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Sintetizzo una delle più belle esperienze che ho avuto qui nel blog: um serrato confronto con una persona che la pensa esattamente all’opposto di come la penso io, Alessandro Marinelli seguace del pensiero e dell’azione di Israel, ideologo della così detta “riforma Gelmini” della scuola, “intellettuale”  di riferimento della  destra. Propagandista di vaglia e “scienziato” della domenica

Iniziata qui, il 22 marzo la discussione, si è protratta fino a pochi giorni fa con ben 135 commenti che ci hanno consentito di approfondire le ragioni della destra sulla scuola e di contrappore a queste, quelle di un mondo di insegnanti, intervenuti nel dibattito, diciamo progressiti.

Va dato merito ad Alessandro di aver tenuto testa, da solo, ad un folto ed agguerrito  manipolo di amici e colleghi.

Tutto è iniziato perchè Israel si deve essere risentito per aver, io, definito il suo pensiero (in merito al valore di Internet) piatto, debole, vuoto, superficiale, fazioso. Aggettivi che confermo dopo 135 commenti.

Ampio ed articolato il repetorio di argomentazioni presentata, dalla sociologia dello studente d’oggi alle teorie padagogiche a didattiche di quest’ultimo secolo, da disquiszioni concettuali alla presentazione di pratiche, dalla riflessione alla polemica, dalla proposta alla propaganda. Passaggi gustosissimi e momenti di grande noia. Autoreferenzialità e prolissità.

Nell’insieme un ricco serbatoio di argomentazioni per dibatti successivi.

Un’idea, ma solo un’idea, di quello che è successo in quella discussione la si può avere dal mio ultimo (per ora e in attesa della puntuale replica di Alessandro) commento che rilancio qui. Mi pare un buon punto per ripartite.

E, ancora, un vero e sentito grazie all’ottimo Marinelli con l’augurio che questa sua lodevole prestazione gli venga riconosciuta con qualche incarico nell’entourage ministeriale o universitario

