http://www.mariedargent.com

Forse poteva suonare meglio “webfobia” ma c’ho messo la “o” per farlo meglio assonare con “omofobia”. Giusto per capirci.

Posta generato da un ulteriore stimolo in rete (via Facebook, Cristina Galizia) che segnala un recente post di Giorgio Israel.

Che dice il nostro da meritare le mie attenzioni? Tante, ne dice. Una vera miniera. Ma andiamo con ordine

Il signor Israel  nel post “Un appello per abolire Dante con surreale dibattito allegato” prende di mira l’iniziativa di tale Dino Cofrancesco, sedicente segretario dell’ ARRE “associazione per il rispetto di tutte le religioni e la convivenza pacifica delle etinie culturali” reo di aver diffuso un appello per la cancellazione dello studio di Dante a scuola in quanto, attraverso la Divina Commedia offenderebbe le religioni non cristiane. Tale appello sarebbe collegato ad una petizione fatta dall’ illustre presidente (prof. Franco Romano) e dall’altrettanto illustre presidente onorario (Sergio Cardini) del ARRE al ministro Gelmini

Credo che al signor Isral di Dante non gliene importi tanto (almeno nel post in questione) in quanto il vero tema è la creduloneria di tante associazioni religiose,di insegnanti, di liberi cittadini che hanno rilanciato l’appello senza sincerarsi se quell’appello fosse vero prendendo per buono quanto letto in internet.  In realtà non esiste alcuna ARRE come non esistono ne Franco Romano ne Sergio Cardini (lo dice Isral, io non ho controllato).

La questione che io sollevo rigurada la morale che il signor Israel trae da questo fattaccio (evidenziazione mia):

Lo so che un simile atteggiamento credulone era implicito nel fatto di discutere sul serio i contenuti della petizione. Ma mi chiedo: a quale livello siamo scesi, a quale forma di “wikipedizzazione” che spinge a bere qualsiasi cosa circoli in rete? C’è da stupirsi allora se i nostri giovani stanno cadendo in una condizione di abbrutimento culturale crescente?

Quello che emerge da questa chiosa è la demonizzazione della rete; una rete che uccide il senso critico delle persone: La “wikipedizzazione” del pensiero causata ad internet, il suo impoverimento, il suo appiattimento; il suo abbruttimento.

Ancor più spaventoso l’uso dell’argomentazione che tutto questo (la rete)  sta portando nientepoppò di meno che all’abbruttimento culturale (in crescita)  dei nostri giovani. Equazione: “frequentazione della rete = abbruttimento culturale”

Con questa affermazioni del signor Israel (ascoltato consulente della Gelmini e ispiratore “culturale” delle sue riforme) assistamo al solito pensiero piatto, al solito pensiero debole, al solito pensiero vuoto, al solito pensiero superficiale, al solito pensiero fazioso delle belle menti pensanti che oggi vanno per la maggiore.

La rete è molto di più  di una bufala continua; la rete è molto di più di piccoli giochi di personaggi dementi. Ma non occore ripeterlo.

I giovani usano la rete molto meglio di quanto certi personaggi vogliono far credere e non stanno certamente portando all’ammasso i loro cervelli wikipedizzandosi. Ma non occore ripeterlo.

Se il signor Israel e compagnia cantante avessero davvero a cuore la sorte della “cultura” che viene offerta ai giovani dovrebbero denunciare l’intero sistema che sta, e per davvero, uccidendo il pensiero, la critica. Dovrebbero denunciare chi controlla i mezzi di comunicazione di massa oggi in Italia, chi fa, così, passare le informazioni che vuole; chi deforma a proprio intresse la realtà dei fatti. Dovrebbe denunciare, lui stesso in primis, chi sta uccidendo la scuola italiana, chi sta lavorando per una scuola che insegna a ubbidire e a non pensare.

Ho quasi la sensazione che questo sparare a zero contro la rete sia un ulteriore manovra ben orchestrata per demonizzare (prima) e ridurre al silenzio (poi) l’unico media attraverso cui si può ancora assicurare la libera circolazione delle informazioni, delle idee, del pensiero.

E per depotenziare il potere della rete, si usano le solite armi dello stereotipo, della reazione non riflessiva, del pensiero primitivo. Per promuovere stereotipi, ubbidienza, paure.

——–

L’astio viscerale del Nostro verso la cultura giovanile (tutti zombie) e verso gli insegnanti (tutti ignoranti, salvo quelli che studiano i suoi libri ed adottano i suoi metodi) lo rivela con il post successivo il cui irride al linguaggio del cellulare e fa poco affidamento sulla capacità degli insegnanti di matematica di trattare la matematica, complici libri di testo altrettanto scemi. Come dire, la riforma della scuola nelle mani della persona giusta. Auguri scuola, auguri insegnanti ….

——–

Nel merito del Dante si o Dante no, un dibattito serio si sta sviluppando in rete, anche su Facebook e su “La scuola che funziona”   e riguarda l’opportunità di insegnare ancora  i “grandi classici” o se non sia opportuno dedicare il tempo scuola ad altri contenuti più utili, forse, per attrezzare meglio i giovani alla realtà che già vivono e che vivranno quando saranno adulti

Qui lo scontro, al calor bianco, è tra “passatisti” e “futuristi”. E, spesso, lo scontro è anch’esso poco riflessivo e tanto umorale.

Ma è un discorso che, a mio avviso, varrebbe la pena fare per intero.


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143 pensiero su “Webofobia & Dante”
  1. ok Marcello. comunque il flame poteva partire. Non l’abbiamo fatto partire noi perchè siamo stati abili nelle 2 risposte successive a fare un passo indietro. Perchè io l’ho un po’ buttata sul ridere (avrei potuto benissimo attaccarti più violentemente e meno ironicamente, dato che mi sono visto attribuire pensieri che combatto da sempre), e tu ora non te la sei presa per la mia ironia (se fossi stato poco più permaloso avresti reagito ben diversamnente). Sai bene che basta poco qui sul web per creare uno scontro verbale. Stavolta siamo stati abili, ma altre volte non è così. Ecco, questa è un’abilità che noi per primi (formatori, educatori e docenti) dovremmo padroneggiare al meglio, prima di pretendere che i nostri alunni utilizzino, ad es., facebook o i blog in modo evoluto. Il problema è che pensiamo spesso di sapere tutto, mentre quello che sappiamo (la nostra materia? qualcosa in più?) è talmente misera cosa rispetto a ciò che servirebbe oggi per essere un valido insegnante. Occorre solo crescere giorno dopo giorno per essere giorno dopo giorno un po’ più abili e causare meno danni ai nostri ragazzi.
    Ecco, ho fatto il mio commento saggio della settimana. Ora torno a fare il NETtroll. 😉

  2. Caro Marinelli,

    Per le prime 8 righe del suo nuovo commento mi trova concorde.

    “Da questo punto di vista, ho accennato al fatto che uno studente alle prese con una ricerca di fisica, per esempio, possa andare sul sicuro con queste due fonti.”

    Non ho le due fonti sotto mano. Le chiedo una cortersia, se ha tempo. Cerchi la voce “atomo” e controlli se è presente il modello atomico ad orbite (stile elettroni che girano intorno al nucleo come i pianeti intorno al sole) o se la fonte è aggiornata. Se nel modello atomico si parla di orbitali e non di orbite le passo al 90% anche questa sua affermazione.

    Nelle enciclopedie in dotatazione presso il nostro istituto, nei libri di scienze (che non ho scelto io e che si devono mantenere per un certo numero di anni) si parla ancora solo di orbite lineari.

    Il problema della carta stampata non è solo il possibile errore, ma l’inevitabile vetustità. La scienza corre, si scoprono nuove sostanze chimiche, neurotrasmettitori, ormoni, interleukine, sottopopolazioni cellulari, markers, tutta robetta che nella maggior parte dei casi è dimenticata da enciclopedie e libri.

    La scienza che io vorrei spiegare è quella che spiega in modo preciso ed accurato, in modo aggiornato, la realtà che ci circonda.

    Riga 14: “In merito a questo , mi rende parecchio perplesso l’ espressione “se non esiste uno studio del genere qualsiasi opinione è priva di fondamento scientifico e pertanto è di poco valore.”. Trattandosi 1) di mie opinioni e 2) confermate da alcuni esempi (che posso citare, se me lo chiede), non devo dimostrare un bel niente a nessuno.”

    Su questo mi trova in completo disaccordo. Anche io ho delle opinioni, come lei, come Marconato, ma non considero come assolute le mie opinioni, cerco (forse perchè la mia formazione è scientifica) quasi sempre di criticare e mettere alla prova le mie idee.

    Pochi o alcuni esempi presi dal vissuto reale non mi bastano, spero sempre di trovare un dato significativo che mi permetta di presentare l’ipotesi come un pensiero più razionale. E’ la differenza di base tra osservazioni soggettive e oggettive. Le opinioni sono molto soggettive, vanno oggettivizzate.

    Non voglio credere che Lei, Marinelli, sia così pieno di sè da pensare che le sue opinioni non siano da dimostrare. Se sto parlando con una persona del genere non ci può essere nessun confronto e mi fermo qui.

    Preferisco leggere la sua frase in questo modo: sono mie opinioni, di cui sono piuttosto sicuro perchè ho delle conferme pratiche.

    Mi consenta però di ricordarle che anche Di Bella era sicuro delle sue idee e pensava di avere riscontri pratici. Non voglio certo riaccendere qui polemiche riguardo protocolli e dati sperimentali relativi al caso Di Bella, ma giusto portarlo in esempio.

    Io parto dal principio che quasiasi idea si debba dimostrare, per quanto possibile, in modo razionale. Stento a credere che come matematico lei non condivida questa opinione.

    Tesi: su internet circolano delle sciocchezze. Verifica: basta trovare alcune sciocchezze; siccome le ho trovate e posso citarle, abbiamo finito. Non vedo che senso abbia parlare di opinioni prive di “fondamento scientifico”.

    Mi pare una citazione inutile, di parte, incompleta. Inutile perchè lo sanno tutti che su internet circolano anche sciocchezze. Di parte ed incompleta perchè riporta solo “su internet”, mentre di sciocchezze se ne dicono tante anche in televisione, sui giornali e sulle enciclopedie, sui libri di scienze etc etc etc.

    Se poi lei intende “su internet di più”, io le rispondo, me lo dimostri e si ricomincia da capo! Cosa si intende per “di più”?

    Il punto non è che su internet circolano sciocchezze, ma che la scuola ha il dovere di insegnare ai ragazzi come distinguere le sciocchezze dalle verità.

    Nel mio corso universitario dedico una lezione a precisare la differenza che c’è tra pubblicazione scientifica e divulgativa. Faccio notare ai miei ragazzi che è molto importante la bibliografia, la fonte. Le dirò di più, tratto l’argomento anche in prima, seconda e terza media perchè considero la questione prioritaria.

    Un concetto, questo, che cerca di sottolineare più volte anche Marconato, ma lei pare non voler ascoltare, o capire. Ci esorta a fare esempi di didattica utile, e poi ci liquida con un “non è adatta a quello che spiego io”. Risposta estremamente superficiale.

    Altra mia opinione è che molte matricole universitarie, specie nei corsi di laurea in ingegneria (che, tra l’ altro, prevedono proprio i test d’ ingresso che lei cita), abbiano molte carenze in matematica. Conosco personalmente molti professori universitari che sono di questo parere e credo che abbiano ragione. Mi spiega che cosa dovrei dimostrare? Proprio perché non ho fatto un’ affermazione “quantitativa” del tipo “il 70% delle matricole è impreparata” non c’ è nulla da dimostrare.

    Se lei avesse parlato di percentuali, confiderei nel fatto che siano stati contati numeri, mi sentirei più tranquilla. Non chiederei di dimostrare una percentuale, non penso a priori che Lei sia in cattiva fede e inventi un numero. Sono ingenua? Nel caso dovessi dubitare della sua buona fede le chiederei di mostrarmi i dati raccolti, il modo in cui sono stati raccolti ed esaminati. Qui sul blog mi pare però eccessivo. Dopotutto io mi irrito solo perchè mi sembra si liquidi una situazione drammatica con “basta tornare al vecchio sistema”.

    Lei dice “Molti”, io le chiedo “Quanti?”

    Se poi mi viene a dire che ha contato le “parole scientifiche” (?) presenti su un testo di scienze e le ha confrontate con wikipedia tramite il chi quadrato, mi chiedo se pensa seriamente che un paragone del genere possa essere sufficiente.

    Qui mi rendo conto che ho molta più fiducia io nei suoi eventuali conti (che nemmeno esistono) di quanto lei ne abbia nei miei. Ovvio che non è sufficiente. Ovvio che prima eseguo i passi 1-4 da lei citati (a parte che io consulto veramente poco wikipedia pur non disdegnandola, i miei ragazzi, universitari e non, studiano scienze lavorando su articoli presi dai pubmed, springerlink, sciencedirect). Contare le parole era giusto un esempio (forse limitato, incompleto) per farle capire cosa intendo per dato oggettivo.

    Provi a fare un confronto per termini chiave, i punti 1-4 vanno bene come approccio soggettivo, di prima osservazione, ma se la sua idea è differente dall’idea di un suo pari, provi a cercare un dato oggettivo che possa convincere l’altra persona. Un indicatore. Un dato che non dipenda da Lei, dalle sue idee, dalle sue conoscenze. Io ho individuato i termini chiave perchè sono anche indicatori di argomenti trattati.

    Sicuramente avrà fatto delle pubblicazioni scientifiche, e sicuramente saprà che le riviste scientifiche pretendono una revisione tra pari. Con i colleghi non si discute di autorevolezza personale ma di dati.

    Il nostro problema scolastico è “sminuito”, lo si considera poco importante e non sembra necessario uno studio di questo tipo forse? Bastano le opinioni del primo che si sveglia?

    Non ritengo che le opinioni dei colleghi universitari siano bugie, ma che magari i colleghi non si siano nemmeno espressi al riguardo e che qualcuno utilizzi per loro idee non condivise. La mia è una ipotesi, come tale va presa in considerazione, è solo un’ipotesi.

    Visto che lei sostiene di aver sentito “molti” (quanti) colleghi lamentarsi, e visto che non dubito a priori della sua parola, mi chiedo appunto quanti siano che si lamentano, e quanti che non si lamentano, così avrò un dato più oggettivo. Le sembra di poco conto?

    La cosa migliore sarebbe prevedere alcune ore di utilizzo e lasciare il resto a discrezione del singolo insegnante visto che in fin dei conti, è lui che si trova lì.

    Qui non sono con Lei. E’ vero che l’insegnante deve poter scegliere, ma è anche vero che la scelta deve garantire poi una formazione allo studente. Mi spiego, se è provato che esiste un metodo più efficace per insegnare, ed io insegnante non ho voglia di impararlo, non va molto bene.

    In qualsiasi lavoro ormai esistono i protocolli, di sicurezza, di qualità, di corretto lavorare. Nella scuola no. Le pare bene?

    Grazie per “la cultura giovanile”: quale cultura le interessa di più? 11-15, 16-22? altre età? Ci sono molte forme di cultura giovanile e sono differenti per le varie fasce di età (almeno così come le percepisco io). Forse Marconato o altri possono trattare con più specificità la cosa. Io in ogni caso le darò il mio parere.

    Sul modo di studiare in molti paesi asiatici sta polemizzando inutilmente; non ho mai sostenuto di ritenere quelle SOCIETA’ in qualche modo “migliori” della nostra. Mi riferivo solo al fatto che un certo tipo di scuola (che da noi potrebbe essere vista come abbastanza tradizionale, su per giù) porta dei risultati interessanti e degni di considerazione.

    Ammetto di avere la polemica facile, specialmente se sono convinta di quel che dico. Lei non pensa che la scuola abbia una grande responsabilità nell’educare i giovani e nel promuovere il progresso civile, sociale, di una nazione? Intendo dire, un certo modello scolastico può contribuire ad arrivare a un certo tipo di nazione?

    1) il parere e l’ esperienza di chi insegna da tanti anni può sempre essere utile; non capisco perché uno come Israel debba necessariamente dire solo insensatezze;

    Il fatto che una persona insegni da tanti anni non vuol dire che insegna bene. Potrebbe aver sbagliato per molti anni. Che un insegnante sia capace o meno, una volta che è di ruolo continua il suo lavoro fino alla pensione. Questo stesso governo vanta l’idea di poter stabilire chi è capace o meno di insegnare e di scegliere solo i “bravi”. Io dico sarebbe bello, ma come stabiliamo chi è bravo e chi no?

    Io, non ho detto che Israel dice solo insensatezze, sostengo che il suo parere, in tema di insegnamento, di metodi di insegnamento (in particolare) non è il migliore.

    Israel potrebbe essere il migliore nello stabilire se uno studente sa o non sa la matematica ma non nello stabilire come la matematica debba essere insegnata o (più genericamente) come una materia debba essere insegnata.

    2) AMMESSO E NON CONCESSO che debbano essere gli psicologi e i sociologi a venirmi a dire come insegnare la matematica, pretendo non solo che mi dicano chiaramente cosa IN CONCRETO mi consigliano di fare…

    Mi creda, sarebbe bello avere una ricetta che funziona sempre, io penso che si possa solo dire cosa in assoluto è da evitarsi. Poi, ci sono tante teste diverse a cui insegnare, tanti modi diversi di apprendere. Nel mio fare utilizzo questa regola: quando un metodo non funziona lo si cambi (non lo si butti via), magari funzionerà in altra sede, con altri alunni. Comunque scenderemo (magari) nel particolare dei metodi, anche su questo sono d’accordo con lei. Così il confronto diventa più costruttivo e meno polemico. Però si sforzi un po’ di provarli sti metodi prima di liquidarli.

    Sarei la persona più felice del mondo se la finissimo di girarci attorno e cominciassimo a parlare, per esempio, di cosa insegnare (secondo lei, secondo Marconato, secondo qualcun altro ecc.) nell’ ora di matematica, come e perché.

