Antonio Vigilante, insegnante di filosofia e scienze umane in un liceo di Siena, già direttore scientifico della rivista Educazione Democratica, pubblica nel suo blog un bel post “Contro la scuola“, un titolo secco, che non ammette ambiguità nel pensiero dell’Autore e che riporto qui di seguito perché voglio tenerne preziosa memoria e perché intendo commentarlo ampiamente, agganciandoci qualche mia riflessione (le evidenziazioni in rosso sono mie).

  1. A scuola non si apprende, se non in modo accidentale. Perché l’apprendimento è impossibile senza interesse, ed è semplicemente impossibile provare interesse contemporaneamente per più di dieci discipline, e per tutti gli argomenti di quelle discipline. Si apprende quando, in modo casuale, uno dei temi proposti incontra un nostro reale interesse. Per tutto il resto del tempo si finge un interesse che non c’è e, al momento delle verifiche, si simula di aver appreso ciò che non è stato appreso.
  2. È una sciocchezza che il docente debba far nascere l’interesse. Il suo compito è quello di non spegnere un interesse in atto.
  3. Quand’anche in una scuola tutti i docenti fossero miracolosamente in grado di suscitare un interesse per ciò che insegnano, il sistema nervoso degli studenti non reggerebbe. Perché l’apprendimento è una impresa profondamente coinvolgente, eccitante, adrenalinica. Dopo mezz’ora di apprendimento reale c’è bisogno di un’altra mezz’ora per metabolizzare, riflettere, calmarsi. Cinque ore di apprendimento reale sono semplicemente impossibili.
  4. In mancanza di interesse, la scuola abitua a una simulazione che è fatta di ripetizione mnemonica, di linguaggio stereotipato, di vuoto chiacchierare. Sostituisce dunque l’ignoranza con qualcosa che è perfino peggio: la caricatura del sapere.
  5. La condizione scolastica è tra le più penose cui sia possibile sottoporre un essere umano. Immobilizzato, ammutolito, sorvegliato a vista, lo studente è un essere senza parvenza di vita. La scuola chiede solo le sue orecchie. Non la sua bocca, non le sue mani. Meno che mai la sua intelligenza. Mai il suo cuore.
  6. A scuola ci si abitua a pensare che la società debba essere organizzata asimmetricamente. Che sia necessario che ci sia uno che ha potere su altri, e che parla dall’alto al basso, che minaccia blandisce ricatta rimprovera.
  7. La relazione tra insegnante e studente, che dovrebbe essere una relazione di cura, è invece una relazione di dominio: ossia una relazione sporca. La comunicazione tra chi insegna e chi è insegnato — tra chi segna e chi è segnato — è costantemente esposta alla violenza.
  8. L’imbroglio da parte dello studente — il copiare — è l’inciampo che mette in luce l’assurdo di tutto il sistema. Una scuola in cui si copia è una istituzione che produce voti e diplomi, chiedendo in cambio lo spreco del tempo — della vita — di chi vi è inghiottito.
  9. La scuola non ha soltanto la colpa di non consentire alcun reale apprendimento. Quel che è peggio è che fin da subito associa l’apprendimento, lo studio, la conoscenza, che sono gioia, alla noia, alla passività, al fastidio. Inibisce la curiosità, la ricerca, la tensione verso la conoscenza. Castra la mente.
  10. La violenza maggiore la subiscono i docenti. Che giorno dopo giorno, anno dopo anno diventano grigi burocrati dello spirito, amministratori delegati di ricchezze che nelle loro mani sono destinate a diventare oro finto, gioielli di latta; zombi che si trascinano stancamente da un’aula all’altra sputacchiando le loro penose nozioni e le ancor più penose lezioncine morali.

Questo post, rilanciato in Facebook, ha generato discussioni interessanti con reazioni controverse (purtroppo gli incorporamenti da FB non sono più possibili da ottobre 2020 se non con complicate procedure che mi sono difficili).

IN SINTESI

Sono d’accordo con l’Autore perché non fa altro che mettere in evidenza quello che (spesso? molto spesso? quasi sempre?) succede a scuola.

Non si può negare l’insensatezza di molte pratiche didattiche che, oltretutto, confliggono con “leggi” naturali, come le tante materie proposte a raffica, ognuna delle quali richiede un approccio cognitivo diverso obbligando lo studente ad un contorsionismo mentale innaturale, come le tante ore consecutive di insegnamento, dimenticando che l’apprendimento ha bisogno di lentezza, di momenti di vuoto. Come si “rimedia” in una scuola così impostata? Si rimedia con la simulazione collusiva di un avvenuto apprendimento e con il gioco delle parti quando, invece, si potrebbero creare le condizioni per un apprendimento reale e in condizioni di benessere per tutti.