  1. Alessandro, ho capito la tua tattica retorica: tralasci i punti per te scomodi e ti concentri su quelli dove hai argomentazioni che ti sembrano con-vincenti e vincenti
  2. Perché non hai replicato al Professor Maragliano? Non so se lo conosci, ma Roberto Maragliano è Ordinario di pedagogia  e didattica a Roma 3; ha al suo attivo decine  e decine di pubblicazioni  scientifiche di didattica; oltre a bazzicare l’accademia pratica anche la base, la scuola, che conosce meglio delle sue tasche. Ma non si è mai messo a pontificare di scuola e di didattica come invece ha fatto e fa Israel
  3. Ti rendi conto che tutti i meriti in tema di scuola, di pedagogia, di didattica di Israel  sono relegati ad un misero libretto tutto slogan reazionari e propaganda in perfetto stile Lefebvreriano? Anche su questo argomento ti è stato chiesto un “parere” ma lo hai elegantemente sorvolato. Ti rende conto che a supporto delle sue “tesi” vengono portate dei “pareri” di insegnanti? Cose buone per un dibattito alla Pro Loco di Tor Vergata, non per farne le basi della riforma della scuola italiana!
  4. Siamo partiti con una conversazione sui massimi sistemi pedagogici e didattici e siamo finiti col parlare di didattica della matematica. Carenza di argomentazioni?
  5. Continui a chiedere esempi di buona didattica”non trasmissiva”: non sono forse esempi di buona didattica di questo tipo le narrazioni della didattica delle professoresse Favaron e Galizia?
  6. Ti ho più volte dimostrato come la didattica che  non gradisci (uso questo eufemismo dato che non ami che io dica che “detesti”) ha come principali scopi la promozione della comprensione autentica di fatti, concetti, regole, procedure, …; di promuovere e sostenere l’impegno cognitvo; di portare chi apprende a pensare in modo più “duro”; di non semplificare conoscenze per loro natura complesse; di promuovere lo sviluppo di forme elavate di pensiero
  7. Mi sono finalmente reso conto cosa significhi per te  porre al centro dei processi educativi la disciplina (nel senso di materia di studio). A te intressa di più l’integrità didattica della disciplina che cosa, come e quanto lo studente apprende: tu ritieni che sia compito dello studente apprendere mentre sia compito dell’insegnante insegnare. Secondo te è lo studente che si deve adattare alla disciplina e che il modo di farlo sia affar suo. La ragion d’essere dell’insegnante sta nel trasmettere nel modo più rigoroso possibile i fondamentali della disciplina. Se qualche studente non è in grado di imparare è inadatto alla scuola e/o a quella disciplina e deve essere bocciato. Il valore di uno studente è dato dalla misura in cui si conforma alla disciplina e la impara. Per me, e per tutta la didattica che tu ritieni essere stata la rovina della scuola italiana, al centro sta, invece, la persona che impara e tutta la nostra energia è far si che quella persona possa imparare il più possibile, che tutti possano imparare anche secondo modalità differenziate in ragione della sua unicità.  Non mi vorrai mica dire che alla purezza della razza hai sostituito quella disciplina?
  8. Mi sembri poco propenso, per non dire che ne provi repulsione, per le novità; meglio concentarsi sui fondamentali. Il tuo messaggio pare essere “solo ciò che è vecchio è buono”. Ti dimentichi che siamo a scuola e non in un negozio di antiquariato? O vorresti fare della scuola un museo  pieno di polverosi oggetti d’epoca da conserare e ammirare? Non bastano i già troppo insegnanti ricoperti di ragnatele? Aria fresca, no?
  9. ti lamenti che i ragazzi non conoscono bene la matematica, l’italiano ecc… e attribuisci questo fatto alla trasmissione di “cattiva” matematica, di “cattivo” italiano ecc…Sei proprio sicuro che sia così? Che sia per causa dei contenuti? O non sia per causa di un “cattivo” metodo nel trasmetterli? E che, magari, sia proprio perché l’ottica sia quella della “trasmissione”, quella di un recipiente vuoto (lo studente) da riempire con la sapienza di cui è già pieno il detentore della verità (l’insegnante)?
  10. Ti ho citato la tematica della “conoscenza inerte” e  l’hai bellamente ignorata. Guarda che il problema di “certa” pedagogia sta tutto qui: abbiamo studenti pieni, strapieni di nozioni; abbiamo brillanti diplomati, brillanti laureati per la gioia di insegnanti e genitori, ma cosa se ne fanno di tutto quella “conoscenza”? La risposta è presto data: metterci sopra nuova “conoscenza”, e poi ancora, e ancora … all’infinito. Nel corso della presentazione del PISA dello scorso anno, proprio a proposito della matematica, è stato fatto l’esempio che spiegava il perché della bassa efficacia di certa scuola. Un autorevole (per me) relatore ha affermato: tipico è il caso della matematica e dei matematici che vengono formati nelle nostre università; imparano a svolgere operazioni complesse per svolgerne di ancora più complesse e cosi via in un circuito vizioso e autoreferenziale, buono solo per titoli accademici e di nessun impatto reale. Guarda che l’università non è il WWF degli scienziati; è il luogo dove si trovano soluzioni ai problemi del mondo reale.
  11. Sempre a proposito della matematica, in quell’occasione, sono stati presentati due casi di didattica della matematica. Uno riferito ai Paesi con eccellenti performance, l’altro a quelli di basse prestazioni. Nel secondo caso dominava la didattica lineare, trasmissiva, focalizzata sui contenuti (tieni presente che nella didattica non “focalizzata” sui contenuti, questi non vengono ignorati, sottovalutati, banalizzati, svuotati … I contenuti continuano a esistere, solo che il focus è altro); nel primo si aveva una didattica ancorata su problemi reali
  12. Allievo al centro: qui veniamo alle deliranti affermazioni del Lafforgue:  “al centro del nulla” ma come si fa a fare un’affermazione simile? Come si fa non definirla delirante?  E mi citi Don Milani?   E che ne facciamo di decine e decine di ricercatori, di scienziati che in questi 50 anni hanno investigato questo tema con lo scopo di costruire una scuola che dia a tutti un’opportunità e non solo a quelli per i quali il futuro sarebbe comunque, roseo, anche con pessima scuola, anche con pessimi insegnanti, anche con pessima didattica?
  13. Informazione – conoscenza: secondo te sono la stessa cosa? Hai mai riflettuto sulle differenze? Ti sei mai chiesto quali siano le implicazioni didattiche per le une e per le altre? Ok, trasmettiamo “informazioni” (questo è quello che l’insegnante fa; per lui saranno anche “conoscenze” ma per lo studente sono mere “informazioni”), ma come diventano “conoscenze”. E’ qui che ha lavorato e sta lavorando tutta la pedagogia di questi ultimi 50 anni
  14. Lo sa iche nella comunità scientifica internazionale, in-ter-na-zio.na-le, le pedagogia e la didattica trasmissiva non hanno alcun credito? Lo sai che tutta la ricerca va da altra parte? Lo sai che la didattica comportamentistica viene ritenuta sensata, forse solo in alcuni contesti di didattica speciale (quella per le persone disabili, per intenderci)? Ci sarà una ragione per tutto questo … criflettici
  15. Scuola pervasa, e rovinata, da CERTA didattica. Ma dove la vedi tutta questa scuola? Hai chiaro che la scuola italiana oggi è ancora quella del passato? Che solo una minima parte di docenti è in grado di utilizzare in modo appropriato la didattica innovativa tanto invisa ai nostalgici? E che questi sono nella condizioni di usarla per parti limitate del programma? E che questa attenzione ai processi di apprendimento prima che alla materia è riscontrabile in modo significativo nella scuola elementare e che quest’ordine di scuola è il solo ad avere livelli di efficacia paragonabili a quelli delle migliori scuola internazionali? E hai chiaro che la stragrande maggioranza dei nostri insegnanti adotta ancora una rigorosa didattica trasmissiva? E che è per questo che la nostra scuola è quello schifo che è? E tu vorrebbe rendere questa scuola il modello da consolidare? Ma smettiamola con la propaganda ….