    Intanto mi pare di capire che io e lei insegnamo matematiche molto diverse.

    Matematica è un termine direi abbondante di contenuti, ma quando dico “insegno matematica” intendo che insegno matematica nella scuola media inferiore. Nella scuola dell’obbligo. Quando mi riferisco al corso universitario, io insegno Chimica, Biochimica e Biologia Applicata, sono un docente che sceglie di insegnare anche nelle scuole dell’obbligo, perchè mi piace la prima linea, perchè adoro il mio lavoro, perchè ho grandi soddisfazioni.

    Sentendo dire “insegno matematica” io penso sempre alle medie o alle scuole superiori. Infatti all’università in genere la materia si chiama “analisi, istituzioni di matematica, matematica 1, algebra…” insomma ha nomi più definiti.

    Il suo dire mi ha tratto in inganno, comprenderà che le necessità della scuola media inferiore, della scuola media superiore, sono diverse da quelle universitarie. Dal momento che siamo però “colleghi” universitari, magari si può discutere e ci si può confrontare sui contenuti delle lezioni universitarie, sugli scopi, sui metodi, pur trattando argomenti molto diversi (sempre che lei abbandoni i pregiudizi fortissimi che accompagnano le sue asserzioni e che rinunci a fare di un’opinione una certezza consolidata)

    Le creazioni matematiche che ho bollato come inutili (mi ostino a non mettere le virgolette) sono sicuramente inutili nella scuola dell’obbligo e forse anche nei licei…ma qui non mi sbilancio. Magari se ne potrebbe parlare. Ci vorrebbe un collega del liceo, sarebbe più corretto. Gli scienziati non sono mangiapane a tradimento e forse all’università è importante costruire un sapere approfondito in tal senso, magari dipende dal corso di laurea in questione, dalle ore a disposizione, dal fine che si vuole raggiungere etc etc etc. Concordo al 100% con Marconato quando asserisce che l’apprendimento non è qualcosa che può essere reso obbligatorio, apprendere è un atto volontario. Va da sè che chi si iscrive all’università di matematica avrà un tale amore per la materia che sarà disposto ad imparare “creazioni matematiche” diversamente considerate inutili.

    Non voglio fare polemiche sul come è nata la matematica. La mia collega, laureata in matematica, insegnante di matematica alle medie ormai ad un anno dalla pensione, apre, in prima media, la sua prima lezione, con questa frase “i numeri naturali sono stati inventati dai pastori per contare le pecore”. Frase riportata più o meno in questi termini dal libro di testo utilizzato.

    Marinelli, penso che sintetizzare sia impossibile.

    Lei a volte sembra manifestare una certa voglia di conoscere nuovi metodi, e poi però li denigra liquidandoli in modo superficiale, sminuendo chi del metodo ne ha fatto lo studio di tutta una vita. Arrogandosi il diritto di sindacare su cosa sia la matematica e pretendendo che il concetto sia unico in ogni ordine e classe scolastica.

    Riduce tutta la questione all’esperienza sul campo, all’autoreferenziabilità di Israel, e pizzica di qui e di là cosa più le fa comodo. Dei cinesi solo la scuola e i tempi di concentrazione di cui sarebbero capaci i loro fanciulli.

    Un aneddoto: quinta liceo scientifico, cambio di professore, il vecchio era laureato in fisica e spiegava divinamente, la nuova aveva una laurea in matematica e non ci si capiva nulla. Presi il libro e divenni autodidatta.

    Un secondo aneddoto: esame di fisica all’università, il professore di ruolo viene sostituito da un ricercatore, tale Dr. Ferrero, assistente di Rubbia. Ferrero ci spiega la teoria della relatività di Einstein, per spiegarla ha usato una semplice triangolazione pitagorica. Ricordo che alla fine della lezione 400 persone mormoravano “è un genio”, ma non si riferivano a Einstein, si riferivano a Ferrero che aveva saputo trasmettere la conoscenza in modo efficace, puro, semplice ed al tempo stesso geniale.

    Certo Marconato ha ragione quando sostiene che l’apprendimento debba richiedere fatica, ma una fatica misurata, appropriata.

    Supponiamo di voler insegnare a un ragazzino ad andare sui pattini. Cosa facciamo? Lo abbandoniamo al bordo di una discesa? Oppure lo sosteniamo nei suoi primi passi, incoraggiandolo, sostenendolo e ricordandogli che quando avrà imparato si divertirà tantissimo?

    Io dico questo ai miei ragazzi, la matematica, la chimica, sono come i pattini a rotelle. La prima volta che li indossi hai paura di cadere, ma quando diventi padrone del mezzo ti diverti molto. Voi non dovete aver troppa paura di cadere, perchè sono qui per evitare che accada, e se proprio capita, la colpa sarà da dividere in due.

    Io non ho l’esperienza di Mariaserena, non ho 30 anni di servizio, e visto che qui nessuno si preoccupa di dare un po’ di stabilità al sistema ( punto fermo richiesto dai genitori) ogni anno finisco per cambiare classe.

    Ogni volta, dopo due o tre mesi, i ragazzi mi chiedono “Prof, lei resterà con noi anche il prossimo anno?” ed io rispondo loro con la massima sincerità “mi dispiace. Mi trovo qui per una fortunata coincidenza, c’era un posto libero, il mio punteggio mi consentiva di occuparlo, ma il prossimo anno potrebbe esserci qualcun altro”

    Posso essere sincera con loro perchè il rapporto che creo è una relazione di stima, non perdo autorevolezza nemmeno quando spiego loro che qualcuno avrà sicuramente più punti di me.

    Quando leggo nelle sue risposte “timore”, mi rendo conto che probabilmente tra i nostri due modi di insegnare c’è un abisso, e me ne dispiaccio molto.

    Un insegnante credo debba avere a cuore la stima da parte dei suoi studenti, una stima che conduce al rispetto. Quel tipo di stima non crolla nemmeno se fai un errore alla lavagna o pensi una cosa e ne dici un’altra.

    Per quel che mi è possibile mi rifaccio alla prova nazionale INVALSI per cercare di capire se lavoro bene o male. Ma il giudizio vero ritengo che debba essere dato dagli alunni che usciti dalle medie affrontano le superiori. Al momento mi pare se la cavino bene.

    Infine concludo, che la scuola secondo me sa perfettamente cosa e come insegnare. Lo dimostra la didattica di alcune scuole da 700-800 euro al mese, che prendono per ogni alunno 500 euro di sovvenzione dallo stato, e che sono aperte a pochi privilegiati.

    In tali scuole che si dicono “paritarie” (e non capisco come possano esserlo visto che in comune con la pubblica non hanno nulla) si fa molta attenzione a non deludere l’utenza.

    Allora qui non posso che concordare con Marconato, e ammettere con dolore che la restaurazione del grembiulino sarà il primo strumento per mantenere l’immobilismo sociale. Chi ha i soldi sarà sempre più motivato, chi non li ha sempre più bocciato. Fa anche rima!

    MOLINO: tutto si può fare, anche imparare per imparare, ma tutto nella misura e nel periodo appropriato, il punto è quindi decidere cosa insegnare, come insegnarlo e dove. Per me attualmente è prioritaria la scuola dell’obbligo, in particolare la scuola media, non perchè ci lavoro dentro, ma perchè è il punto debole del sistema. E’ qui che inizia la dispersione scolastica, che i ragazzi perdono la motivazione allo studio. Qui non si può imparare per imparare. Forse all’università, talvolta, sì.

  3. Caro Marinelli,

    Per le prime 8 righe del suo nuovo commento mi trova concorde.

    “Da questo punto di vista, ho accennato al fatto che uno studente alle prese con una ricerca di fisica, per esempio, possa andare sul sicuro con queste due fonti.”

    Non ho le due fonti sotto mano. Le chiedo una cortersia, se ha tempo. Cerchi la voce “atomo” e controlli se è presente il modello atomico ad orbite (stile elettroni che girano intorno al nucleo come i pianeti intorno al sole) o se la fonte è aggiornata. Se nel modello atomico si parla di orbitali e non di orbite le passo al 90% anche questa sua affermazione.

    Nelle enciclopedie in dotatazione presso il nostro istituto, nei libri di scienze (che non ho scelto io e che si devono mantenere per un certo numero di anni) si parla ancora solo di orbite lineari.

    Il problema della carta stampata non è solo il possibile errore, ma l’inevitabile vetustità. La scienza corre, si scoprono nuove sostanze chimiche, neurotrasmettitori, ormoni, interleukine, sottopopolazioni cellulari, markers, tutta robetta che nella maggior parte dei casi è dimenticata da enciclopedie e libri.

    La scienza che io vorrei spiegare è quella che spiega in modo preciso ed accurato, in modo aggiornato, la realtà che ci circonda.

    Riga 14: “In merito a questo , mi rende parecchio perplesso l’ espressione “se non esiste uno studio del genere qualsiasi opinione è priva di fondamento scientifico e pertanto è di poco valore.”. Trattandosi 1) di mie opinioni e 2) confermate da alcuni esempi (che posso citare, se me lo chiede), non devo dimostrare un bel niente a nessuno.”

    Su questo mi trova in completo disaccordo. Anche io ho delle opinioni, come lei, come Marconato, ma non considero come assolute le mie opinioni, cerco (forse perchè la mia formazione è scientifica) quasi sempre di criticare e mettere alla prova le mie idee.

    Pochi o alcuni esempi presi dal vissuto reale non mi bastano, spero sempre di trovare un dato significativo che mi permetta di presentare l’ipotesi come un pensiero più razionale. E’ la differenza di base tra osservazioni soggettive e oggettive. Le opinioni sono molto soggettive, vanno oggettivizzate.

    Non voglio credere che Lei, Marinelli, sia così pieno di sè da pensare che le sue opinioni non siano da dimostrare. Se sto parlando con una persona del genere non ci può essere nessun confronto e mi fermo qui.

    Preferisco leggere la sua frase in questo modo: sono mie opinioni, di cui sono piuttosto sicuro perchè ho delle conferme pratiche.

    Mi consenta però di ricordarle che anche Di Bella era sicuro delle sue idee e pensava di avere riscontri pratici. Non voglio certo riaccendere qui polemiche riguardo protocolli e dati sperimentali relativi al caso Di Bella, ma giusto portarlo in esempio.

    Io parto dal principio che quasiasi idea si debba dimostrare, per quanto possibile, in modo razionale. Stento a credere che come matematico lei non condivida questa opinione.

    Tesi: su internet circolano delle sciocchezze. Verifica: basta trovare alcune sciocchezze; siccome le ho trovate e posso citarle, abbiamo finito. Non vedo che senso abbia parlare di opinioni prive di “fondamento scientifico”.

    Mi pare una citazione inutile, di parte, incompleta. Inutile perchè lo sanno tutti che su internet circolano anche sciocchezze. Di parte ed incompleta perchè riporta solo “su internet”, mentre di sciocchezze se ne dicono tante anche in televisione, sui giornali e sulle enciclopedie, sui libri di scienze etc etc etc.

    Se poi lei intende “su internet di più”, io le rispondo, me lo dimostri e si ricomincia da capo! Cosa si intende per “di più”?

    Il punto non è che su internet circolano sciocchezze, ma che la scuola ha il dovere di insegnare ai ragazzi come distinguere le sciocchezze dalle verità.

    continua…

  4. scusate il doppio post, pensavo non avesse accettato l’intervento.

    Marinelli, leggo solo ora la sua didattica del recupero. Concordo sul metodo ( o almeno a prima vista non ho di che obiettare) che trovo paradossalmente distante anni luce da quello che lei propone.

    Della serie, so perfettamente come si deve lavorare, ottengo risultati senza intimorire nessuno (così pare), senza farne questioni di autorità e bocciatura, ma, sarei più contento se potessi farne?

    Un corso di recupero è diverso dal corso vero e proprio. Cambiano molte cose tra cui anche la motivazione dell’alunno.

    Sono felice che lei sia un insegnante efficace, mi spaventa un pochino il suo proselitismo del grembiulino.

    Mi pare di capire che pur disponendo di tutti gli strumenti didattici necessari al suo lavoro lei preferisce una didattica “vecchio stampo”.

    In cosa ne gioverebbe?

  5. @ Marinelli la cosa è semplice e mi sembrava chiara anche se da me espressa in forma implicita.
    Lei ha iniziato nel modo che tutti sappiamo non soltanto sostenendo che le tesi del post fossero errate e che non si era compreso per niente Israel (di cui lei si auto(??)eleggeva autorevole esegeta) , ma anche proponendosi come se fosse un interlocutore esperto di didattica, di scuola, di formazione, di didattica della matematica e di storia della matematica, di storia della scuola italiana e dando quindi giudizi su tutto e tutti.
    Ha insistito per avere risposte, informazioni, documentazioni e, nonostante la sua imperizia fosse evidente, non solo le ha ottenute ma ha usufruito di consistenti contributi con sviluppi di tesi e argomentazioni, notizie e storie di esperienze didattiche, bibliografie ragionate, link e così via.

    Tutto questo (no, non parlo certo per me e per le empiriche risposte, ma per quelle avute dagli altri interlocutori) costituisce un patrimonio di esperienze e conoscenza cui lei risponde solo con opinioni personali e citazioni altrui, ma esclusivamente sulla base di brevi (per sua stessa recentissima ammissione) esperienze e competenze scolastiche e indefiniti studi specialistici.

    Da qui la mia domanda (retorica) “non le sembra di essere davvero partito un po’ troppo da lontano?”
    Io dico di sì.
    E credo che ciò che lei ha già gratuitamente ottenuto, dovrebbe apprezzare e lungamente meditare scoprendo, come tutti abbiamo fatto, anche i cosiddetti fondamentali.

    La saluto con una cordiale e conclusiva (per quanto mi riguarda) perplessità: Giorgio Israel ha, almeno, apprezzato l’appassionata e generosa dedizione con cui ella ha sposato le sue teorie e il suo impegno di ascoltato consulente gelminiano?

  6. Elena
    L’ inevitabile vecchiaia della carta stampata è un dato di fatto, naturalmente. Le fa onore la volontà di spiegare “la scienza che spiega la realtà che ci circonda”, ma il mio parere (del tutto personale) è non concentrarsi troppo sulle “novità” senza prima essersi soffermati su quelle nozioni necessarie ad una buona comprensione. Pazienza se sono un pò “superate”; ci si guadagnerà in una migliore visione dell’ evoluzione e sviluppo temporale di un certo argomento.

    Non voglio credere che Lei, Marinelli, sia così pieno di sè da pensare che le sue opinioni non siano da dimostrare. Se sto parlando con una persona del genere non ci può essere nessun confronto e mi fermo qui.

    No, guardi, spero di non essere davvero pieno di me. Penso di non esserlo, visto che da quando ho scoperto questo blog sto passando al setaccio alcune mie opinioni consolidate e alcuni miei comportamenti avuti in passato con alcuni studenti. Ripensando a quello che dicevo sul crollo della disciplina, per esempio, mi sono accorto di una cosa. Effettivamente, esperienze sull’ indisciplinatezza di alcuni studenti mi sono state per lo più riferite; finora, in fondo, i miei studenti non sono stati mai “indisciplinati” nel senso pieno di questa parola. Forse ho un pò esagerato. Ho capito il suo riferimento a Di Bella e, per carità, non è proprio il caso di prendere quel discorso o non ne usciamo più. Sulle sciocchezze che pervadono ogni fibra della nostra raltà non posso che convenire con lei, ma vorrei chiederle (come ho fatto col sig. Marconato) di citarmene qualcuna nelle fonti che avevo preso come esempio: Treccani e Britannica. Mi fa davvero piacere che dedichi del tempo a spiegare ai ragazzi la differenza tra pubblicazione scientifica e divulgativa.

    Ci esorta a fare esempi di didattica utile, e poi ci liquida con un “non è adatta a quello che spiego io”. Risposta estremamente superficiale

    Attenzione: per me andrebbero bene anche esempi di buona didattica (nel senso in cui la intende il sig. Marconato) per un’ altra disciplina, non per forza per quanto riguarda la matematica. Per il resto, sì, non ritengo utile quel tipo di didattica all’ insegnamento della matematica (non “di quello che spiego io”). Non la ritengo utile principalmente per tre motivi:

    a) Molti matematici e insegnanti di matematica ritengono proprio didattiche e metodologie di quel tipo responsabili di aver causato e di star causando in molti paesi Europei un tragico declino della preparazione degli studenti delle scuole elementari, medie e superiori; dopo aver sentito un pò entrambe le campane, sono propenso a dare ragione a loro. Naturalmente, questo non vuol dire che la ragione sia dalla nostra parte.

    b) Quel tipo di metodologia cozza inequivocabilmente con la natura della matematica come disciplina specifica e inquadrabile non ambiguamente all’ interno dello scibile umano.

    c) Quel tipo di didattica, secondo me, non tiene sufficientemente conto (e in molti casi per niente) dei pareri e delle esperienze raggiunte negli ultimi 200 anni dagli “addetti ai lavori” in fatto di didattica della matematica. Mi piacerebbe sapere se nelle biografie di una qualsiasi delle opere scritte da uno degli specialisti del sig. Marconato c’ è un libro scritto da uno dei matematici da me citati.

    Passiamo ad altro. Lei ha ragione a chiedere maggior precisione sul discorso dell’ impreparazione delle matricole che accedono ai corsi di laurea scientifici; non è affatto ingenua. Al riguardo, un ottimo riferimento è “Ipotesi sull’ università” di A.Guerraggio e M.Giaquinta. E’ un libretto di meno di 100 pagine su questo tipo di temi, ma con tanto di tabelle numeriche sugli accessi all’ università lungo tutto il secondo novecento. Conosco personalmente il prof. Giaquinta della Scuola Normale Superiore di Pisa, ricercatore di altissimo livello in Calcolo delle Variazioni ed Equazioni alle Derivate Parziali, valente maestro; posso confermare la sua enorme competenza in simili questioni.

