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Si, pare sia davvero felice l’insegnante della scuola italiana.

E’ questo, in estrema sintesi, quanto emerge dall’indagine IARD di cui la stampa dà oggi conto.

A dispetto di un’immagine sociale sempre più degradata, di un’identità sempre più incerta, a dispetto dei continui attacchi sferrati alla scuola e a loro stessi da parte del governo, l’insegnante italiano resiste, è orgoglioso e felice del proprio lavoro, lo rifarebbe nuovamente, lavora con impegno …..

Parrebbe, quasi, che la realtà e la sua rappresentazione stessero su pianeti diversi; da una parte la scuola “vera” con i suoi operosi insegnanti tutti dediti alla difficile missione che istituzionalmente è stata loro affidata, dall’altra la scuola raccontata dei mass-media, da tanti libri adeguatamente rilanciati dal tritatutto mediatico, la scuola vilipesa dai politici, la scuola asfissiata dai tagli di bilancio, la scuola da distruggere perché inadatta agli scopi per cui è stata costruita. La scuola che ha tutti contro.

E in questo gioco al massacro, l’insegnante, come se nulla fosse, continua (quasi) imperturbato a combattere la sua solitaria battaglia.

Allora mi assale un dubbio: che il Nostro non sia un emulo del combattente giapponese che a guerra terminata, e persa, continua la sua guerra personale? Che non sia, il Nostro, un emulo di Don Chisciotte tutto intento a combattere i mulini a vento?

In attesa di una risposta, vediamo qualche dato che emerge dalla vitata indagine

Alcuni dati “oggettivi”

Il nostro corpo insegnante è il più vecchio del continente, la carriera più accidentata, gli stipendi più bassi e una femminilizzazione incalzante.

Ottimo e abbondante anche il morale

Più di 8 su 10 rifarebbero questo lavoro; in calo il burnout. Di 10 punti in più il primo rispetto a 20 anni fa i primi, altrettanto, ma in meno, i secondi

Quale la causa di tutto questo?

Pare sia il clima in cui si vive a scuola: relazioni umane più che soddisfacenti a tutti i livelli, la possibilità di lavorare costruttivamente con i giovani, casi-limite (bullismo) contenuti e gestibili.

Interessante la percezione di sé che hanno gli insegnanti

Non più,  come dieci anni fa, un “professionista” che si gioca tutto sulla competenza ma un “ruolo sociale” da esercitare.

Percezione, a  mio avviso, non produttiva e che, forse, spiega la valutazione che in tanti danno della limitata competenza media dell’insegnante d’oggi, valutazione che, però, non sembra trovare conferma nei dati dell’indagine.

La scuola italiana pare sia composta prevalentemente di buoni insegnanti (chissà come questa “bontà” è stata determinata) con un buon 20 – 30% sulla soglia dell’eccellenza.

Pare venir meno l’idea della professione come espediente per conciliare un lavoro retribuito con la conduzione della famiglia

La metà degli insegnanti sta a scuola ben oltre il tempo di insegnamento

In questo paradiso che pare essere la scuola italiana, qualche ombra ci sarà?

Gli insegnanti ritengono di essere reclutati non sulla base del merito; si sentono mal preparati ad insegnare pur ritenendosi competenti nella materia; pochi frequentano corsi di aggiornamento; amano poco mi libri

E con le innovazioni digitali come la mettiamo?

Ci si sforza di mantenersi al passo con il nuovo ma si è costretti a farlo in modo del tutto volontaristico, sia per quanto riguarda la formazione che la dotazione tecnologica: tutto – o quasi – a proprie spese. Ma le tecnologie si usano poco: abbastanza per preparare le lezione, molti meno per fare la lezione.

Allora, quale è la didattica che si vede nelle nostre classi?

E’ la lezione frontale a regnare sovrana con qualche integrazione di interattività

Pare mutare il significato attribuito al voto

Nella difficoltà di disporre di affidabili tecniche di misurazione, il “quanto” è stato imparato  pare interessare pochi insegnanti, addirittura uno su quattro proprio non ne vuol sapere; per questo, invece di considerare quanto gli studenti hanno appreso, si preferisce “misurare” i progressi, l’impegno dimostrato.