Se proprio vogliamo fare discorsi seri di didattica, smettiamola con l’atteggiamento di chi vuole dimostrare la superiorità di un approccio sull’altro. Questo è un approccio naif, da novizio. Domandiamoci, piuttosto, quali sono gli obiettivi che la scuola dovrebbe raggiungere , quali sono gli aspetti essenziali di una azione didattica … e solo dopo domandiamoci quali “strumenti” la scienza ci mette a disposizione per raggiungerli. Cerchiamo di attingere all’intero corpo di conoscenza sviluppato fino ad ora su come le persone apprendono e su come si possono aiutare a farlo a scuola. Valutiamo le prove scientifiche e smettiamola con la propaganda!

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10 pensiero su “Il pensiero della destra e il suo (valoroso) guerriero”
  1. Grazie Maria Grazia per la preziosa segnalazione dalla quale traggo un paio di passaggi, per me, molto significativi (grassetto mio).

    Dice la Aprea, area governo, mica comunista

    è sempre più necessario ed urgente introdurre “una competenza ‘generativa’, utile a migliorare le risposte dei discenti soprattutto attraverso l’uso dell’innovazione. Serve – ha concluso – un approfondimento veloce e sempre meno scontato, che favorisca la scoperta di ciò che non è noto senza soffermarsi troppo su risposte già note”.

    Da un’azienda multinazionale, CISCO

    Charles Fadel (della Cisco System, Usa) ha spiegato che alla luce di questa convinzione è importante che si adottino “profonde innovazioni, sia nell’organizzazione degli ambienti scolastici sia nelle metodologie didattiche degli insegnanti”. Per quanto riguarda i docenti, gli esperti condividono la necessità di abbandonare la tradizionale lezione frontale per fare sempre più spazio al lavoro di gruppo, interdisciplinare e progettuale.

  2. Abbondano pareri del genere espressi da persone accreditate: riprendo da un mio post, Insegnamento universitario e tecnologie internet

    Don Tapscott, esperto di strategie di business e di IT di fama internazionale, giornalista, autore di vari bestseller su economia e IT, ha recentemente espresso in un articolo, Colleges Should Learn From Newspapers’ decline, le sue perplessità sul futuro delle università suggerendo che forse queste ultime dovrebbero trovare dei punti di riferimento nella crisi delle più importanti testate giornalistiche del mondo, che stanno naufragando nel maremoto causato da Internet. Scrive Don Tapscott

    One thing for sure. The smartest students want to get an “A” without having ever gone to the lectures. They understand that there are better ways of learning than being the passive recipient of a one-way, one size fits all, teacher-focused model where the student is isolated in the learning process

    Daniel Lemire, che è invece un professore di Computer Science molto noto, titola The end of ‘mass universities’ un articolo nel quale arriva a sostenere che

    One thing is clear to me: The value of a lecture in front of 80 students—or the equivalent as a webcasted show—is exactly zero. (From an educational point of view.)