    Ovvio che prima eseguo i passi 1-4 da lei citati (a parte che io consulto veramente poco wikipedia pur non disdegnandola, i miei ragazzi, universitari e non, studiano scienze lavorando su articoli presi dai pubmed, springerlink, sciencedirect). Contare le parole era giusto un esempio (forse limitato, incompleto) per farle capire cosa intendo per dato oggettivo.

    Guardi, mi tranquillizza non poco sentirle dire così; per un attimo pensavo davvero che si limitasse a fare il chi quadro sulle parole. Comunque non chiamerei “oggettivo” un dato del genere (almeno personalmente). Non lo riterrei neanche un “dato”, a dirla tutta. Lo riterrei semplicemente un’ informazione incapace di fornire alcuna descrizione in qualche modo utile del contenuto dell’ articolo. Forse il paragone non regge, ma è come se si volesse confrontare due articoli di ricerca matematica confrontando il numero di teoremi o il numero di formule; si potrebbe fare, ma a che servirebbe? Non mi sentirei di poter stabilire legittimamente alcuna “relazione d’ ordine” tra i due sulla base di un’ informazione del genere.

    Io ho individuato i termini chiave perchè sono anche indicatori di argomenti trattati.

    Beh, già questo ha molto più senso, secondo me.

    Con i colleghi non si discute di autorevolezza personale ma di dati.

    Veramente no. Dipende dall’ ambito. Con i miei colleghi discuto di matematica: nuove idee, nuovi approcci alla dimostrazione di un problema, costruzione di controesempi, ecc. Non si è mai parlato di “dati”, di nessun genere e riguardo a nessuna questione. Tutte le persone impegnate in qualche modo nella ricerca scientifica (fisica, matematica, ecc.,) che conosco e che non conosco, non parlano praticamente mai di dati.

    Visto che lei sostiene di aver sentito “molti” (quanti) colleghi lamentarsi, e visto che non dubito a priori della sua parola, mi chiedo appunto quanti siano che si lamentano, e quanti che non si lamentano, così avrò un dato più oggettivo. Le sembra di poco conto

    Se ci tiene: di tutti i professori universitari che ho conosciuto di persona (una cinquantina, su per giù), circa la metà si è lamentata dell’ impreparazione delle matricole, ma anche degli studenti più anziani (a suo tempo, me compreso). L’ altra metà non si è pronunciata. Devo dire, comunque, che i professori universitari non sono miei colleghi; non ancora, almeno.

    Mi spiego, se è provato che esiste un metodo più efficace per insegnare, ed io insegnante non ho voglia di impararlo, non va molto bene.

    Non va molto bene, ma, per il momento, penso che la cosa non mi riguardi. Penso di essere abbastanza a posto come didattica. Se dovessi avere sentore del contrario (anche grazie a questa discussione), o SE dovesse essere provata l’ esistenza di un metodo più efficace per insegnare la matematica, lo imparerò con gioia. Al momento, non ne vedo molti.

    Lei non pensa che la scuola abbia una grande responsabilità nell’educare i giovani e nel promuovere il progresso civile, sociale, di una nazione? Intendo dire, un certo modello scolastico può contribuire ad arrivare a un certo tipo di nazione?

    Io penso che questo sia l’ UNICO ruolo della scuola, senza discussione, e la penso come lei. Se sta dicendo che un certo tipo di scuola sia, oltre al resto, utile per veicolare e diffondere un qualche sentimento di fedeltà e dovuta obbedienza ai “capi”, sono d’ accordo. In Cina c’ è un tipo di scuola anche per motivi dissimili da quelli inerenti ai risultati che fornisce a livello di mera istruzione. Ma un tipo di scuola simile c’ è anche in Giappone e in Corea del Sud, paesi e società molto diverse da quella cinese. Dipende tutto dalla misura e dal buonsenso dei singoli.

    Il fatto che una persona insegni da tanti anni non vuol dire che insegna bene

    Giusto, ma lei ha sufficienti dati in mano per poter stabilire che il prof. Israel insegni male? E comunque, possono sempre essere utili il parere e le esperienze di un “addetto ai lavori”, specie se si sta parlando di didattica della matematica. Il fatto che Israel, magari, esageri nei confronti dei pedagogisti, è un altro paio di maniche.

    ma come stabiliamo chi è bravo e chi no?

    Secondo me, un buon metodo è quello che ci ha lasciato Gesù: “dai loro frutti li riconoscerete”. Mi sento di poter ritenere bravo un docente se è apprezzato dai suoi allievi, se trasmette conoscenze e capacità di servirsene con compenza e autonomia. Nel corso dei secoli sono stati, di nuovo, gli “addetti ai lavori” a occuparsi di valutazione. I matematici giudicavano i lavori dei matematici, I fisici quelli dei fisici, i medici quelli dei medici e compagnia bella. I risultati culturali conseguiti da una prassi del genere sono stati oltre ogni più rosea previsione. Non pensi, tuttavia, che non ci siano stati inconvenienti, anzi. Rivalità tra scuole, rancori personali, censure, mancato riconoscimento di talenti, ecc. sono sempre stati all’ ordine del giorno. Conosce la vicenda di Evariste Galois o di Niels Henrik Abel? Il punto è che, secondo me, non si otterebbe nulla dando le redini della valutazione solo ad una congrega di “esperti” non meglio identificati, incompetenti nella materia su cui devono deliberare e incapaci di distinguere un inetto da un genio. Ci saranno sempre delle imparità e delle ingiustizie finché qualcuno dovrà “valutare” l’ altro; questo è il puro stato delle cose, la verità dei fatti. Ma cercare la perfezione ostinandosi a voler togliere tutti i singoli difetti può portare (ed ha portato, in effetti) solo guai a non finire, mi creda.

    Israel potrebbe essere il migliore nello stabilire se uno studente sa o non sa la matematica ma non nello stabilire come la matematica debba essere insegnata o (più genericamente) come una materia debba essere insegnata

    Ha pienamente ragione, ma questo vale per lei, per me, per Marconato, per Mariaserena, per Von Neumann, per tutti quanti. Posso solo dirle che, se vuole la perfezione, la rimando al punto precedente. Israel conosce la matematica e la scienza, specie ed eccellentemente nel loro sviluppo storico-critico; conosce alla perfezione le opere dei grandi sulla didattica di queste discipline e, sulla base di tutto ciò, ha ragione (secondo me) a dire che i risultati che si possono ottenere tramite certi metodi didattici specifici per i vari campi non sono paragonabili agli altri. Non è un “atto di fede”; semplicemente, sulla base di quanto io abbia studiato, letto, approfondito, capito e sperimentato con colleghi amici, studenti, ecc. , ritengo che abbia ragione; punto.

    Mi creda, sarebbe bello avere una ricetta che funziona sempre, io penso che si possa solo dire cosa in assoluto è da evitarsi

    Sarebbe già qualcosa, per questo ho parlato della mia didattica.

    Però si sforzi un po’ di provarli sti metodi prima di liquidarli.

    Beh, nella maggior parte dei casi non ho ancora compreso cosa dovrei provare, comunque le ho promesso che avrei provato il metodo che mi ha consigliato sull’ “autovalutazione”.

    Il suo dire mi ha tratto in inganno, comprenderà che le necessità della scuola media inferiore, della scuola media superiore, sono diverse da quelle universitarie

    Comprendo perfettamente, è chiaro.

    Le creazioni matematiche che ho bollato come inutili (mi ostino a non mettere le virgolette) sono sicuramente inutili nella scuola dell’obbligo e forse anche nei licei…ma qui non mi sbilancio. Magari se ne potrebbe parlare

    Se ne potrebbe parlare, e come! La verità è che quelle nozioni non sarebbero inutili neanche all’ asilo! Sono tra le idee più sublimi mai concepite da un cervello umano. Ma non sto semplicemente “straccciandomi le vesti” perché non mostra sufficiente rispetto verso “la saggezza degli antichi”. E in quelle stesse nozioni che, secondo me, c’ è la chiave per una didattica migliore. Mi spiego: quello che penso è che molta disaffezione per la matematica nella scuola sia dovuta anche ai programmi e agli argomenti che si trattano solitamente. Alcuni argomenti, specie tra quelli di base, è inutile dirlo, non brillano certo per bellezza o estetica; sono noiosi e ripetitivi, così come sono noisi e ripetitivi tutti i primi passi verso ogni nuovo orizzonte. Sto pensando al calcolo algebrico, alle equazioni/disequazioni algebriche/logaritmiche ed esponenziali/trigonometriche, ecc. Sia chiaro, sono nozioni assolutamente necessarie, noia o non noia. Eppure basta poco per partire da quelle nozioni e iniziare a trattare problemi molto più interessanti ed esteticamente stimolanti. Basti pensare ai problemi sui numeri primi, un settore con una teoria alla portata della comprensione persino di un bambino, almeno in parte. E lì basta un minimo per proporre allo studente problemi sulla decomposizione in primi di un intero, sulla dimostrazione di Euclide dell’ infinità dei primi, sulle versioni semplificate della Congettura di Goldbach (ogni numero pari è somma di due primi), questioni che possono essere davvero affascinanti e che non mancano di far “abboccare all’ amo” un alunno minimamente interessato. Ecco, io penso che una buona proposta di innovazione didattica sia, per esempio, quella di insistere su un parziale cambiamento dei programmi verso “lidi più scintillanti” e argomenti più interessanti.

    Non voglio fare polemiche sul come è nata la matematica. La mia collega, […], apre, […], con questa frase “i numeri naturali sono stati inventati dai pastori per contare le pecore”.

    Se è per questo, Leopold Kronecker, insigne matematico tedesco dell’ 800, diceva “Dio fece i numeri naturali; tutto il resto è opera dell’uomo”. Come diceva Von Neumann, la genesi della creazione matematica va ricercata talvolta (non sempre) a livello empirico, questo è certo. Fin dai tempi degli egizi, i rettangoli e i quadrati erano astrazioni dei campi da misurare e arare. Il punto è che, a partire da un certo punto e nella maggioranza dei casi, la creazione matematica si dilata e si sviluppa autonomamente in molte direzioni, completamente svincolandosi da ogni riferimento empirico. Citando un altro gigante della matematica tedesca, David Hilbert: “non è necessario assegnare alcun significato esplicito ai concetti matematici. La geometria deve funzionare anche se si sostituissero gli elementi punto, retta e piano con tavoli, sedie e boccali di birra”. Tutto ciò non vuol dire che in matematica non ci sia l’ applicazione al reale, o che non ci debba essere. Vuol dire che il matematico o lo scienziato che applica un ente matematico astratto ad un problema concreto e reale è CONSAPEVOLE di fare una cosa completamente diversa dalla matematica pura. Anche se può sembrarlo, non è banale. La matematica nasce proprio come attività puramente speculativa e teorica, dalla scelta di una persona di non voler concentrare la propria attenzione ad un problema reale e concreto. Anche quando si ha in mente di studiare un preciso fenomeno reale, per esempio fisico, si usa la matematica per non ricorrere all’ approccio “diretto”, cioè la conoscenza del fenomeno attraverso i sensi. Quando Johann Bernoulli nel 1697 propose il problema della Brachistocrona (va bé, stavolta vada per Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Brachistocrona) nessuno si mise a fare esperimenti pratici misurando i tempi di discesa del peso per diversi profili e cercando di intuire quale fosse quello ottimale. Si usò la matematica come precisa scelta di un approccio astratto e “indiretto” al problema. Fin dalle elementari, se ci imponessimo di presentare ai bambini la matematica come necessariamente “applicativa”, non favoriremmo l’ emergere di una solida capacità di astrazione. Il bambino alla fine si chiederebbe perché dovrebbe preferire un approccio indiretto alla risoluzione di quei problemi che pare (PARE) più agevole e naturale affrontare direttamente, usando gli occhi e le mani.

    Lei a volte sembra manifestare una certa voglia di conoscere nuovi metodi, e poi però li denigra liquidandoli in modo superficiale, sminuendo chi del metodo ne ha fatto lo studio di tutta una vita. Arrogandosi il diritto di sindacare su cosa sia la matematica e pretendendo che il concetto sia unico in ogni ordine e classe scolastica.

    Sono dispostissimo a conoscere nuovi metodi, però non a costo di taroccare la matematica e renderla altra da sé. Inoltre, penso di poter stabilire cosa sia la matematica, specie se mi appoggio al pensiero dei suoi maggiori esponenti, presenti e passati. Il concetto è esattamente LO STESSO IN OGNI ORDINE E CLASSE SCOLASTICA e ci mancherebbe altro! Cambiano gli argomenti e i livelli di approfondimento, oltre ad alcuni altri dettagli, ma non è qualcosa di “democratico”. Altrimenti cosa facciamo, torniamo alle “matematiche personalizzate” di prima? La matematica è una sola e come tale va presentata; lo stile di elaborarla e i metodi di risoluzione dei singoli problemi possono e devono essere personalizzati, ma è sempre il docente che deve vigilare e saper distinguere tra idee innovative e semplici assurdità.

    Ricordo che alla fine della lezione 400 persone mormoravano “è un genio”, ma non si riferivano a Einstein, si riferivano a Ferrero che aveva saputo trasmettere la conoscenza in modo efficace, puro, semplice ed al tempo stesso geniale.

    Con tutto il rispetto, ma lei pensa davvero di poter comprimere un argomento come la relatività generale in una singola lezione e con una semplice triangolazione pitagorica? Quella lezione è stata una sintesi molto ben bilanciata tra brevità e chiarezza, ma mi permetto di dirle che un argomento del genere lo si conosce approfonditamente (nei vari dettagli matematico-filosofici e nelle varie sfumature) o non lo si conosce affatto. Lei sarebbe capace, solo sulla base di quella lezione, a derivarne tutte le implicazioni (comprese le equazioni di campo), a generalizzare e ad andare avanti, magari verso un’ idea originale per unificare la teoria della relatività alla meccanica quantistica? Questo è esattamente quello che dicevo in precedenza riguardo ai “trucchi”; sono utili per riassumere e sintetizzare, ma la conoscenza approfondita e critica è un altra cosa.

    Allora qui non posso che concordare con Marconato, e ammettere con dolore che la restaurazione del grembiulino sarà il primo strumento per mantenere l’immobilismo sociale. Chi ha i soldi sarà sempre più motivato, chi non li ha sempre più bocciato. Fa anche rima!

    Secondo me è esattamente quello che avverrà, con o senza grembiulino. Ma lei che ne dice delle critiche di Lafforgue sul fatto che, in Francia, sia proprio la scuola in mano ai pedagogisti una causa dell’ immobilismo?

    Della serie, so perfettamente come si deve lavorare, ottengo risultati senza intimorire nessuno (così pare), senza farne questioni di autorità e bocciatura, ma, sarei più contento se potessi farne?

    Neanche per sogno. Ho detto prima che, in fondo, i miei studenti non sono mai stati indisciplinati. Però saprei come agire, nel caso che uno studente intenda passare il resto della lezione a fare chiasso e a disturbare gli altri improduttivamente. Lo metterei elegantemente e senza tanti complimenti alla porta, senza ulteriori discussioni. Se ritengo opportuno che uno studente svolga dei compiti a casa e, per un motivo non valido, ciò non avviene, non ho alcun problema ad esprimergli il mio disappunto. Non credo di agire in modo poi così “repressivo”, bensì abbastanza equilibrato; lei che ne pensa?

    Un corso di recupero è diverso dal corso vero e proprio. Cambiano molte cose tra cui anche la motivazione dell’alunno.

    Già, è una situazione più difficile. Spesso sono i genitori ad imporre agli studenti la frequentazione di un certo numero di ore, lo studente non mi conosce, si riduce il tempo per fare i compiti, ecc. Tuttavia finora sono sempre riuscito ad avere attenzione e partecipazione. E’ vero come non si possa paragonare in toto le mie esperienze con le sue, dal momento che (se ho ben capito) ha classi fisse almeno per un anno. Però mi è capitato spesso di avere gruppi di studenti per diversi mesi di seguito, quindi so cosa vuol dire instaurare un rapporto più durevole con loro. Alcuni li ho presi all’ inizio dell’ anno e li ho lasciati alla fine, come per lei.

    Sono felice che lei sia un insegnante efficace, mi spaventa un pochino il suo proselitismo del grembiulino.

    Mi permetta di confessarle che preferirei di gran lunga discutere con lei su aspetti della scuola ben più importanti del grembiulino. Comunque sia, tempo fa Marconato mi disse che sperava che qualcuno “ci” fermasse “politicamente”. Siccome ravviso in lei la stessa speranza, vorrei ricordare a tutti che basta vincere le elezioni.

    Mi pare di capire che pur disponendo di tutti gli strumenti didattici necessari al suo lavoro lei preferisce una didattica “vecchio stampo

    Io preferisco una didattica EFFICACE; se ne esiste una sola, preferisco quella. Penso che in matematica ce ne sia una sola, ma posso benissimo sbagliarmi. La domanda è se possa essere efficace una didattica che, applicata alla matematica, la trasformi in altro da sé. Ad ogni modo, mi stupisce non poco che la mia didattica venga ritenuta “vecchio stampo”. Stando ai miei ricordi personali, i miei insegnanti adottavano metodi molto diversi; per esempio, non mi hanno mai chiesto di interromperli nell’ eventualità che non seguissi più il filo della spiegazione. Comunque sia, riconosco di avere un ricordo molto positivo di alcuni (ALCUNI) di loro, nonostante tutto.

