neoliberismo, ideologia di grande presa. I segnali (molto deboli, non facili da cogliere) sul piano scolastico di questa svolta sono le nuove riforme che sono di tipo curricolari (fine ’90 inizio 92); non più riforme di struttura e si distoglie l’attenzione dalla necessità di cambiamenti strutturali. Siamo al neoliberismo, il capitalismo globalizzato.

Il nucleo portante del neoliberismo

L’ontologia sociale del neoliberismo è semplice: tutti gli enti sociali sono fatti ricadere sotto la figura dell’impresa, la realtà sociale è fatta di imprese, non ci sono nazioni ma nazioni-azienda: l’azienda Italia, non ci sono istituzioni pubbliche, ci sono aziende pubbliche, anche la scuola e l’università sono aziende, il soggetto umano diventa un’impresa individuale. L’imperativo categorico del neoliberismo è che ognuno deve essere imprenditore di sé stesso; non sei una merce che si deve vendere (come nel capitalismo classico) ma sei ‘imprenditore di te stesso e ti devi vendere.

Altro pilastro: tutte le relazioni sociali devono conformarsi al principio della competizione, la concorrenza è il meccanismo che garantisce l’efficienza sociale, tutte le relazioni sociali devono diventare relazioni competitive

Il capitale umano

Da qui al concetto di “capitale umano” il passo è breve; il capitale umano è l’insieme delle conoscenze e competenze utilizzabili nel processo produttivo tecnologicamente avanzato. Le competenze rilevanti non sono tutte quelle in possesso della persona ma solo quelle utilizzabili nel processo produttivo (occhio: le competenze non sono solo quelle associabili al capitale umano, non sono solo quelle utilizzabili nel processo produttivo)

In questo quadro prende forma la scuola neoliberista e la prende in modo implicito, strisciante, senza che sia mai stata formulata esplicita, una teorizzazione strutturata.

La scuola deve, pertanto, essere una fabbrica di capitale umano, deve preoccuparsi di formare le conoscenze e le competenze che saranno usate nella produzione, la scuola serve a produrre i nuovi produttori.

La scuola deve, poi, essere una palestra di competizione, alla competizione si deve educare precocemente visto che i rapporti sociali sono e saranno improntati alla competizione , la scuola deve abituare gli alunni a competere tra loro, li deve educare al principio meritocratico, bisogna fare differenza tra chi merita e chi non merita, l’ethos competitivo viene così introiettato e sarà usato nella loro successiva vita sociale

La scuole deve formare il produttore competente animato da spirito competitivo.

Per fare questo, la scuola stessa si deve trasformare in un’azienda che compete con le altre aziende scolastiche nel mercato della formazione; non si ha più un sistema formativo ma un mercato della formazione e in questo le aziende formative devono competere tra di loro per assicurarsi gli studenti, la loro offerta formativa deve essere tale da catturare più clienti e per raggiungere questo, la scuola deve mettere in competizione tra loro gli insegnanti attraverso incentivi e sistemi premiali e la competizione tra gli studenti è una diretta conseguenza di tutto questo: un sistema a cascata di competizione.

La scuola offre così il proprio contributo all’efficientizzazione del sistema economico, il tutto in una lento, impercettibile ma inesorabile progressione.

There is no alternative

Il neoliberismo che politicamente inizia con Thatcher (UK) e Regan (US) e prosegue lungo tutti gli anni 80, non in modo violento ma convincendo tutti, comprese le vittime dei suoi provvedimenti, che a quell’approccio non c’erano alternative. Il cedimento più totale della sinistra si ebbe con Blair e la sua “terza via” e la convinzione che il neoliberismo non si possa combattere ma vada trovata una terza via.

L’istituzionalizzazione a livello scolastico ed europeo si ebbe nel 88 con Delors e il suo documento “Nell’educazione un tesoro” che fu l’equivalente pedagogico della terza via di Blair, un tentativo di coniugare i principi della pedagogia progressista con quelli del neoliberismo. Nei fatti non ci fu nessun compromesso, se non apparente, tra i due perché si ebbe il cedimento progressivo e l’abdicazione dei principi progressisti.

La rottura degli argini verso la scuola neoliberista

In Italia un grosso contributo fu dato dai governi della destra, ma anche la sinistra dell’Ulivo fece la sua parte con Treu e le prime forme di flessibilità del lavoro ma anche con l’avvio dell’autonomia che pur concepita come autonomia formativa, diede il via alla creazione delle premesse dell’aziendalizzazione della scuola. Con Moratti e la sua idea di personalizzazione si ha la riproposizione dell’ideologia delle doti naturali che giustificavano la selezione, l’uscita differenziale e facendo, così, rientrare l’idea della scuola differenziale, a doppio binario. Gelmini con il definanziamento, mai recuperato della scuola, spinge le stesse alla competizione dettata dalla condizione di bisogno. Il cedimento al neoliberismo, tanto da Gelmini che da Moratti, fu fatto passare per un ritorno ad una sana tradizione della scuola di un tempo (grembiulino, voto di condotta, introduzione dei voti nella primaria), quella che era stata rovinata dalla sinistra, dai sindacati e dalla pedagogia. In realtà, questi aspetti funsero da nube fumogena per nascondere i cambiamenti sostanziali verso la scuola per l’azienda e la scuola essa stessa azienda.