Io leggo del rapporto su Repubblica e il cronista si domanda se questo rifiuto a valutare, a misurare con severità e rigore non rappresenti il rifiuto degli insegnati di essere gli unici ad applicare le regole in una società priva di regole. Con la conseguenza di isolarsi dal mondo esterno e di imboccare la via dell’autoreferenzialità.

A mio avviso la “vera” scuola non è ne quel paradiso terrestre che pare emergere dall’indagine IARD, ne quel terremotato mondo descritto da certi politici e abbastanza diffuso nell’opinione pubblica. La scuola italiana si presenta a macchia di leopardo: sacche di scuola che non funziona (quelle che a mio avviso prevalgono) e sacche di scuola che funziona.

Ma, attenzione, le “macchie” non sono determinate dal tipo di scuola, dalla sua collocazione geografica, dalle condizioni socio-culturali dell’area in cui si trova ….. La divisione, la spaccatura, direi, è all’interno di ogni scuola, è all’interno di ogni classe e ciò che fa la differenza più che l’istituzione è l’insegnante.

Michele Smargiassi, su Repubblica di oggi,  termina il  suo servizio con la domanda: “… i nostri insegnanti cosa vogliono essere?”

Ricordo che una risposta la stanno costruendo più di 900 insegnanti del social network La scuola che funziona (www.lascuolachefunziona.it). Qui stiamo, infatti, costruendo collaborativamente e per gli insegnanti quello che per i medici è il giuramento di Ippocrate. Nell’affollata e ricca discussione in atto stanno emergendo temi come

  • la centralità della competenza didattica
  • l’essere “professionisti” dell’apprendimento,
  • la capacità di leggere senza stereotipi il proprio “utente”,
  • di agire per il futuro,
  • di rifuggire il piagnisteo e mettersi sulle spalle i problemi,
  • di lavorare con creatività,
  • di fare ricerca,
  • di rifiutare un ruolo impiegatizio,
  • il non sentirsi mai arrivati …

ecco cosa sta emergendo, tante dimensioni per una professione piena di energia.

Tanta energia, come quella presente nel network che cresce in consapevolezze e profondità di giorno in giorno utilizzando le dinamiche generative della rete.

Si, è proprio come dice l’indagine IARD: nella scuola italiana ci sono

  • tanti insegnanti consapevoli del proprio ruolo a dispetto di una immagine sociale e culturale deteriorata,
  • tanti insegnanti cha fanno buona scuola,
  • tanti insegnanti che non ci stanno al gioco al ribasso e al massacro chi è sottoposta la scuola oggi ad opera di politici e mass-media.

Questa è una scuola che funziona; senza dimenticare che c’è anche la scuola che non funziona.

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3 pensiero su “L’insegnante felice”
  1. Insegnati Europei

    OCSE – Teachers’ Professional Development: Europe in international comparison – Gli insegnanti sono la linfa del sistema educativo e lo sviluppo professionale degli insegnanti è un ingrediente essenziale per mantenere la qualità dell’istruzione. La relazione giunge alla conclusione che gli insegnanti EU, più di 6,25 milioni, hanno bisogno di un reale feedback sul lavoro che svolgono, in modo da poter beneficiare appieno delle opportunità di formazione, e che, per uno sviluppo professionale adeguato, sono importanti anche la varietà delle esperienze di formazione e un miglior clima lavorativo nelle scuole.

    ALTRI DATI SU TALIS, indagine internazionale sull’insegnamento e l’apprendimento dell’OCSE. (“Creating effective teaching and learning environments”)

    E SU Eurydice Network, the 2009 edition of Key Data on Education in Europe. UNA SINTESI qui http://www.scribd.com/doc/23206210/Insegnanti-Europei

  2. Bene, sono felice della lunga analisi di Gianni, che rappresenta un piccolo esercito di poveri insegnanti che però sanno perfettamente quello che vogliono, e dopotutto questa è la sola cosa che conta, darci dentro, lavorare sodo, non trovare scuse per non impegnarsi e trovare piacere in quello che si fa…da qui la possibilità d'essere un insegnante felice ..Mi piace molto la scuola che funziona!!!

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