  7. Mariaserena
    io mi sono permesso di “autoeleggermi” solo modesto conoscitore delle opinioni del prof. Israel, ma solo perché lo conosco da qualche anno, ho letto tutti i suoi libri, ho letto tutti i suoi articoli e frequento da tempo il suo blog. Penso di aver avuto ragione, visto che persino il sig. Marconato ha detto di non conoscere a fondo le opinioni e le critiche di Israel. Dopodiché non mi sono mai proposto “interlocutore esperto di didattica”, bensì semplicemente dotato di una modesta esperienza nel campo della didattica DELLA MATEMATICA. Le critiche che ho espresso non erano, lo ripeto ancora, alla metodologia e alla didattica “tout court”, né avrei potuto sostenerlo legittimamente. E’ inutile che insisto su questo punto perché ho già riassunto nel post precedente. Dopodiché se lei mi considera esperto in “tutto e tutti” solo perché mi sono permesso di citare delle persone che hanno lavorato nel campo della matematica e della scienza e hanno detto la loro sulla sua didattica, non so che dirle. Non intendevo fare sfoggio di chissà quale erudizione; semplicemente, ho portato all’ attenzione di tutti il pensiero di alcune persone perché pensavo che avrebbe contribuito a spiegare meglio le mie opinioni. Se non lo avessi fatto, magari mi avrebbe detto di smetterla di cianciare a vanvera con la teoria e di fornire le fonti e le giustificazioni di quanto andavo dicendo. Non ho “insistito” assolutamente per avere “risposte, informazioni, documentazioni”; ho detto la mia, Marconato mi ha dato dei link per cercare di farmi capire meglio le sue tesi, ho letto quel materiale (e anche altro), ho espresso il mio parere, Marconato mi ha risposto, ecc. Più che altro, ho insistito per avere un vostro parere sulla mia didattica, per esempio.

    Tutto questo (no, non parlo certo per me e per le empiriche risposte, ma per quelle avute dagli altri interlocutori) costituisce un patrimonio di esperienze e conoscenza cui lei risponde solo con opinioni personali e citazioni altrui, ma esclusivamente sulla base di brevi (per sua stessa recentissima ammissione) esperienze e competenze scolastiche e indefiniti studi specialistici.

    Guardi che anche le fonti alle quali mi sono rifatto, tutto quello che ho letto e studiato finora sulla storia della scienza e della matematica (e anche sulla loro didattica) costituiscono un “patrimonio di esperienze e conoscenza”. Le mie risposte non sono state solo opinioni personali (che pure penso di avere il diritto di dare senza imporle agli altri come verità). Quello che dicevo principalmente sulla matematica, ma anche sul modo di studiare in alcuni paesi orientali, ecc. non è affatto un opinione personale; è un dato di fatto. E’ UN FATTO che la matematica funzioni come ho cercato di spiegare.

    E credo che ciò che lei ha già gratuitamente ottenuto, dovrebbe apprezzare e lungamente meditare scoprendo, come tutti abbiamo fatto, anche i cosiddetti fondamentali.

    Non ho mai detto di non aver “apprezzzato” (salvo forse su pochi specifici temi) le risposte che mi hanno dato. Anzi, ho detto che ho trovato e trovo molto interessante una discussione del genere. Ho detto che non vedo alcuna assurdità di principio nel cercare di elaborare una teoria generale della metodologia didattica; casomai i problemi sorgono DOPO, quando si debba applicare quelle teorie all’ insegnamento di qualcosa. “Apprezzare” non vuol dire “condividere”, e meno che mai condividere “in toto”. Forse non c’ ha fatto caso, ma su alcune posizioni sono d’ accordo con lei e con il sig. Marconato. Infine, permetta di dirle che trovo francamente risibile il fatto che mi venga a dire che non dovrei risponderle sulla base delle mie “brevi esperienze e e “competenze” (?) scolastiche”. Ma come, non bisognava “fottersi dei titoli accademici”, contrastare il cristallizzarsi di ogni idea consolidata e tradizionale sulla sccuola, fare largo a nuove idee e nuove opinioni, depennare la pratica repressiva dello studente che riverisce il docente in virtù del suo maggiore sapere e della sua esperienza? Venendomi a dire quello che mi ha detto, dà quasi l’ impressione di essere liberale a corrente alternata, non crede? So bene che lei ha un esperienza immensamente maggiore della mia in fatto di insegnamento; è per questo che le ho detto la mia didattica e mi sono detto disponibile e curioso ad ascoltare pareri. Israel apprezza che siano sempre di più le persone che condividono le sue opinioni, ma solo ed esclusivamente perché ama insegnare e sa quali saranno le conseguenze di quello che ha definito “disastro educativo” se non si farà qualcosa di sensato per contrastarlo, tanto per cambiare. Non ha mai espresso a me personalmente un particolare apprezzamento, se è questo che vuole sapere, ma la cosa non mi interessa neanche un po’. Dopo tutto quello che ho imparato da lui, sono io a doverlo apprezzare e non viceversa, casomai. Non sto a discutere con lei perché spero di essere “notato” e “apprezzato”, ma perché lo trovo utile, ma le dirò di più. Molti pensano che “dall’ altra parte” ci sia solo gente serva, che obbedisce e si mette al servizio e alle lusinghe di qualcuno; semplicemente, non è così. Rispedisco al mittente il termine “Gelminiano” e concludo dicendo che i miei “studi specialistici” le sembrano “indefiniti” solo perché non ne abbiamo parlato. Ma che età mi darebbe?

  8. @Saccoccio
    Antonio, devo dirti che questa lunghissima discussione meriterebbe di essere studiata e analizzata, oltre che entrando nel merito degli argomenti sostenuti, anche dal punto di vista della fenomenologia e dinamica delle discussioni in rete. Già a prima vista offre una ricca varietà di motivi e spunti per una (meta)riflessione da parte di chi utilizza o cerca di utilizzare con “cognizione di causa” questi strumenti. Ancor più se vuole impiegarli in contesti educativi.
    Chiedo scusa per l’off topic …

  9. @Gianni

    ancora una volta, caro Marcello, ti dico che una certa pedagogia, una certa didattica non vale solo per gli adulti ma anche per i non adulti. Quando si tratta di apprendimento, la nostra zucca funziona sempre allo stesso modo; quello che cambia è, caso mai la didattica


    Gianni, penso proprio che sarebbe interessante affrontare, prima o poi, questo argomento in maniera approfondita e avvertita …

  10. Marinelli se definisco “gelminiano” G.Israel non credo che valga la pena di rispedire nulla a nessun mittente; la collaborazione di Israel con Gelmini non è un segreto per nessuno e credo che il ministro si avvalga del tutto legittimamente, e come hanno fatto i suoi predecessori e faranno i ministri che verranno dopo di lei, delle consulenze di chi considera esperto. Non c’è nulla di insolito e certamente io non eccepisco, la mia era una connotazione assolutamente neutra. Chi fa politica è abituato sia consenso sia al dissenso democraticamente espressi.

    L’età di ciascuno è, se vuole farla conoscere, in rete; se avessi voluto conoscere la sua l’avrei cercata o chiesta.
    Non parlo di età nel mio commento.

  11. Mariaserena,
    le chiedo scusa. Pensavo che con “gelminiano” si riferisse a me.

  12. @ Su la scuola che funziona si stava anche discutendo di un nuovo profilo professionale per l’insegnante che vive la realtà dei nuovi media.
    L’intersezione è molto interessante.

  13. Il mio parere (del tutto personale) è non concentrarsi troppo sulle “novità” senza prima essersi soffermati su quelle nozioni necessarie ad una buona comprensione.

    Io, invece, sono più propensa a credere che l’attualità dell’informazione sia fondamentale, un requisito irrinunciabile. Quindi quello che faccio è fornire le basi per comprendere l’attualità, ma parto dall’attualità, non dalle basi. So che a prima vista può apparire complicato, ma le assicuro che è altamente motivante.

    Un esempio pratico, le va?

    Il programma di scienze, di prima media, prevede tra le altre cose, lo studio degli invertebrati. La curiosità di un ragazzino di 11 anni, per l’ape, per la farfalla, si estingue in circa 15 minuti. Primo perchè il libro di testo dedica su per giù una pagina alla trattazione, secondo perchè per l’undicenne è assolutamente inutile e noioso conoscere i nomi di tutte le parti del corpo di un insetto.

    Se mi limitassi al programma del MIUR, degli invertebrati i miei ragazzi non saprebbero un fico secco.

    “Qualcuno di voi ha mai sentito parlare di indice biotico?” chiedo. Qualcuno cerca speranzoso sul libro, altri sul dizionario, pochi ragionano sulla parola. Io spiego che l’indice biotico serve a valutare la salute ambientale di un corpo idrico…e parliamo di protocolli, di faccende molto reali e molto serie. Cose da adulti (come dicono i miei colleghi spesso). Le garantisco che tutti, anche i più zuzzurelloni iperattivi si interessano della cosa.

    “vi piacerebbe provare a calcolare l’indice biotico della nostra Sturetta?”

    Così prendiamo qualche campione di acqua, e ci attreziamo di lente, retino, microscopio, computer. Fotografiamo le bestiole e le studiamo.

    “qui dice che se ha tre cerci è un plecottero” urletta Cinzia…
    “guarda che per essere un plecottero deve avere anche il doppio uncino sull’arto” risponde Umberto
    “cos’è un arto?” – ” è la gamba scemo!”

    si fanno domande e si danno le loro risposte, a volte anche nude e crude, mentre io pazientemente vigilo e rispondo quando vengo interpellata.

    Non finisce qui. “Prof, abbiamo trovato 3 plecotteri, 2 tricotteri, etc etc etc” io controllo…
    “bravi, ottimo lavoro”
    Com’è il fiume? sporco? è pulito?” mi chiedono…

    “consultiamo la tabella”

    rispondono

    “qui dice che se i plecotteri vanno da 3 a 5 l’acqua è pulitaaaaaa”

    “Attenzione!” dico allora io “che non si parla solo di numero, ma di specie, di genere…” e ragioniamo sulla nomenclatura sistematica. Parliamo di chi l’ha ideata, di storia, di scienze, di storia della scienza, di biodiversità.

    In 3 ore di scienze i miei fanciulli conoscono più parole sugli invertebrati di quelle che potrei insegnare loro leggendo il libro per 8 ore. Sviluppano un linguaggio pertinente, la consapevolezza di un metodo, la capacità di collaborare, di confrontarsi.

    Relazionerò l’esperienza sul mio blog personale a maggio. In realtà è un percorso che portiamo avanti da ottobre, e gli invertebrati sono solo l’ultimo degli argomenti trattati. L’esperienza sarà anche presentata ad un concorso.

    visto che da quando ho scoperto questo blog sto passando al setaccio alcune mie opinioni consolidate e alcuni miei comportamenti avuti in passato con alcuni studenti: ne sono felice. Anche io, leggendola mi sono posta domande a cui sto cercando di dare una risposta. Ad esempio mi chiedo se i contenuti da me trasmessi alle medie siano quelli che lei considera necessari all’università. Fino ad ora ho fatto affidamento sulla mia esperienza personale, ma credo sia positivo questo confronto. Approfondiremo?

    Treccani e Britannica non le ho qui a disposizione. Vedo se le trovo in facoltà, non so quante sciocchezze ci potrò trovare sopra. Mi preoccupa di più la vetustità, ma su questo mi ci sono già fermata.

    Sulla didattica adatta alla matematica, secondo me c’è un grosso equivoco di fondo. Mi pare di capire che lei sta in parte già utilizzando un modello “Marconato”, un modello “empatico”. Lo capisco da come ha descritto le sue lezioni.
    Sui saperi di base da trasmettere c’è moltissimo da discutere, ma non necessariamente in disaccordo, in generale, le assicuro che sul network si sta proprio valutando l’importanza dei saperi di base da trasmettere.

    Nessuno di questi signori pretende di dare la ricetta per insegnare la matematica e soprattutto di sindacare sui contenuti da trasmettere (correggimi se sbaglio, Gianni). Le dirò, solo IO, avanzo ipotesi in quel senso mi pare. Del resto, come insegnante di matematica come potrei non avanzarne? Però, più che mai mi sta a cuore sapere cosa pensa lei dei contenuti da trasmettere.

    Mi pare di capire che il grosso dello scontro ideologico non sia in realtà sul modo di insegnare. Come già detto il suo non è certo un metodo fascista, si ritenga assolto dall’accusa che le ho forse incautamente mosso (questa è una battuta, spero ci faccia un sorriso). Alla fine della fiera conta quel che si fa, non le pare? Il grosso dello scontro è sull’idea che una scuola più intransigente (quando parlo di grembiulino intendo questo, e non la divisa in sè), una scuola che fondi la sua autorevolezza sui voti di condotta e la sua capacità di trasmettere contenuti di qualità sui bocciati, sia la scuola che può salvare i giovani dall’ignoranza e dall’abbruttimento culturale.

    Invece noi pensiamo (correggetemi tutti se sbaglio) che la trasmissione del sapere si fondi sull’interesse che un insegnante riesce a instillare nel suo discente, sulla relazione che si crea, sul rispetto che ne deriva, e che la buona qualità della scuola si possa misurare nella cultura che genera, che questo stesso sapere sia la referenza di buon insegnamento.

    Inoltre, qui si dibatte duro sul fatto che internet debba essere esplorato con i ragazzi e non relegato al tempo casalingo.

    Lei è un ottimo insegnante perchè riesce a ridare voglia di farcela a chi è addirittura costretto dai genitori. In questo senso, lei è un medico da pronto soccorso, da prima linea, se ne rende conto?

    IO credo che la responsabilità dell’insegnare è dell’insegnante. La mia è una posizione scomoda se ci pensa, è molto più facile dire: sono svogliati.

    Ok, sono svogliati? Ne prendo atto, qualcuno li ha resi svogliati, però lei riesce a motivarli. Percepisce cosa intendo?

    Lei è l’insegnante allenatore, è quello che manda in campo il ragazzo e lo prepara per la partita. Un insegnante come lei come può accettare il termine “asino”, quando è sotto i suoi occhi la realtà. Prima non sapevano, ora sanno. Nessun somaro diventa un cavallo. Se fossero davvero somari tali resterebbero.

    Qui, in questo BLOG siamo tutti insegnanti allenatori. Come può non riconoscersi nel nostro pensiero?

    Il libretto del Prof. Gaquinta mi interessa molto. Mi prende per la gola se parla di studi razionali. Può farmene avere in mail un PDF?

    Non si è mai parlato di “dati”, di nessun genere e riguardo a nessuna questione.

    è chiaro che veniamo da due mondi di ricerca scientifica molto diversi. Io provengo da 10 anni di ospedale e per noi i dati, i protocolli utilizzati e il confronto critico è fondamentale. Mi stupisce però che in articoli di fisica non si parli di materiali e metodi e di risultati. Non so, forse ancora una volta non ci si riesce a spiegare bene.

    Quindi il 50% dei professori universitari di Pisa (giusto?) si lamentano dei loro studenti.

    Mi consenta l’espressione “che brontoloni!”

    Scherzi a parte, perchè dovrebbero aver ragione loro? Perchè non l’altro 50%? (ste manie dei numeri). Io credo che questi insegnanti abbiano problemi relazionali. Senza relazione non c’è educazione. Perchè un ragazzino dovrebbe essere più propenso a studiare ed a comportarsi bene con un certo 50% degli insegnanti e con l’altro 50% no?

    Mi pare bizzarro. I maleducati restano tali ovunque. Non è che con Marinelli sono educati e con Israel non lo sono. (Magari poi Israel insegna benissimo, instaura perfette relazioni ed io non lo so. Ho detto Israel potevo dire Saccoccio, Favaron, Galizia, Marconato etc.)

    Guardi io sostengo la posizione più scomoda che in questo momento si possa pensare di sostenere. Se la scuola non funziona la colpa è degli insegnanti (non sparatemi) e del modo in cui la scuola è concepita. (quindi concedo ai colleghi, e mi concedo, delle attenuanti. Ma non molte).

    Ed ovviamente sostengo che bocciare di più non renderà la scuola migliore, nè la società in cui viviamo, ma anzi peggiorerà la faccenda.

    Bocciando di più, tutti i professori brontoloni potranno sgravarsi le loro responsabilità, non dovranno chiedersi se stanno insegnando. Chi impara bene chi no resta bocciato. Quindi altro che percorso meritocratico, quelli come Lei, Marinelli, resteranno fuori dall’insegnamento, e quelli che si lamentano, che non sanno insegnare, continueranno a sguazzarci.

    Lei andrebbe a vivere in Giappone o in Corea del Sud? Dove si fa sciopero lavorando con la striscetta nera del lutto?

    Giusto, ma lei ha sufficienti dati in mano per poter stabilire che il prof. Israel insegni male? E comunque, possono sempre essere utili il parere e le esperienze di un “addetto ai lavori”, specie se si sta parlando di didattica della matematica. Il fatto che Israel, magari, esageri nei confronti dei pedagogisti, è un altro paio di maniche.

    Non li ho, ma il suo modo di parlare dei ragazzi mi manda in bestia. Tira fuori il peggio di me e mi chiedo come una persona del genere possa relazionare con le nuove generazioni. Sono felice che almeno si riconosca la sua esagerazione nei confronti dei pedagogisti. Io devo molto a questi studiosi, per me, sono stati un faro illuminante.

    Ora che ha dettagliato anche le “creazioni matematiche” la rassicuro. Il mio punto di vista non è così lontano dal suo. Ad esempio, fin dalla prima media i miei ragazzi lavorano sulla costruzione delle definizioni matematiche, e con grande passione.

    Il cerchio? Se domani scendesse sulla Terra un marziano e tu non potessi disegnargli il cerchio, ma dovessi spiegargli che cosa è un cerchio, come lo definiresti?

    Loro partono dalla linea chiusa, e io gli faccio notare che non è un cerchio…e si arriva con le loro parole a:

    è l’insieme dei punti equidistanti da uno stesso punto detto centro…e poi al luogo dei punti equidistanti da uno stesso punto detto centro. La ricerca del modo migliore per definire gli enti geometrici è un gioco che piace molto.