    Io credo che la scuola, intendendo con questo tutto l’attuale sistema di istruzione, debba essere ripensato ben al di là di cambiare qualcosa nella vita della classe scolastica o universitaria (oggi praticamente scolastica), per evitare che “l’intera struttura educativa scivoli sotto i nostri piedi”, come ha paventato il prof. Ken Robinson nel suo intervento Do Schools Kill Creativity? al TED 2006.

    Credo che sia necessario un sostanziale passo indietro, per immaginare un sistema di formazione meno antieconomico e meno dannoso sia per i giovani che trovano difficoltà sia per quelli che potrebbero esprimere molto di più; ha scritto recentemente un mio studente:

    tutto quello che ho imparato di medicina in questi 4-5 anni di università l’avrei potuto imparare in 2 o 3 anni di studio autonomo (magari insieme a qualche buon amico) con l’aiuto saltuario di qualche medico specialista per gli approfondimenti, le verifiche, e la pratica

    Sto mettendo in unico sacco lower e higher education perché il problema di base è per me comune ad entrambe e concerne la concezione della relazione insegnamento-apprendimento.

    Cosciente che delle istituzioni così burocratizzate non potranno mai programmare – e forse nemmeno immaginare – la propria mutazione in tempi utili, trovo interessante tutto ciò che sta montando al di fuori di essa.

    P.S. Ho dovuto togliere un po’ di link perché il sistema anti-spam si arrabbiava …

  3. Come non essere d’accordo con quanto dici (e professi) e citi Andreas? Quello che mi sconcerta è il delirare, “autorevole” e ascoltato, dei profeti della “nuova” scuola ma anche la sua schizofrenia interna. Non sono, infatti, conciliabili le posizioni di Israel e quelle della Aprea. Sempre che quanto dice la Aprea sia quanto pensa e quanto si sforza di portare aventi perchè ho la sensazione che si tratti di dichiarazioni di circostanza, non potendo presentarsi come passatista in un consesso di innovatori

  4. Lezioni frontali , programmi di studio rigidi e non formulati per obbiettivi, demagogia e confusione sulle competenze che la scuola dovrebbe fornire agli studenti, indifferenza verso la necessità di fornire motivazioni agli studenti, valutazioni di condotta e profitto restaurate meccanicamente sulle lancette dell’orologio del passato : questi e molti altri i danni che sono stati aggiunti a una scuola che avrebbe avuto bisogno di un progetto ben diverso (e che dovrebbe comprendere un aggiornamento formativo per i docenti non indifferente) ed invece è stata ancor di più precipitata nel passato. La testimonianza dello studente (molto interessante il link)è davvero emblematica e ne rappresenta tante altre.
    Da insegnante ho vissuto stagioni di una scuola sostenuta dall’entusiasmo e dalle sperimentazione che sono state via via spente e fatte arretrare invece che progredire, ho visto riaffermarsi vecchie logiche autoritaristiche e troppi colleghi adeguarsi, qualcuno addirittura con compiacimento.
    Non darà facile ricostruire ma è necessario riprendere dai fondamentali:

    “gli obiettivi che la scuola dovrebbe raggiungere , quali sono gli aspetti essenziali di una azione didattica ”

  5. il problema è quello di fornire all’alunno qualcosa che “serva”. e per “servire” non intendo il puro utilitarismo, che detesto. ma qualcosa che in qualche modo torni utile, che non sia una pura perdita di tempo, tanto per valutare l’alunno.

    ogni volta che ci accingiamo a chiedere all’alunno di studiare qualcosa, dovremmo chiederci: “serve a qualcosa tutto questo? o lo sto insegnando per inerzia?”
    ecco, almeno facciamocela ogni tanto questa domanda.

  6. Antonio Saccoccio:

    qualcosa che in qualche modo torni utile, che non sia una pura perdita di tempo, tanto per valutare l’alunno.

    perfettamente d’accordo, a cominciare dal citatissimo e poco applicato imparare ad imparare e proseguendo coltivandone le curiosità e così via.

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