Il dilagare del neoliberismo: la buona scuola renziana

Dal 2011 la vocazione neoliberista è dilagata senza pudore. La buona scuola di renzi è stata l’allineamento compiuto della scuola italiana al progetto neoliberista: disegnare una scuola al servizio dell’impresa, il bravo cittadino è il bravo produttore; il bravo cittadino non quello vigile, quello che interviene nella politica, che pensa, che lotta per i propri e altrui diritti.

La scuola è concepita in funzione del produttore a scapito del cittadino, dell’uomo completo: cittadino ma anche produttore.

Viene così violato il principio primo di ogni pedagogia:

La persona è un fine, non un mezzo; la crescita della persona è il fine dell’educazione; la crescita della persona è fine a sé stessa, non ha uno scopo. La crescita della persona da scopo ultimo diventa uno strumento per l’efficienza del sistema produttivo.

Siamo così arrivati ai giorni nostri in cui si è imposto ed è vincente un modello di scuola, in parte esplicito e in parte implicito, quello della scuola neoliberista. Non ci si faccia trarre in inganno dalla retorica ufficiale in cui viene usato un lessico politicamente etico e corretto, come democrazia, cittadinanza, inclusione … In sostanza, si ha la curvatura della scuola secondo un paradigma funzionalista, la scuola viene vista come uno strumento della nuova fase dell’accumulazione capitalista e deve formare produttori in linea con questa nuova fase.

La lotta contro-egemonica

La scuola è un bivio anche se la corrente va in direzione neoliberista. Ma la scuola è ancora in tempo a invertire la rotta?

Non vanno sottovalutati i rischi di questa situazione , la nostra deve essere un’analisi pessimista della direzione dello sviluppo, ma sul che fare si deve essere ottimisti, dobbiamo identificare gli spazio d’azione che ancora possiamo percorrere.

Dobbiamo ricordare che, almeno dal unto di vista delle teorizzazioni, il neoliberismo è nato nel 1947 e da allora è iniziata la lotta politico-culturale, e la vittoria del neoliberismo è il risultato di una lotta egemonica durata molti anni, ma non si è trattato di una guerra a cielo aperto ma di una guerra di posizione e portata a lungo.

L’egemonia neoliberista è contendibile

Ma l’egemonia non è mai definitiva, è un possesso precario e contendibile, non esiste vittoria definitiva nel campo dell’egemonia e si può intraprendere una lotta contro-egemonica che deve anch’essa una guerra di posizione, bisogna attrezzarci per una lotta politico-culturale di lungo periodo .

Il senso comune sulla scuola

La posta in gioco è il senso comune sulla scuola, il modo di pensare diffuso tra la gente di scuola. Non sono le teorie formali a guidare l’agire scolastico ma è la cultura scolastica, un patrimonio di credenze e convinzioni maturate attraverso gli studi, l’esperienza, le interazioni con i colleghi . Queste attività formano tutta una costellazione di abiti mentali, di convinzioni, di pratiche. L’egemonia consiste nella colonizzazione del senso comune, del sistema di credenze e di abiti mentali , dei modi di vedere le cose, di pensare.

Il neoliberismo sta cercando di modificare il senso comune, la mentalità degli insegnanti, di convincerli che la scuola è un’azienda, che loro devono essere imprenditori di sé stessi, che il loro compito è di formare i futuri produttori, che a questo scopo devono competere con gli altri colleghi, che devono mettere gli studenti in competizione tra loro.

Questa azione sta avendo dei successi ma nella scuola sono presenti ancora molti elementi di resistenza, di scetticismo verso questo modo di vedere le cose e la partita per una scuola diversa è aperta.

Vanno, quindi, tenuti vivi questi sentimenti , va tenuto acceso il fuoco di una lotta contro egemonica da combattere in tutte le sedi, ma non in modo solitario . La guerra di posizione richiede fortificazioni, casematte, trincee …, cioè associazionismo, sindacato ….

Il neoliberismo agisce per frantumare, ognuno è contro ogni altro . Questa logica va ribaltata con alleanze, con reti di solidarietà.

PS: con questa sintesi posso aver reso poco chiari o argomentati alcuni passaggi del ragionamento di Baldacci. Nello scusarmi con lui, rimando alla registrazione della lezione per la lettura autentica del suo pensiero.

Un aggiornamento dell’analisi della scuola nel neoliberismo è presente in questo contributo di Massimo Baldacci al convegno “Istruzione: diritto incondizionato universale e risorsa sociale” promosso da Cgil nazionale, Flc Cgil, Proteo Fare Sapere, che si è tenuto il 2 marzo, alle ore 10, a Roma presso il centro congressi Frentani (via dei Frentani, 4).

Il suo intervento è dal minuto 21 a 1h 02 min.

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Un pensiero su “Massimo Baldacci e la scuola nel neoliberismo”
  1. Pensavo di essere sola, superata ed inutile nella mia lotta contro la scuola azienda. Ora mi sento in compagnia di gente che mi piace, fresca nel mio modo di pensare e rinvigorita nel mio lavoro quotidiano.
    Grazie
    Roberta Calvitti

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