    Ecco, io penso che una buona proposta di innovazione didattica sia, per esempio, quella di insistere su un parziale cambiamento dei programmi verso “lidi più scintillanti” e argomenti più interessanti.

    Penso che su questo concordiamo tutti. Mi creda, da Marconato a Saccoccio nessuno qui, me compresa, vuole la semplificazione dei programmi.

    Fin dalle elementari, se ci imponessimo di presentare ai bambini la matematica come necessariamente “applicativa”, non favoriremmo l’ emergere di una solida capacità di astrazione. Il bambino alla fine si chiederebbe perché dovrebbe preferire un approccio indiretto alla risoluzione di quei problemi che pare (PARE) più agevole e naturale affrontare direttamente, usando gli occhi e le mani.

    Non funziona proprio così. Guardi mi ha dato lo spunto per un nuovo capitolo su scuola&scuola qui il dettaglio sarebbe lunghissimo. Posso anticiparle che richiedere un’astrazione dove la mente non è ancora preparata a farla può essere molto pericoloso. Possono subentrare discalculie e problemi di apprendimento davvero noiosi. Se è vero che la discalculia ha una sua origine organica, fattori ambientali/sociali possono peggiorarla. La stessa cosa vale per l’ortografia. Da quando si è passati al sistema di insegnamento anglosassone sono aumentati tantissimo i casi di dislessia. Il dato mi è stato consegnato ad un corso di aggiornamento e lo ritengo credibile.

    Fino a qualche anno fa, l’Italia non conosceva la dislessia, problema noto in tutto il mondo anglosassone. La nostra lingua perfetta in corrispondenza grafema/fonema, aiutava tantissimo il dislessico.

    Non a caso l’Esperanto nasce con corrispondenza fonema-grafema.

    Io concordo con lei che nei ragazzi va potenziata la capacità di astrazione, ma pian pianino.

    Lei sarebbe capace, solo sulla base di quella lezione, a derivarne tutte le implicazioni (comprese le equazioni di campo), a generalizzare e ad andare avanti, magari verso un’ idea originale per unificare la teoria della relatività alla meccanica quantistica? Questo è esattamente quello che dicevo in precedenza riguardo ai “trucchi”; sono utili per riassumere e sintetizzare, ma la conoscenza approfondita e critica è un altra cosa.

    Sicuramente io non posseggo una conoscenza approfondita e critica riguardo la teoria della relatività di Einstein, ma l’approccio utilizzato è altamente coinvolgente e nel caso il corso di laurea lo preveda (non era il mio caso) aiuta lo studente ad avvicinarsi ad un tema così complesso. Il passo successivo che Ferrero avrebbe potuto fare come insegnante era dirci “bene, ora che avete capito dove volevo arrivare ci arriviamo per un’altra strada, più completa, che vi permetterà di criticizzare questa fantastica scoperta”

    Le assicuro, lo avremmo seguito fin da Rubbia.

    Resta estremamente positivo il suo dono. La motivazione allo studio, alla scoperta. Non le pare?

    Lafforgue: andrò a dargli un occhiata. Forse in Francia è così, qui in Italia non penso. Io penso che l’immobilismo derivi dal fatto che ci sono pochi insegnanti che lavorano secondo quanto consigliato dai pedagogi e che, non ci siano linee guida sufficientemente dettagliate e semplici.

    Insomma, alla fine ognuno fa a modo suo e chi fallisce dà la colpa agli studenti.

    La domanda è se possa essere efficace una didattica che, applicata alla matematica, la trasformi in altro da sé.

    Ma perchè dovrebbe? Poi, forse lei ha già una didattica efficace, è capitato qui a difendere Israel e si è messo in discussione sulla didattica…mi pare che il nocciolo della questione sia questo.

    Ad ogni modo, mi stupisce non poco che la mia didattica venga ritenuta “vecchio stampo”.

    Una volta che lei ha dettagliato il metodo, nessuno di noi (io non avevo ancora letto) l’ha definita vecchio stampo.

    E’ stato definita di vecchio stampo la sua idea di restaurazione Israel liana.

  14. Io, invece, sono più propensa a credere che l’attualità dell’informazione sia fondamentale, un requisito irrinunciabile. Quindi quello che faccio è fornire le basi per comprendere l’attualità, ma parto dall’attualità, non dalle basi. So che a prima vista può apparire complicato, ma le assicuro che è altamente motivante.

    Oserei credere che un tale approccio funzioni, infatti, più per una materia come scienze e biologia. Così facendo, non fatico a credere che riesca a catturare molto facilmente l’ attenzione della sua scolaresca. Però, sinceramente, non saprei come fare ad applicare un metodo del genere alla matematica, ove è spesso necessario fare diverse premesse prima di arrivare al cuore del discorso. Lì il nocciolo della questione non è quasi mai evidente, e non si può neanche parlare di “attualità dell’ informazione”.

    esempio mi chiedo se i contenuti da me trasmessi alle medie siano quelli che lei considera necessari all’università

    Non saprei, visto che (se non vado errato) non mi ha ancora parlato di questi contenuti. Comunque, il mio parere è che alle medie si potrebbe anche fare solo lo stretto indispensabile (ossia la parte più “brutta” e molto migliorabile con consistenti iniezioni di “matematica estetica” come la intenderebe Hardy), ma che occorra insistere con gli esercizi e l’ allenamento al ragionamento autonomo di fronte ai problemi (non tutti uguali).

    Sulla didattica adatta alla matematica, secondo me c’è un grosso equivoco di fondo. Mi pare di capire che lei sta in parte già utilizzando un modello “Marconato”, un modello “empatico”. Lo capisco da come ha descritto le sue lezioni.

    Davvero? Non l’ avrei detto. Questa cosa mi mette un pò in crisi. Lei, Marconato, cosa ne pensa?

    Nessuno di questi signori pretende di dare la ricetta per insegnare la matematica e soprattutto di sindacare sui contenuti da trasmettere (correggimi se sbaglio, Gianni).

    Beh, da quello che ho letto e (forse) capito, Schank (ormai mi fisso con lui) parla in termini molto forti di “didattica” e di “sapere”, ma in senso generale, per cui mi sono sentito autorizzato a pensare che le sue teorie si rivolgessero anche a chi insegna matematica. Mi sbaglio?

    Però, più che mai mi sta a cuore sapere cosa pensa lei dei contenuti da trasmettere.

    Le ho già detto quello che penso. I contenuti sono sempre quelli non si può sostituirli con altri. Invece si possono aggiungere qua e là alcuni singoli argomenti, famosi esempi, questioni anche irrisolte per spingere un pò più in là la “visione” degli studenti in matematica. Insomma, lo dico senza peli sulla lingua: oggi uno studente pre-universitario generalmente non ha la minima idea di cosa sia la matematica in realtà, di che problemi si occupi, a che accidenti serva. La vede come un insieme di tecniche preconfezionate e immutabili da archiviare nella propria mente. Quello che dovremmo riuscire a fare, invece, è aprire almeno delle “finestre” sul lato “affascinante” della matematica, sul perché qualcuno, n anni fa, si è messo a ragionare sulla quadratura del cerchio o sulla duplicazione del cubo. Era completamente pazzo o è stato irresistibilmente astratto da un universo di forme meravigliose e logica cristallina?

    Invece noi pensiamo (correggetemi tutti se sbaglio) che la trasmissione del sapere si fondi sull’interesse che un insegnante riesce a instillare nel suo discente, sulla relazione che si crea, sul rispetto che ne deriva, e che la buona qualità della scuola si possa misurare nella cultura che genera, che questo stesso sapere sia la referenza di buon insegnamento

    Quoto in pieno, specie l’ espressione TRASMISSIONE DEL SAPERE. Il problema, al solito, sorge quando questa visione ideale (ma possibile, non lo nego) incappa nella nullafacenza di certi insegnanti, nell’ indifferenza di certi genitori per l’ educazione e il pensiero dei figli, nella presunzione di altri genitori nel ritenere il loro pargolo non criticabile a priori, anche se non ha studiato, non ha motivato l’ impreparazione e ha ricevuto una bassa votazione dall’ insegnante, ecc. ecc. ecc. Non serve a nulla fingere che tutto ciò non ci sia, quindi occorre necessariamente mettere mano a qualche idea per risolvere questi inconvenienti. Purtroppo, siccome in questo paese ogni posizione si radicalizza e si estremizza in un continuo muro contro muro, nessuno si prende la responsabilità dei propri errori e paghiamo tutti. Ad ogni modo, io penso che

    Lei è un ottimo insegnante perchè riesce a ridare voglia di farcela a chi è addirittura costretto dai genitori.

    Addirittura! Non mi sono mai definito “ottimo insegnante”. La ringrazio molto per questo complimento, ma temo di doverle dire che sta esagerando, e che comunque è troppo presto per dirlo. Ne ho di strada davanti a me, ancora.

    Ok, sono svogliati? Ne prendo atto, qualcuno li ha resi svogliati, però lei riesce a motivarli. Percepisce cosa intendo?

    Sì, percepisco, ma sono d’ accordo con lei. Ho conosciuto esempi di ragazzi svogliati “in toto”, ma la svogliatezza non è una costante; si può vincere e superare. Altri ragazzi sono svogliati perché non amano la materia (e capita, perché no?), oppure perché il loro docente non la sa spiegare, o perché è troppo severo. Ma è chiaro che ha ragione Marconato quando dice che di fronte a un docente poco valido, poco motivato, poco preparato e così via la svogliatezza abbia tutti i motivi per presentarsi. Altro discorso è come affrontarla e cercare di contrastarla (perché non chiude affatto la questione), ma fin lì siamo tutti d’ accordo. Sul fatto che riesco a motivarli, diciamo che faccio del mio meglio.

    Qui, in questo BLOG siamo tutti insegnanti allenatori. Come può non riconoscersi nel nostro pensiero?

    Veramente, tutto è cominciato con il mio post al sig. Marconato su Israel e sull’ uso di internet come fonte di conoscenza. Alcune cose le condidiamo, altre no, ma questo era abbastanza presumibile. Poi il discorso si è ampliato e abbiamo toccato temi come la didattica e la metodologia, ma ho già spiegato dov’ è che non sono d’ accordo.

    è chiaro che veniamo da due mondi di ricerca scientifica molto diversi. Io provengo da 10 anni di ospedale e per noi i dati, i protocolli utilizzati e il confronto critico è fondamentale. Mi stupisce però che in articoli di fisica non si parli di materiali e metodi e di risultati. Non so, forse ancora una volta non ci si riesce a spiegare bene.

    Beh, la sua esperienza ospedaliera chiude la questione sui dati. Per quanto riguarda la ricerca in fisica, sugli articoli di fisica sperimentale e applicata ci sono (oltre ad altre cose) tutti i dati che vuole, più di quanti ne riuscirebbe a sopportare. La fisica teorica, invece, funziona in modo diverso; gli articoli di fisica teorica assomigliano molto più a quelli dimatematica pura. Ad ogni modo, nelle discussioni scientifiche si parla (o si dovrebbe parlare) principalmente di idee.

    Quindi il 50% dei professori universitari di Pisa (giusto?) si lamentano dei loro studenti

    No, praticamente metà dei miei studi universitari l’ ho vissuta a Bologna; è lì che ho conosciuto la maggior parte dei professori che citavo.

    Scherzi a parte, perchè dovrebbero aver ragione loro? Perchè non l’altro 50%? (ste manie dei numeri). Io credo che questi insegnanti abbiano problemi relazionali. Senza relazione non c’è educazione. Perchè un ragazzino dovrebbe essere più propenso a studiare ed a comportarsi bene con un certo 50% degli insegnanti e con l’altro 50% no?

    Posso dirle solo il perché penso che abbiano ragione aprendo una piccola parentesi, ma prima devo puntualizzare che gli studenti con i quali hanno a che fare no sono più “ragazzini”; sono almeno maggiorenni, diciottenni e ventenni. Però di sicuro non erano (e non sono) esenti da difetti. Ricordo che alcuni di loro, pur conoscendo molto approfonditamente la materia, non la sapevano spiegare affatto. Era un continuo impappinarsi nelle spiegazioni, conti sbagliati, scritte inconprensibili alla lavagna, ecc. Questo, però, non vuol dire che non fossero (e non siano) in grado di valutare la comprensione della loro materia da parte dello studente. Quello che posso dirle è che oggi, in Italia (ma non solo), le facoltà scientifiche preparano gli studenti in maniera pessima; praticamente nessuna possibilità di avere una visione un pò più larga delle materie, pochissimo tempo dedicato ad un minimo di approfondimento personale, continuo mordi e fuggi tra corsi sempre più brevi e crediti da ottenere. Le conoscenze di un neolaureato in matematica, fisica, biologia, ecc. non sono paragonabili a quelle di un neolaureato di solo 15 anni fa: le garantisco che è un fatto. E’ principalmente di questo che i professori universitari si lamentano. La riforma cosiddetta del 3+2 in ambito scientifico e umanistico ha fallito, o almeno è stata applicata in modo tale da fallire. Questo lo penso io, lo pensa Israel, lo pensano e dicono tanti, anche diversi studenti. Anche se molti docenti non sono esenti da colpe, non vuol dire che si sbaglino sull’ impreparazione generale. Se vuole saperne di più troverà molto su “Ipotesi sull’ università” e su “Chi sono i Nemici della Scienza?” di israel. Quanto troverà scritto all’ interno di questi libri rappresenta anche le mie opinioni in merito. Chiusa parentesi.

    Guardi io sostengo la posizione più scomoda che in questo momento si possa pensare di sostenere. Se la scuola non funziona la colpa è degli insegnanti (non sparatemi) e del modo in cui la scuola è concepita. (quindi concedo ai colleghi, e mi concedo, delle attenuanti. Ma non molte).

    Le dico il mio parere al riguardo: oggi e nel più recente passato la scuola l’ hanno fatta e la fanno in molti: presidi, insegnanti, genitori, studenti, pedagogisti, burocrati ministeriali, sindacati, politici. Per mia norma e regola, in un girotondo del genere è difficile che la colpa stia solo da una parte. Io penso che la colpa sia ripartita su ognuna di queste variabili, anche se non nella stessa misura.

    Ed ovviamente sostengo che bocciare di più non renderà la scuola migliore, nè la società in cui viviamo, ma anzi peggiorerà la faccenda.

    Può darsi, ma c’ è anche chi pensa che finora si sia promosso con troppa facilità e che questo andazzo abbia causato dei danni molto gravi (Israel, per esempio, la pensa così). In parte la penso anche io così, ma non creda che non abbia dubbi e punti interrogativi in merito. Che devo dirle? Evidentemente c’ era (e c’ è) molto malcontento nel paese per la scuola di oggi; tutte queste persone sono riuscite a prevalere nella competizione elettorale e a far sì che le loro istanze di rinnovamento si concretizzassero in un’ azione del loro governo (che poi è il governo di tutti). La democrazia funziona così, ma non è scritto da nessuna parte che in democrazia non si possano commettere errori.

    Bocciando di più, tutti i professori brontoloni potranno sgravarsi le loro responsabilità, non dovranno chiedersi se stanno insegnando. Chi impara bene chi no resta bocciato. Quindi altro che percorso meritocratico, quelli come Lei, Marinelli, resteranno fuori dall’insegnamento, e quelli che si lamentano, che non sanno insegnare, continueranno a sguazzarci.

    Sì ma, se non vado errato, aveva chiamato “brontoloni” i professori universitari. Le mie esperienze sono molto personali e specifiche quindi non hanno molta valenza, però mi azzardo a dirle che a livello universitario non è esattamente così. Sarò più preciso a richiesta.

    Lei andrebbe a vivere in Giappone o in Corea del Sud? Dove si fa sciopero lavorando con la striscetta nera del lutto?

    Beh, sì. Specie in Giappone perché mi affascina molto come paese e come cultura (pratico anche alcune arti marziali). Adesso vi andrei un pò meno volentieri perché c’è una crisi tremenda, però tra qualche anno, magari… Comunque, mi fa un pò ridere (senza offesa) la faccenda della fascia nera a lutto negli scioperi. Non crede che sia un pò comune a livello nazionale soffermarci un pò troppo sui difetti degli altri e troppo poco sui pregi? Voglio dire, in Giappone avvengono cose che da noi non vedremmo mai e siamo d’ accordo, però è anche un paese molto più civile dell’ Italia sotto molti aspetti: sanità, giustizia, tasse, ecc. Il livello di corruzione in Giappone non è certo paragonabile a quello italiano, non crede?

    Non li ho, ma il suo modo di parlare dei ragazzi mi manda in bestia. Tira fuori il peggio di me e mi chiedo come una persona del genere possa relazionare con le nuove generazioni. Sono felice che almeno si riconosca la sua esagerazione nei confronti dei pedagogisti.

    Beh, certo Israel picchia e picchia duro, non ci va certo morbido! Forse in qualche articolo avrebbe potuto risparmiarsi alcune uscite, ma nel suo libro “cavallo di battaglia” contro i pedagogisti, diciamo così, ammette di non avere nulla contro la pedagogia “in generale” e di riservare le sue critiche solo a CERTA pedagogia. Ne ho già parlato.

    Mi creda, da Marconato a Saccoccio nessuno qui, me compresa, vuole la semplificazione dei programmi

    Guardi che se “semplificazione” vuol dire lasciar perdere certi formalismi e tecnicismi eccessivamente complicati, usare solo due definizioni e un teorema invece di 5 definizioni e 7 teoremi, ben vanga la semplificazione! Se, però, la semplificazione vuol dire via le frazioni perché sono repressive, via i polinomi perché sono fascisti, via la geometria euclidea perché è una violenza sui minori, allora viva la complicazione! Sto volutamente esagerando con questi termini, però non troppo: ha letto l’ episodio citato da Lafforgue su un insegnante che si è sentita chiamare NAZISTA perché insegnava la grammatica francese (in Francia, beninteso)?

    Io concordo con lei che nei ragazzi va potenziata la capacità di astrazione, ma pian pianino.

    Certo, infatti la geometria euclidea si occupa di cerchi triangoli, rette e via discorrendo; tutte figure abbastanza “familiari” agli scolari e ancora abbastanza “intuitive”. Se cominciassi a dire che la circonferenza nel piano è la curva chiusa che a parità di lunghezza racchiude area massima o che è l’ intersezione del piano complesso con la sfera di Riemann…

    Ma perchè dovrebbe? Poi, forse lei ha già una didattica efficace, è capitato qui a difendere Israel e si è messo in discussione sulla didattica…mi pare che il nocciolo della questione sia questo.

    Mi riferivo, di nuovo, al fatto che non riesco a capire come si possa applicare all’ insegnamento della matematica una didattica come la intende Schank (ammesso e non concesso che abbia capito a sufficienza cosa voglia dire). Ho l’ impressione che l’ applicazione di una tale didattica, troppo protesa verso il “saper fare” e l’ “applicabilità”, finisca per trasformare la matematica in x (con x scelto a piacere).

    E’ stato definita di vecchio stampo la sua idea di restaurazione Israel liana

    Ah, ora ho capito.

  15. Vedo solo gli ultimi 17 commenti dei 117 che sono stati fatti a questo post. C’è un modo per leggere i precedenti? Ne avevo letti alcuni e mi piacerebbe tornare indietro.

    Troppo lunga questa discussione e troppo lunghi alcuni commenti; l’inciso di Elisa (mi pare) secondo me era appropriato, Gianni.

    Internet è il luogo dell’abbondanza ma credo che si debba imparare a farne un uso parsimonioso, in tutti sensi.

    La sintesi è una virtù fondamentale sia per il letterato che per lo scienziato.

    Anche in un blog, le discussioni dovrebbero tendere alla sintesi perché altrimenti queste divergono in una moltitudine di direzioni ed il risultato utile, ammesso che esista, viene diluito in brusio destrutturato.

    Peraltro, scrivere un commento lungo come una relazione tecnica è una forma di prevaricazione, esattamente come quando in una riunione qualcuno tiene la parola troppo a lungo.

    In internet si può fare tutto ma le risorse di coloro che leggono sono limitate e tutti dovrebbero sforzarsi di attenersi al nocciolo del discorso. Se i lettori si perdono la discussione diviene autoreferenziale, cioè serve solo a chi la fa, forse.

  16. @Andreas
    Per leggere i commenti precedenti, alla fine del box che li visualizza c’è il link “Commenti precedenti”.
    Concordo con i suoi commenti alla lunghezza eccessiva di alcuni post.
    Sulla dispersività di discussioni così lunghe incidono anche le caratteristiche “tecniche” dello strumento blog, che certo non si presta bene a simili usi (né, in realtà, credo sia nato per questi).

  17. Andreas: mi piace il suo forse alla fine. E’ stato conciso ma condivido poco di quello che ha scritto.

    Comprendo la fatica di leggere 117 commenti, che io ho fatto, Marinelli anche e penso tutti gli altri con noi.

    Ma se lei leggesse tutti i 117 commenti, si renderebbe conto di come un lungo, faticoso, prolisso, dettagliato e tecnico argomentare ha permesso a me e a Marinelli di cominciare a chiarirci, conoscersi, comprendere l’uno e l’altro. Accettare alcune diversità, mettersi in gioco.

    Le pare poco quando si parte da posizioni così apparentemente diverse?

    Aggiungo che non sono soddisfatta di questa mia risposta breve, ma visto che le piace la sintesi ci ho provato. La avverto però che se puntualizzerà oltre correrà il rischio di ricevere da parte mia risposte molto più lunghe :P.

    Ora però rispondo al collega Marinelli e quindi non me ne voglia ma non conterò le parole che scrivo.

  18. L’uso non canonico non mi sembra sconvolgente anzi ogni rottura di schema è interessante.
    Però d’accordo sul punto: chi vuole esser letto usa meno parole possibile e non se ne innamora. La sintesi non è un dono, ma si può coltivare.

  19. @Mariaserena
    Il fatto è che all’uso non canonico, in questo caso, sembra conseguire un alto grado di dispersività, frammentarietà e sostanziale irrecuperabilità dello sviluppo dialogico, del susseguirsi degli argomenti e controargomenti, dei riferimenti intertestuali: insomma del filo della discussione. Tutto questo può produrre sovraccarico e confusione in chi legge.

  20. Però, sinceramente, non saprei come fare ad applicare un metodo del genere alla matematica, ove è spesso necessario fare diverse premesse prima di arrivare al cuore del discorso. Lì il nocciolo della questione non è quasi mai evidente, e non si può neanche parlare di “attualità dell’ informazione”.

    Se avremo occasione di fare una tavola rotonda sui contenuti della matematica che lei considera importante ci occuperemo di vedere se è possibile parlare di attualità (non legga ironia, è davvero una mia speranza). Le chiedo di abbandonare preconcetti, pregiudizi e di considerare che nessuno vuole imporre un metodo (forse così è sembrato all’inizio) specialmente a Lei che mi pare se la cavi perfettamente (anche qui sono davvero sincera).

    Anzi, qui si difende la libertà di empatizzare con l’alunno senza doverlo intimorire col pensiero della bocciatura (io) e la fruizione consapevole dei contenuti su internet (tutti gli altri credo). L’importanza di rendere i ragazzi consapevoli di ciò che leggono nel bene e nel male (più di tutti Antonio, n’est pas?).

    Questo bellissimo lavoro svolto da alcuni colleghi rende perfettamente il concetto http://didattikit.wordpress.com/2010/03/23/oltre-il-confine-unesperienza-del-liceo-pertini-di-genova/

    Comunque, il mio parere è che alle medie si potrebbe anche fare solo lo stretto indispensabile (ossia la parte più “brutta” e molto migliorabile con consistenti iniezioni di “matematica estetica” come la intenderebe Hardy), ma che occorra insistere con gli esercizi e l’ allenamento al ragionamento autonomo di fronte ai problemi (non tutti uguali).

    Per forza! Con 4 misere ore di matematica e geometria cosa possiamo fare se non lo stretto indispensabile! Con 2 ore di scienze poi?

    Concordo sugli esercizi, non sempre sul ragionamento autonomo, il lavoro di gruppo aiuta molto. Ci vanno entrambi specialmente quando si ha poco tempo.

    Io, insegnando sia alle medie che all’Università parto da un punto di vista privilegiato. Infatti mi posso rendere più o meno conto di cosa serve agli studenti universitari, di quello che a volte non è stato dato per tempo. Parlo delle famose basi matematiche, ma anche scientifiche. Per questo con me, persino i piccolini di prima media leggono articoli scientifici, con risultati davvero incoraggianti.

    Qui trova un lavoro di terza media: http://didattikit.wordpress.com/2010/03/30/testi-scientifici-giochi-di-parole-il-taboo-scientifico/

    Le ho già detto quello che penso. I contenuti sono sempre quelli non si può sostituirli con altri.

    Così le sembra, in realtà ogni volta che le faccio la domanda lei scende progressivamente nel particolare e io mi rassicuro sempre più, perchè mi trovo perfettamente in accordo. Più che mai i ragazzi devono essere innamorati di quello che studiano. Sicuramente la matematica dovrebbe essere anche proposta come un universo irresistibile di forme meravigliose e logica cristallina. Mi creda qui nessuno (correggetemi se sbaglio) pensa di proporre la matematica delle regolette preconfezionate da applicare. IO SICURAMENTE NO.

    nell’ indifferenza di certi genitori per l’ educazione e il pensiero dei figli, nella presunzione di altri genitori nel ritenere il loro pargolo non criticabile a priori

    è vero, a volte i genitori sono sprovveduti, ingenui, però un bravo insegnante DEVE anche saper dialogare con l’utenza e aprire gli occhi.
    I miei 10 anni di ospedale, di cui 4 in counselling infettivo e genetico mi hanno forgiato al riguardo. I colleghi il più delle volte mandano me a parlare, a portare le notizie peggiori. Tra le altre cose, io insegno alle medie solo da 3 anni (pensi un po’) eppure comunico perfettamente quel che devo dire e nel 99% dei casi il tutto è accettato. Fino ad ora (a me piacciono i numeri) su 225 genitori solo 1 non ha accettato quanto proponevo. Molti insegnanti non sanno comunicare e questo peggiora le cose.

    La ringrazio molto per questo complimento, ma temo di doverle dire che sta esagerando, e che comunque è troppo presto per dirlo. Ne ho di strada davanti a me, ancora.

    Ok, allora specifico, al momento lei mi pare un ottimo insegnante. Spero che resti tale. Sto apprezzando la sua capacità di dialogare, la passione con cui difende le sue idee ed anche l’amore per la sua disciplina. Un insegnante deve posseddere tutte e tre le cose. Poi se davvero lei lavora nel recupero come ha scritto non ho ragioni di dubitare, è un ottimo insegnante e non avrà in futuro problemi di disciplina. Non deve temere d’aver bisogno di servirsi del potere della bocciatura.

    Le dirò di più, adopera molto la sua intelligenza emotiva che aiuta (più della sintesi?) nelle discussioni.

    Io ho avuto i miei alti e i miei bassi con i ragazzi, e penso capiteranno anche a Lei come a tutti, ma la mia idea è che riuscirà sempre a trovare un modo per veicolare l’informazione, ed è questa la cosa importante.

    Sul come affrontare la svogliatezza Lei ha già la risposta, infatti lei affronta la poca voglia con i suoi studenti. Li minaccia di bocciatura? No. Li esorta a confidare quello che non capiscono. Le assicuro che questa prassi non è scontata. Il messaggio che dà ai suoi studenti quando li prende in considerazione uno a uno e ne saggia il neurone matematico è questo “mi sto prendendo cura di te, ti sto considerando e sto cercando di risolvere il tuo problema”

    Il messaggio che invece viene veicolato da numerosi insegnanti è “è persino inutile che io stia qui a spiegare per te, tanto non puoi arrivarci”

    La classe terza media che osserva sul blog è etichettata da quel tipo di colleghi come “classe difficile”. Riesce a vedere l’impegno delle loro testoline chinate sul compito? Un compito difficile e senza voto? Senza costrizione?

    Quel tipo di colleghi è quello che è felice di poter dare 5 in condotta e di bocciare. Hanno bisogno del POTERE della bocciatura per insegnare. Sono quei colleghi che chiamano ragazzi “Asini” e a me viene la faccia tutta rossa di rabbia.

    Da questo tipo di pensiero io mi dissocio.

    Che devo dirle? Evidentemente c’ era (e c’ è) molto malcontento nel paese per la scuola di oggi; tutte queste persone sono riuscite a prevalere nella competizione elettorale e a far sì che le loro istanze di rinnovamento si concretizzassero in un’ azione del loro governo (che poi è il governo di tutti). La democrazia funziona così, ma non è scritto da nessuna parte che in democrazia non si possano commettere errori.

    Già.

    Riguardo alla semplificazione dei programmi, io non VOGLIO nessuna semplificazione. NESSUNA.

    Io auspico al contrario il maggior approfondimento possibile. Visto che lei ama la carta stampata, le confesso che mia madre quando avevo 3 anni sfogliava con me i libri di animali e piante e a 4 conoscevo la differenza che passa tra un mollusco, un crostaceo, un micro e un macroinvertebrato. In seconda elementare litigai forte con un compagno che sosteneva che i delfini erano pesci e che mi ero inventata la parola cetaceo. Arrivammo a strapparci il dizionario dalle mani :).
    A 7 anni mi faceva leggere la Grande Enciclopedia, che io amavo tantissimo. Dal momento che non sono dotata di particolare QI sono convinta che il ragazzino medio possa comprendere tutto. Anzi più si semplifica e più il fanciullo si demotiva.

    Pensi a tutte le volte che si è annoiato in classe. Non era forse quando mancava lo stimolo intellettuale?

    Non è tristissimo entrare in un aula di informatica e pensare di insegnare l’utilizzo di office? Fate fare dei corsi di formazione, che si possa insegnare ai fanciulli un po’ di programmazione! Come assemblare un PC.

    Un ultima considerazione, prima di farle il mio personale bocca in lupo per l’insegnamento.

    Non mi sono mai schierata nè a destra, nè a sinistra. Ingenuamente ho per molto tempo pensato che fosse tutta colpa del governo se in Italia ci sono i problemi che ci sono.

    Ingenuamente votai in passato a destra, al centro, a sinistra e poi ancora e ancora ogni volta cambiai.

    Ma l’Italia non è il governo. Siamo noi, con le nostre scelte, col nostro fare che facciamo l’Italia.

    Non condivido le idee Gelminiane. Non ne faccio un mistero, ma non ritengo che sia la nostra MinEstra la responsabile di tutto ciò che accade nella scuola.

    La scuola la fanno gli insegnanti, brontoloni e non (per brontoloni non intendo solo gli universitari). Il fatto che la Gelmini dia la possibilità di dare 5 in condotta, per fortuna, non obbliga nessuno a utilizzare lo strumento.

    Il fatto che qualcuno sostenga che gli studenti siano asini e che, per risolvere il problema ci vada maggior severità, piuttosto che maggiore empatia e capacità dialettica, può incentivare a seguire le idee gelminiane (che se fossero di un’altra fazione politica sarebbero forse uguali).

    Per questo qui sul blog di Marconato ho speso tante parole con Lei, Marinelli, perchè volevo essere certa che un punto di vista fosse chiaro e per nulla lasciato al caso.

    Per la politica ho perso completamente il mio interesse, non li considero proprio quelli là, possono dire e fare quello che vogliono, quello che conta davvero è quello che diranno e faranno gli insegnanti. Questo solo potrà rinnovare la scuola.

  21. @ Molino
    Un caso è un caso infatti. Ho risposto in meno di tre righe. E basta leggere la 2 e la 3 per evitare il finto sillogismo e il fuori tema.
    🙂

  22. @ Andreas, hai ragione. Stiamo rischiando l’autoreferenzialità. Dubito che una persona sana di mente (e tu tra queste) si prenda la briga di leggeri stutti i commenti anche se , ti assicuro, ci sono passaggi eccelsi. Si, siamo parecchio prolissi (= ci si dilunga più del necessario)ma o si liquida con due parole chi ti propone le sue idee diverse dalle tue e non si conversa o ci si butta dentro. Per quanto mi riguarda farò ancora solo un post analitico perchè oramai le posizioni sono chiare e chiarite e, come è normale, ognuno rimane con le proprie idee, magari ancor più solide e con una maggior conoscenza e consapevolezza delle idee dell’altro

  23. @Marcello Molino Grazie 🙂 me ne sono accorto poco dopo avere scritto il commento …

    Non sono sicuro che dipenda dallo strumento, almeno non solo. Il blog si può usare in tanti modi. Un salotto non è inadatto a discussioni ragionevolmente approfondite solamente perché vi è capitato qualcuno che dilaga.

    @Elena Certo, mi pare anche molto: cominciare a chiarirsi comporta indubbiamente un incremento di valore aggiunto dalla discussione. Tuttavia, la perdita di lettori, non necessariamente pigri ma magari temporaneamente oberati di lavoro e ciònondimeno egualmente interessati nonché potenziali validi interlocutori, comporta a sua volta una perdita di valore aggiunto.

    Comunque, splendida l’ora di scienze, davvero 🙂

    Non voglio però interrompere la discussione, non disturbo oltre e continuo a seguire nei limiti del possibile

    Buon lavoro 🙂

  24. @ Elena, riflettevo su una tua frase che contiene una riflessione “provocatoria” che a scuola si ascolta di rado, ma fuori dalla scuola si sente anche troppo spesso “Se la scuola non funziona la colpa è degli insegnanti (non sparatemi) e del modo in cui la scuola è concepita. (quindi concedo ai colleghi, e mi concedo, delle attenuanti. Ma non molte).”
    Dobbiamo riconoscere che se agli insegnanti a volte è capitato di approdare nella scuola senza una preparazione specialistica nè pedagogica è altresì vero che alcuni se ne sono fatti carico ed hanno aggiornato le loro conoscenze (ed altri no).
    Però dobbiamo costatare che anche chi è, o è stato, ai vertici dell’Istruzione solo in rari casi ha, o aveva, competenze adeguate. Abbiamo anche attualmente “esperti” ascoltati al ministero che non entrano in una scuola vera da quando hanno finito il loro liceo. Ma parlano e straparlano.
    Il post che stiamo commentando illumina anche questo aspetto.

  25. @Andreas: ma io in fondo in fondo so che hai ragione…avrei dovuto discorrere con Marinelli via mail, di molti aspetti. Avrei dovuto riportare qui solo qualche link. Però è stato un bel discorrere…il prossimo sarà anche migliore.

    Più sintetico, se servirà (chissà se ci riuscirò…chissà)

  26. @Mariaserena: è tutto verissimo, però la scuola la facciamo noi, sul campo. Loro al potere possono dire quello che vogliono, è la massa di insegnanti che fa la scuola col suo operato.

  27. Caro Marinelli,

    si continua via mail? Così scendiamo nel particolare della matematica, degli argomenti da trattare e dei metodi?

  28. E’ vero Elena, anche io ho sempre pensato che comunque un insegnante ha sufficiente autonomia culturale per fare una buona scuola se vuole e se si impegna. Questa discussione lo ha dimostrato. E sono davvero contenta che anche tra i giovani ci sia questa convinzione. Per di più la discussione ha messo in evidenza la tua brillante preparazione e la passione per una professione così importante e di questo mi rallegro davvero.

  29. Come intremezzo ludico segnalo un gustosissimo contributo in tutta la portata propagandistica della pubblicistica di israel viene messa in luce.
    http://www.carmillaonline.com/archives/2010/04/003423.html#003423
    Quando la farina della Gelmini va tutta in Crusca
    E’ di Girolamo De Michele.
    Ne avevo parlato anche qui citando un contributo di Antonio Saccoccio sullo stesso tema
    http://www.giannimarconato.it/2010/01/o-la-crusca-o-la-vita-a-saccoccio/comment-page-1/#comment-6037

  30. Prometto, questo sarà l’ultimo commento lungo

    1. Alessandro, ho capito la tua tattica retorica: tralasci i punti per te scomodi e ti concentra su quelli dove hai argomentazioni che ti sembrano con-vincenti e vincenti
    2. Perché non hai replicato al Professor Maragliano? Non so se lo conosci, ma Roberto Maragliano è Ordinario di pedagogia e didattica a Roma 3; ha al suo attivo decine e decine di pubblicazioni scientifiche di didattica; oltre a bazzicare l’accademia pratica anche la base, la scuola, che conosce meglio delle sue tasche. Ma non si è mai messo a pontificare di scuola e di didattica come invece ha fatto e fa Israel
    3. Ti rendi conto che tutti i meriti in tema di scuola, di pedagogia, di didattica di Israel sono relegati ad un misero libretto tutto slogan reazionari e propaganda in perfetto stile Lefebvreriano? Anche su questo argomento ti è stato chiesto un “parere” ma lo hai elegantemente sorvolato. Ti rende conto che a supporto delle sue “tesi” vengono portate dei “pareri” di insegnanti? Cose buone per un dibattito alla Pro Loco di Tor Vergata, non per farne le basi della riforma della scuola italiana!
    4. Siamo partiti con una conversazione sui massimi sistemi pedagogici e didattici e siamo finiti col parlare di didattica della matematica. Carenza di argomentazioni?
    5. Continui a chiedere esempi di buona didattica”non trasmissiva”: non sono forse esempi di buona didattica di questo tipo le narrazioni della didattica delle professoresse Favaron e Galizia?
    6. Ti ho più volte dimostrato come la didattica che non gradisci (uso questo eufemismo dato che non ami che io dica che “detesti”) ha come principali scopi la promozione della comprensione autentica di fatti, concetti, regole, procedure, …; di promuovere e sostenere l’impegno cognitvo; di portare chi apprende a pensare in modo più “duro”; di non semplificare conoscenze per loro natura complesse; di promuovere lo sviluppo di forme elavate di pensiero
    7. Mi sono finalmente reso conto cosa significhi per te porre al centro dei processi educativi la disciplina (nel senso di materia di studio). A te intressa di più l’integrità didattica della disciplina che cosa, come e quanto lo studente apprende: tu ritiene che sia compito dello studente apprendere mentre sia compito dell’insegnante insegnare. Secondo te è lo studente che si deve adattare alla disciplina e che il modo di farlo sia affar suo. La ragion d’essere dell’insegnante sta nel trasmettere nel modo più rigoroso possibile i fondamentali della disciplina. Se qualche studente non è in grado di imparare è inadatto alla scuola e/o a quella disciplina e deve essere bocciato. Il valore di uno studente è dato dalla misura in cui si conforma alla disciplina e la impara. Per me, e per tutta la didattica che tu ritieni essere stata la rovina della scuola italiana, al centro sta, invece, la persona che impara e tutta la nostra energia è far si che quella persona possa imparare il più possibile, che tutti possano imparare anche secondo modalità differenziate in ragione della sua unicità. Non mi vorrai mica dire che alla purezza della razza hai sostituito quella disciplina?
    8. Mi sembri poco propenso, per non dire che ne provi repulsione, per le novità; meglio concentarsi sui fondamentali. Il tuo messaggio pare essere “solo ciò che è vecchio è buono”. Ti dimentichi che siamo a scuola e non in un negozio di antiquariato? O vorresti fare della scuola un museo pieno di polverosi oggetti d’epoca da conserare e ammirare? Non bastano i già troppo insegnanti ricoperti di ragnatele? Aria fresca, no?
    9. ti lamenti che i ragazzi non conoscono bene la matematica, l’italiano ecc… e attribuisci questo fatto alla trasmissione di “cattiva” matematica, di “cattivo” italiano ecc…Sei proprio sicuro che sia così? Che sia per causa dei contenuti? O non sia per causa di un “cattivo” metodo nel trasmetterli? E che, magari, sia proprio perché l’ottica sia quella della “trasmissione”, quella di un recipiente vuoto (lo studente) da riempire con la sapienza di cui è già pieno il detentore della verità (l’insegnante)?
    10. Ti ho citato la tematica della “conoscenza inerte” e l’hai bellamente ignorata. Guarda che il problema di “certa” pedagogia sta tutto qui: abbiamo studenti pieni, strapieni di nozioni; abbiamo brillanti diplomati, brillanti laureati per la gioia di insegnanti e genitori, ma cosa se ne fanno di tutto quella “conoscenza”? La risposta è presto data: metterci sopra nuova “conoscenza”, e poi ancora, e ancora … all’infinito. Nel corso della presentazione del PISA dello scorso anno, proprio a proposito della matematica, è stato fatto l’esempio che spiegava il perché della bassa efficacia di certa scuola. Un autorevole (per me) relatore ha affermato: tipico è il caso della matematica e dei matematici che vengono formati nelle nostre università; imparano a svolgere operazioni complesse per svolgerne di ancora più complesse e cosi via in un circuito vizioso e autoreferenziale, buono solo per titoli accademici e di nessun impatto reale. Guarda che l’università non è il WWF degli scienziati; è il luogo dove si trovano soluzioni ai problemi del mondo reale.
    11. Sempre a proposito della matematica, in quell’occasione, sono stati presentati due casi di didattica della matematica. Uno riferito ai Paesi con eccellenti performance, l’altro a quelli di basse prestazioni. Nel secondo caso dominava la didattica lineare, trasmissiva, focalizzata sui contenuti (tieni presente che nella didattica non “focalizzata” sui contenuti, questi non vengono ignorati, sottovalutati, banalizzati, svuotati … I contenuti continuano a esistere, solo che il focus è altro); nel primo si aveva una didattica ancorata su problemi reali
    12. Allievo al centro: qui veniamo alle deliranti affermazioni del Lafforgue: “al centro del nulla” ma come si fa a fare un’affermazione simile? Come si fa non definirla delirante? E mi citi Don Milani? E che ne facciamo di decine e decine di ricercatori, di scienziati che in questi 50 anni hanno investigato questo tema con lo scopo di costruire una scuola che dia a tutti un’opportunità e non solo a quelli per i quali il futuro sarebbe comunque, roseo, anche con pessima scuola, anche con pessimi insegnanti, anche con pessima didattica?
    13. Informazione – conoscenza: secondo te sono la stessa cosa? Hai mai riflettuto sulle differenze? Ti sei mai chiesto quali siano le implicazioni didattiche per le une e per le altre? Ok, trasmettiamo “informazioni” (questo è quello che l’insegnante fa; per lui saranno anche “conoscenze” ma per lo studente sono mere “informazioni”), ma come diventano “conoscenze”. E’ qui che ha lavorato e sta lavorando tutta la pedagogia di questi ultimi 50 anni
    14. Lo sa iche nella comunità scientifica internazionale, in-ter-na-zio.na-le, le pedagogia e la didattica trasmissiva non hanno alcun credito? Lo sai che tutta la ricerca va da altra parte? Lo sai che la didattica comportamentistica viene ritenuta sensata, forse solo in alcuni contesti di didattica speciale (quella per le persone disabili, per intenderci)? Ci sarà una ragione per tutto questo … criflettici
    15. Scuola pervasa, e rovinata, da CERTA didattica. Ma dove la vedi tutta questa scuola? Hai chiaro che la scuola italiana oggi è ancora quella del passato? Che solo una minima parte di docenti è in grado di utilizzare in modo appropriato la didattica innovativa tanto invisa ai nostalgici? E che questi sono nella condizioni di usarla per parti limitate del programma? E che questa attenzione ai processi di apprendimento prima che alla materia è riscontrabile in modo significativo nella scuola elementare e che quest’ordine di scuola è il solo ad avere livelli di efficacia paragonabili a quelli delle migliori scuola internazionali? E hai chiaro che la stragrande maggioranza dei nostri insegnanti adotta ancora una rigorosa didattica trasmissiva? E che è per questo che la nostra scuola è quello schifo che è? E tu vorrebbe rendere questa scuola il modello da consolidare? Ma smettiamola con la propaganda ….
    16. Se proprio vogliamo fare discorsi seri di didattica, smettiamola con l’atteggiamento di chi vuole dimostrare la superiorità di un approccio sull’altro. Questo è un approccio naif, da novizio. Domandiamoci, piuttosto, quali sono gli obiettivi che la scuola dovrebbe raggiungere , quali sono gli aspetti essenziali di una azione didattica … e solo dopo domandiamoci quali “strumenti” la scienza ci mette a disposizione per raggiungerli. Cerchiamo di attingere all’intero corpo di conoscenza sviluppato fino ad ora su come le persone apprendono e su come si possono aiutare a farlo a scuola. Valutiamo le prove scientifiche e smettiamola con la propaganda!

  31. Pensavo che 137 commenti fossero abbastanza per smettere, ma mi è caduto l’occhio su una frase che dovrebbe costituire il “giuramento di Ippocrate” da pronunciare obbligatoriamente da parte di qualunque ed ogni insegnante prima che prenda servizio.
    Cito la frase così come l’ha scritta Gianni Marconato, ma m’impegno (se lui non avesse voglia di farlo) a riscriverla uguale nel contenuto ma simile nella forma e dandole la struttura di un “Giuramento di colui che insegna
    A proposito, chi si potrebbe scegliere come pedagogo simbolo e tutelare della docenza? un moderno o un antico? aiuto…

    “9. ti lamenti che i ragazzi non conoscono bene la matematica, l’italiano ecc… e attribuisci questo fatto alla trasmissione di “cattiva” matematica, di “cattivo” italiano ecc… Sei proprio sicuro che sia così? Che sia per causa dei contenuti? O non sia per causa di un “cattivo” metodo nel trasmetterli? E che, magari, sia proprio perché l’ottica sia quella della “trasmissione”, quella di un recipiente vuoto (lo studente) da riempire con la sapienza di cui è già pieno il detentore della verità (l’insegnante)?”
    Respirate ragazzi respirate ; la scuola può funzionare.

  32. Rispondo a Elena scusandomi per l’ “assenza” di questi giorni. Riguardo alla nostra discussione, egr. Marconato, le risponderò a breve e concluderò (almeno spero); sono d’ accordo sul fatto che la disussione si sia un pò troppo allungata, ma vorrei ringraziarla ancora per la sua disponibilità e il suo tempo.

    Concordo sugli esercizi, non sempre sul ragionamento autonomo, il lavoro di gruppo aiuta molto. Ci vanno entrambi specialmente quando si ha poco tempo

    Intendevo dire che lo studente deve stare di fronte al problema sviluppando il proprio “stile” di ragionamento e di approccio alla risoluzione, prendere confidenza personalmente con i concetti matematici, “farseli suoi”. Certo, affrontare e discutere insieme ad altri un esercizio è molto stimolante e istruttivo, purché non avvenga SEMPRE così (mi spiegherò meglo a richiesta). Uno stesso problema può essere risolto in vari modi e un insegnante non deve imporre agli alunni di seguire il suo procedimento di risoluzione. Quello che deve fare è, invece, impedire che gli studenti sragionino e lascino andare i ragionamenti a briglia sciolta senza tener conto del rigore. La matematica (ma non solo), infatti, è un continuo equilibrismo tra a creatività e rigore logico.

    è vero, a volte i genitori sono sprovveduti, ingenui, però un bravo insegnante DEVE anche saper dialogare con l’utenza e aprire gli occhi.

    Sì, anche se approfitto per citare anch’ io un termine che non mi piace: “utenza”; in questo frangente mi sembra assai poco appropriato. Comunque sì, i genitori sono (o comunque dovrebbero essere) una fonte di informazioni molto importante per gli insegnanti perché passano (o, di nuovo, dovrebbero passare) con i ragazzi la maggior parte del tempo. Anche il prof. Israel ha detto che in passato si è tenuto troppo poco conto del loro parere. Le sue critiche, e anche in questo sono d’ accordo con lui, vanno esclusivamente a quei casi in cui, palesemente, non c’ è simmetria nel rispetto per i propri ruoli. Casi in cui una semplice insufficienza basta a vedersi comparire davanti genitori in preda ad una vera e propria ira funesta. Anche quì come in tutto, la cosa miglire è il buonsenso.

    Io ho avuto i miei alti e i miei bassi con i ragazzi, e penso capiteranno anche a Lei come a tutti, ma la mia idea è che riuscirà sempre a trovare un modo per veicolare l’informazione, ed è questa la cosa importante.

    Per non rischiare di apparire immodesto (e sperando che non sia troppo tardi), le confesso che penso sia tutto merito della materia che insegno. L’ unico merito che forse potrei avere è il mio sforzo nel far sentire a suo agio lo studente. So bene che, di fronte a un insegnante, spesso un ragazzo non riesce a essere chiaro e spontaneo (o, comunque, non si sente libero di poterlo essere). Mi riferisco, per esempio, a una cosa che forse in passato è capitato anche a lei; di fronte a un insegnante a volte ci si vergogna di ammettere che non si è capita la spiegazione, specie se è la seconda o la terza volta. Invece, l’ atmosfera rilassata che cerco di mantenere durante le lezioni serve proprio a far sì che lo studente capisca di avere un’ occasione per chiarire finalmente i dubbi e fare le domande che vuole.

    “mi sto prendendo cura di te, ti sto considerando e sto cercando di risolvere il tuo problema”

    Se non è quello che faccio, di sicuro è quello che vorrei arrivare a fare. Comunque cerco anche di far notare quell’ incremento di fiducia in sé stessi che comporta la comprensione (magari in parte autonoma) di qualcosa che prima era oscuro.

    “è persino inutile che io stia qui a spiegare per te, tanto non puoi arrivarci”

    Mah. Secondo me tutti possono arrivare a comprendere tutto, è solo questione di tempo. Non è un problema da poco, naturalmente, ma non è certo colpa dell’ essere inadatti a capire.

    Quel tipo di colleghi è quello che è felice di poter dare 5 in condotta e di bocciare. Hanno bisogno del POTERE della bocciatura per insegnare. Sono quei colleghi che chiamano ragazzi “Asini” e a me viene la faccia tutta rossa di rabbia.

    Purtroppo c’ è chi ha un’ orizzonte emotivo così limitato da gioire nel mettere un 5 in condotta. In uno dei miei primi commenti anche io ho usato un termine simile: “raglio”. La cosa curiosa è che all’ inizio non c’ ho fatto proprio caso. Poi, discutendo, alcuni hanno richiamato la mia attenzione sull’ infelicità insita nell’ uso di questi termini. Al momento mi sento molto meno propenso a farne uso; sarà stato lo strano effetto di questa discussione? Comunque, a parte l’ uso dei termini, quando c’ è impreparazione è quello il problema e tutto il resto passa in secondo piano, ma lo dico sinceramente dal punto divista degli alunni, mi creda.

    La scuola la fanno gli insegnanti, brontoloni e non (per brontoloni non intendo solo gli universitari). Il fatto che la Gelmini dia la possibilità di dare 5 in condotta, per fortuna, non obbliga nessuno a utilizzare lo strumento.

    Questo è poco, ma sicuro, ed è un principio che va generalizzato. Qualunque cosa dovesse decidere il ministero, nelle aule ci saranno sempre gli insegnanti; saranno loro a prendere le decisioni determinanti, alla fine. E’ per questo che, secondo me, alcune preoccupazioni in merito all’ operato della Gelmini e di Israel sono eccessive.

    P.S.: volevo solo aggiungere che, in merito a “fiocchi, rotoli e fusi”, non mi sembra molto obiettivo parlare di Israel come di un “intellettuale” (con le virgolette). Penso che Giorgio Israel abbia tutte le carte in regola per essere qualificato come intellettuale (a meno che, naturalmente, intellettuali siano solo quelli che la pensano come vogliamo noi). Sul fatto che un membro dell Académie Internationale d’ Histoire des Sciences nonché ex-professore presso l’ Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales venga chiamato “scienziato della domenica”, non ho parole.

    P.P.S il mio indirizzo di posta elettronica è alemari1986@hotmail.it

  33. Caro Marinelli,

    sicuramente non metto in dubbio il fatto che Israel sia un intellettuale e non penso sia uno scienziato della domenica, se qualche mia espressione ha dato questa idea, mi dispiace.

    Giusto ricordo che qualsiasi opinione andrebbe dimostrata nel modo più razionale possibile, altrimenti si corre il rischio di fare una pessima figura.

    La contatto via e-mail.

  34. Egr. Marconato,
    questo post è un pò lungo, ma solo perché ho inserito diverse parti della sua ultima risposta. Comunque, con ogni probabilità è l’ ultimo. La ringrazio per il suo tempo, per avermi dato la possibilità di esporre il mio pensiero e di muovere le mie critiche.

    Alessandro, ho capito la tua tattica retorica: tralasci i punti per te scomodi e ti concentra su quelli dove hai argomentazioni che ti sembrano con-vincenti e vincenti

    Veramente, ho cercato di rispondere solo ai punti che mi sembravano più “caldi” (diciamo così). Se avessi dovuto ampliare ancora di più le mie argomentazioni, la lunghezza dei miei commenti sarebbe stata immeritatamente irrispettosa anche per un uomo della sua pazienza, egr. Marconato.

    Perché non hai replicato al Professor Maragliano? […] Ordinario di pedagogia e didattica a Roma 3 […] la scuola, che conosce meglio delle sue tasche. Ma non si è mai messo a pontificare di scuola e di didattica come invece ha fatto e fa Israel

    Credo proprio di non aver notato il commento del prof. Maragliano, ma me ne stupisco non poco perché seguivo abbastanza attentamente la discussione. Mi riservo di esprimere quanto penso dopo aver esaminato il contenuto del suo intervento. Preciso che non vedo nulla di male nel fatto che una persona come Israel “pontifichi” sulla scuola, visto che è un insegnante. L’ importante è se quello che dice sono sciocchezze o verità.

    Ti rendi conto che tutti i meriti in tema di scuola, di pedagogia, di didattica di Israel sono relegati ad un misero libretto tutto slogan reazionari e propaganda in perfetto stile Lefebvreriano?

    NO. Israel ha RIASSUNTO la maggior parte delle sue conoscenze e delle sue opinioni su certa didattica e certa metodologia in un libro (che comunque lei non ha letto). Le garantisco che non ci sono slogan e non c’ è la minima traccia di propaganda, dal momento che le “colpe” sono ripartite tra destra e sinistra (se è questo che intende). Va detto, comunque, che il libro del prof. Israel non è certo una lettura di svago paragonabile a un romanzo. Benché l’ abbia letto diverse volte, persino a me alcuni passaggi restano molto complessi. Israel si è occupato di scuola e di università in tante occasioni, tramite articoli di giornale convegni, conferenze, ecc.

    Ti rende conto che a supporto delle sue “tesi” vengono portate dei “pareri” di insegnanti?

    Mi permetta di dirle che parleremo del “supporto” delle sue tesi quando avrà letto il libro. Anzitutto, uno dei “supporter” l’ ho già citato io: Laurent Lafforgue, brillante e noto matematico nonché futuro internato in un centro di riabilitazione mentale. Che cosa c’ è di male a portare la testimonianza di altri insegnanti sui guasti che comporta l’ applicazione della didattica del NULLA? Certo, cosa possono I FATTI contro la super-teoria della scuola che non ritiene rilevante e necessario studiare? Lei invece chi avrebbe portato a testimoniare, dei netturbini? O dei burocrati ministeriali? Se la scuola si realizzasse secondo i suoi più ambiziosi auspici, non sarebbe curioso di sentire le reazioni e le opinioni degli insegnanti?

    Siamo partiti con una conversazione sui massimi sistemi pedagogici e didattici e siamo finiti col parlare di didattica della matematica. Carenza di argomentazioni?

    No, carenza di spiegazioni su come io debba insegnare la matematica secondo lei e secondo i suoi mentori, nonchè insufficienti spiegazioni in merito alle mie critiche sulle contraddizioni tra la sua teoria (almeno per quello che ho capito) e la natura e i contenuti della matematica. Se avessi iniziato a parlare di altre discipline, lei giustamente mi avrebbe ricordato di non fare il tuttologo.

    Continui a chiedere esempi di buona didattica”non trasmissiva”: non sono forse esempi di buona didattica di questo tipo le narrazioni della didattica delle professoresse Favaron e Galizia?

    Per quanto ne ho capito e nei limiti delle mie conoscenze, sì.

    Ti ho più volte dimostrato come la didattica che non gradisci […] ha come principali scopi la promozione della comprensione autentica […]di promuovere e sostenere l’impegno cognitvo; di portare chi apprende a pensare in modo più “duro”; […] di promuovere lo sviluppo di forme elavate di pensiero

    Sì, ma io non ero perplesso riguardo agli SCOPI. Sugli scopi siamo d’ accordo. Il punto è che le critiche ad alcune visioni molto silili alle sue parlano di un notevole scarto tra le intenzioni e i risultati effettivamente raggiunti. Di nuovo, per esempio, si pensi a quello che dice Lafforgue.

    A te interessa di più l’integrità didattica della disciplina che cosa, come e quanto lo studente apprende: tu ritiene che sia compito dello studente apprendere mentre sia compito dell’insegnante insegnare. Secondo te è lo studente che si deve adattare alla disciplina e che il modo di farlo sia affar suo.

    Finalmente cominio a sentire il suo parere sulla mia didattica. Certo il compito dello studente è apprendere e l’ insegnante deve insegnare BENE; su questo non c’ è dubbio. Ancora, certo, lo studente deve adattarsi alla disciplina che studia prendendo confidenza con i fondamentali e comprendendo i suoi meccanismi, ma questo vale per tutto. Il musicista di piano si “adatta” allo studio dello strumento adottando una corretta posizione per le dita delle mani; se non lo fa, rischia di maturare difetti e approcci scorretti che possono compromettere la possibilità di suonare bene. L’ atleta si “adatta” al salto in alto imponendosi di fare pratica nel salto per via dorsale; se si ostinasse a seguire un approccio più “naturale”, ossia saltando frontalmente, non vincerebbe neanche una competizione. E’ in questo senso che ritengo uno studente debba “adattarsi” alla materia. Il “modo di farlo”, comunque sia, non è affatto “affar suo”; casomai è affar mio.

    La ragion d’essere dell’insegnante sta nel trasmettere nel modo più rigoroso possibile i fondamentali della disciplina.

    Non solo, ma anche gli sviluppi di questi fondamentali. E dovrebbe farlo cercando di suscitare la curiosità per la materia che insegna, cercando di mettere la pulce nell’ orecchio, diciamo così.

    Se qualche studente non è in grado di imparare è inadatto alla scuola e/o a quella disciplina e deve essere bocciato

    Assolutamente no; dopo i miei scambi di vedute con Elena, le pare questo il mio parere? Adatti alla scuola ci si diventa. Ribadisco che non ritengo la bocciatura qualcosa di positivo in sé e per sé, bensì uno strumento che un’ insegnante non può permettersi di escludere a priori. Però va usato con molta cautela e molta correttezza, per esempio solo se 1) lo studente non abbia una comprensione sufficiente della materia e 2) non si sia dedicato allo studio perché ha preferito impiegare il suo tempo in modo non proficuo (che so, giocando a biliardo o a freccette tutto il tempo).

    Il valore di uno studente è dato dalla misura in cui si conforma alla disciplina e la impara.

    Non solo per questo (e comunque ho precisato che significato dò all’ espressione “conformarsi”), ma principalmente per questo, sì. Anche perché, diversi fattori influiscono sui suoi risultati: autocontrollo, capacità di resistere alla fatica dello studio, capacità di auocritica, ecc.

    Per me, e per tutta la didattica che tu ritieni essere stata la rovina della scuola italiana, al centro sta, invece, la persona che impara e tutta la nostra energia è far si che quella persona possa imparare il più possibile, che tutti possano imparare anche secondo modalità differenziate in ragione della sua unicità.

    Già, ma io sono coriaceo e diffidente, non mi fido delle “autovalutazioni” e preferisco controllare i rendimenti di ogni strategia didattica con un sano “carotaggio” delle conoscenze di ogni studente. Che vuole farci? E, pensi un pò, sono addirittura convinto di farlo per il bene dei ragazzi, perché so che un domani il datore di lavoro li sottoporrà ad un analogo “test”, ma sulla base di un unico criterio: se non sei capace, fuori!

    Non mi vorrai mica dire che alla purezza della razza hai sostituito quella disciplina?

    Questa frase non merita alcuna risposta, salvo la seguente considerazione: continui a vedere me e le mie critiche sotto quell’ ottica e le assicuro che fallirà su tutta la linea.

    provi repulsione, per le novità;. Il tuo messaggio pare essere “solo ciò che è vecchio è buono”.

    Ha detto bene: “PARE”. La mia didattica le sembra poi così “vecchia”? Le ho già detto come la vedo: se una novità è utile, ben venga; se non lo è (o se è addirittura dannosa), non ho problemi a liberarmene in men che non si dica, anche a costo di essere tacciato come “retrogrado” e affini. Il mio messaggio è “alcune parti di ciò che è vecchio sono ancora buone: teniamole; tutto il resto, via!”.

    ti lamenti che i ragazzi non conoscono bene la matematica, l’italiano ecc… e attribuisci questo fatto alla trasmissione di “cattiva” matematica, di “cattivo” italiano ecc…Sei proprio sicuro che sia così? Che sia per causa dei contenuti? O non sia per causa di un “cattivo” metodo nel trasmetterli? E che, magari, sia proprio perché l’ottica sia quella della “trasmissione”, quella di un recipiente vuoto (lo studente) da riempire con la sapienza di cui è già pieno il detentore della verità (l’insegnante)?

    No, io penso che il problema sia PROPRIO (o comunque principalmente) nel “cattivo metodo per trasmetterli”. Il punto è che ritengo responsabile buona parte della “vecchia didattica”, ma anche parte della “nuova” se è vero (come penso) che sia anch’ essa responsabile di certi disastri. E penso che il problema possa stare in tutto fuorché nel fatto che l’ insegnante debba insegnare e l’ alunno apprendere; lei consiglierebbe di invertire i ruoli?

    Ti ho citato la tematica della “conoscenza inerte” e l’hai bellamente ignorata

    Pensavo che “conoscenza inerte” volesse dire proprio quello che dice, ossia conoscenza passiva, puramente mnemonica; semplici informazioni archiviate nel cranio di qualcuno del tutto impossibilitato a servirsene criticamente. Non credo di non aver neanche sfiorato l’ argomento.

    abbiamo studenti pieni, strapieni di nozioni; abbiamo brillanti diplomati, brillanti laureati […] ma cosa se ne fanno di tutto quella “conoscenza”? […] metterci sopra nuova “conoscenza”, e poi ancora, e ancora … all’infinito

    A parte il fatto che molti dicono che ormai non abbiamo neanche più questo; forse “avevamo”… forse. Se poi lei pensa che il continuo accumulo e la continua rifinitura delle conoscenze non producano nulla, allora crederà anche all’ albero della scienza e a quello della tecnologia. Oggi qualunque progresso in qualunque campo necessita di una preparazione approfondita e specifica; forse addirittura troppo specifica.

    tipico è il caso della matematica e dei matematici che vengono formati nelle nostre università; imparano a svolgere operazioni complesse per svolgerne di ancora più complesse e cosi via in un circuito vizioso e autoreferenziale, buono solo per titoli accademici e di nessun impatto reale.

    Nei suoi sogni senz’ altro. Definire di “nessun impatto reale” quello che fanno i matematici nelle università non solo è assurdo e privo di ogni fondamento, ma triste e indegno di una persona istruita. Non saprei da dove cominciare per farle capire quanto le scienze di base, astratte e “autoreferenziali” come dice lei, abbiano contribuito a cambiare la realtà che ci circonda. Grazie ai matematici lei ha modo di parlare con me tramite il web, grazie ai matematici il suo pc dispone di energia per funzionare, grazie (anche) ai matematici lei non potrebbe uscire di casa e indicare un oggetto od una tecnologia che non sia un’ applicazione più o meno diretta di idee matematiche. I suoi mentori lo sanno questo? Lei pensa di essere in grado di poter parlare di “autoreferenzialità” nei confronti di un “circuito vizioso” che produce risultati culturali a lei completamente sconosciuti?

    tieni presente che nella didattica non “focalizzata” sui contenuti, questi non vengono ignorati, sottovalutati, banalizzati, svuotati … I contenuti continuano a esistere, solo che il focus è altro

    Me ne rallegro, visto che anche io penso di avere una didattica simile. Come avrà notato, è fondamentale l’ approccio “rilassato” che ho con gli studenti. Il punto è che alla fine i contenuti devono essere appresi, le conoscenze verificate e lo studente messo di fronte al frutto dei suoi sforzi. Altrimenti si comincia bene ma non si finisce.

    qui veniamo alle deliranti affermazioni del Lafforgue: “al centro del nulla” ma come si fa a fare un’affermazione simile? Come si fa non definirla delirante?

    Si fa, si fa. Si fa quando si comprende che quel tipo di problemi sorgono quando ci si dimentica di quello che si sta insegnando, si insiste troppo sul COME si debba apprendere tralasciando del tutto COSA si debba apprendere. Si trasforma la scuola in un manicomio per la sperimentazione di ogni insulsaggine, dove alla fine si fa di tutto tranne che insegnare e aumentare la propria cultura. Per dirla con Lafforgue, “un luogo dove si praticano valori come la tolleranza, c’è chi parla della scuola come “luogo di pace” – tante belle cose, ma che non c’entrano niente con lo scopo per cui la scuola esiste”.

    che ne facciamo di decine e decine di ricercatori, di scienziati che in questi 50 anni hanno investigato questo tema con lo scopo di costruire una scuola che dia a tutti un’opportunità e non solo a quelli per i quali il futuro sarebbe comunque, roseo, anche con pessima scuola, anche con pessimi insegnanti, anche con pessima didattica

    E’ inutile che tenta di accusarmi di riproporre la scuola “classista”, visto che le ho già spiegato i miei metodi: TUTTI i miei studenti devono capire quello che insegno loro, TUTTI. Mi dedico anche singolarmente ad ognuno di loro finché non ha compreso a sufficienza l’ argomento in questione. E’ la PREPARAZIONE il vero e autentico asso nella manica contro il classismo, e la mia preoccupazione va alla preparazione di ognuno dei miei studenti. Invece che ne facciamo della gente che per migliorare la didattica di una materia toglie la materia e lascia la didattica?

    Informazione – conoscenza: secondo te sono la stessa cosa? Hai mai riflettuto sulle differenze? Ti sei mai chiesto quali siano le implicazioni didattiche per le une e per le altre

    A dir la verità, in uno dei miei primi post ho detto testualmente “cultura, informazione e intrattenimento mediatico sono cose distine”.

    trasmettiamo “informazioni” (questo è quello che l’insegnante fa; per lui saranno anche “conoscenze” ma per lo studente sono mere “informazioni”),

    Beh, non sempre; se un insegnante sa incuriosire e attirare l’ attenzione sulla propria disciplina, lo studente non bollerà come banali “informazioni” i contenuti che sta studiando.

    Hai chiaro che la scuola italiana oggi è ancora quella del passato?

    Assolutamente NO. Penso che sotto alcuni aspetti e in certi casi abbia ragione lei, ma in generale NO. Tanto per cominciare, nella scuola di una volta si studiava di più; spesso troppo e male, ma certamente si studiava di più. Nella scuola di una volta si bocciava molto e troppo spesso in maniera esagerata (vedi Don Milani), mentre fino a qualche anno fa è avvenuto un pò il contrario (vedi fiera delle promozioni). Nella scuola di una volta il giudizio dell’ insegnante era legge per tutti, specie per i genitori dello studente, e questo ha causato parecchi inconvenienti. Oggi non è più così, specie se si pensa a quei casi clamorosi (fortunatamente ancora non troppo diffusi) di cui parlavo con Elena. Se non riesce a riscontrare queste differenze, allora non so proprio che dirle.

    Cerchiamo di attingere all’intero corpo di conoscenza sviluppato fino ad ora su come le persone apprendono e su come si possono aiutare a farlo a scuola

    Appunto, ma non mi pare abbia preso in considerazione le opinioni degli scienziati e dei matematici che ho citato io in materia di didattica; per esempio, non mi ha chiesto neanche una volta di saperne di più. Perché, chiaramente, le sue fonti sono “scientifiche” (pensa di impressionarmi con questo termine?) e frutto di decenni di ricerche, mentre le mie (frutto di secoli di esperienza nell’ insegnamento) sono interamente classificabili come “didattica trasmissiva” e quindi indegne di considerazione. Dopo, il fatto che siano sperimentate ed efficaci è un dettaglio superfluo. Pensa che questa gente non si sia mai confrontata con l’ insegnamento “trasmissivo” come lo intende lei. Non abbia mai avanzato delle critiche e proposto delle soluzioni (poi risultate efficaci)? Non credo che lo sappia, ma lo stesso Hardy criticò e riuscì a far modificare la struttura e lo svolgimento del Mathematical Tripos, l’ esame finale degli studi a Cambridge, una prova difficilissima di pura memoria e piatta ripetizione di problemi standard che, come scrisse C.P.Snow, “da cent’ anni stava rovinando lo studio della matematica in Inghilterra”. Ma che importa? La sua ricerca “in-ter-na-zio-na-le” va “da tutt’ altra parte” (appunto).

    Direi che così possa bastare. Temo di dover convenire con lei sul fatto che le nostre posizioni sono troppo distanti, anche se qualche punto in comune c’ è. Che dire? Ognuno proseguirà per la propria strada e farà del proprio meglio, specie in classe di fronte agli alunni. Concludo dicendole il mio parere e solo il mio parere: se è vero quello che dice, secondo me la direzione lungo la quale si è incamminata la metodologia che dice lei è politicamente un vicolo cieco. A parte quello che avviene in Italia ed in un’ Unione Europea in cui da tempo ci si è bevuti il cervello, sto pensando a tanti casi in cui le sue tesi non sono accettate passivamente come dati di fatto, sono discusse dettagliatamente e a volte rigettate da chi prende le decisioni. Sto pensando a quello che è stato definito “spettacolare miracolo educativo” nel Massachusetts, il cui sistema scolastico è basato su severi curriculum disciplinari e su approcci sistematici tutto sommato tradizionali. Se questo trend dovesse continuare, non è difficile prevedere che altri stati negli USA faranno riferimento a tale sistema per ottenerne gli stessi benefici. Sto pensando a Israele, dove per la scuola si è deciso di importare in blocco libri e metodi dalla Corea del Sud per via dell’ eccezionale preparazione nelle materie scientifiche degli studenti coreani. Esempi importanti, che testimoniano come la cosa migliore sia la selezione critica dei vantaggi rispetto ai difetti, e non la semplice sostituzione di un sistema ad un altro. Sto pensando a tanti paesi ormai totalmente proiettati verso lo sviluppo, paesi che hanno bisogno di una scuola che fornisca risultati che consentano loro di guadagnare posti nelle graduatorie internazionali sull’ innovazione scientifica e tecnologica. Questa gente accetterà e si darà solo una scuola che funzioni e che renda; non ci sarà posto per tutto il resto. Alla fine sarà il tempo a mettere la parola fine alla nostra diatriba. In fondo, anche da noi (così come in Francia) non ci si rassegna a subire passivamente la presenza delle idee provenienti da una sola parte, ed è un bene perché il confronto è importante in democrazia.

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