IN DETTAGLIO

A scuola si impara ma ….

….. succede di tutto, tranne quello che si vorrebbe accadesse: si insegna, si impara, si dimentica. Di quello che si è insegnato, a distanza di tempo rimane poco. Non rimane, se non per un brevissimo periodo, il “programma” (i così detti “risultati attesi” formalizzati nelle programmazioni). Non rimane quello che si sarebbe dovuto imparare. Ma rimane ciò che ha colpito lo studente, ciò che è collegato ai suoi interessi, alle sue emozioni, anche ai suoi problemi. Può rimanere il senso generale di un tema trattato, un atteggiamento, il principio di un valore. I più allenati al metodo scolastico memorizzano di più, ma anche questi per chissà quanto tempo. Pare che la scuola sia un’attività a basso rendimento: tante energie profuse, tante risorse allocate ma pochi risultati (non sono un sostenitore del produttivismo didattico). L’apprendimento che si realizza è, come dice Vigilante, accidentale. Sfido chiunque a dimostrare il contrario (parlo, ovviamente, di apprendimento significativo, che rimane per lungo tempo, non la memorizzazione nel breve periodo della verifica scolastica).

Però succede, anche, che si impari ciò che non è stato insegnato perché una frase dell’insegnante, un evento, un incidente ha messo in moto il pensiero dello studente. Non è una cosa nota da ora che c’è una correlazione labile e casuale tra l’insegnamento e l’apprendimento; si apprende anche senza insegnamento ma si apprende anche nonostante l’insegnamento.

La valutazione formale rileva solo una parte di quanto uno studente ha imparato, anche sull’argomento in discussione, rileva solo la parte formalizzata e prevista. Quanto apprendimento non viene valorizzato? …. ma si è molto attenti ad evidenziare gli errori (questo è il vero criterio usato nella valutazione).

Però a scuola si impara anche ciò che si insegna, direttamente e indirettamente. Si impara a leggere e a scrivere, si imparano alcune nozioni e si impara anche a pensare, a ragionare, ad avere un metodo per affrontare un argomento, si sviluppano stili di pensiero, ci si scopre più attratti dalle scienze o dalla letteratura, c’è tanto apprendimento collaterale che si rende visibile nel lungo periodo.

Passando attraverso la scuola si diventa professionisti, scienziati, poeti, inventori, persone generose ed empatiche ma anche manipolatori, criminali, violenti, disumani … E’ tutto merito delle scuola? E’ tutta colpa della scuola?

Siamo al gioco delle parti? Si finge di insegnare? Si finge di imparare? La scuola è una continua collusione, è il luogo del gioco crudele dell’apprendimento, o della simulazione dell’apprendimento come ben ricorda Vigilante.

Non credo sia questione di cosa si insegna e neppure di come si insegna, ma credo che, a parte alcune questioni tecniche (ad esempio quelle che Vigilante evidenzia nei punti 1, 3, 8 e 9) e quelle del modello di relazioni sociali che veicola (messe in evidenza dall’Autore nei punti 6 e 7), sia necessario riflettere su cosa sia la scuola oggi, che ruolo abbia nel determinare DIRETTAMENTE (e non incidentalmente) il futuro delle persone, delle nazioni e dell’umanità. La scuola dovrebbe fare un bagno di realismo, prendere atto di quello che sta succedendo e ripensare sé stessa, non assumere obiettivi che non le sono propri o non raggiungibili e concentrarsi, piuttosto, su quello che il territorio proprio.

La scuola dovrebbe prendere atto di essere una parte (tutto sommato marginale) di un vasto sistema di costruzione del sé e della conoscenza (i vari media hanno un potere reale ben maggiore della scuola nel costruire valori e stili di pensiero, e così la cultura – nel senso dell’antropologia culturale – in cui gli studenti sono immersi, la famiglia, la micro-socialità).

Dismessa un po’ di sacralità, la scuola dovrebbe concentrarsi sulla costruzione delle abilità fondamentali per l’autonomia e la libertà delle persone: leggere, scrivere, capire, pensare, dubitare; dovrebbe favorire l’allargamento progressivo della rete dei saperi strutturati che si dovrebbero padroneggiare, da quelli di cittadinanza a quelli professionali.

La scuola dovrebbe, infine, prendere una chiara posizione a favore degli individui difendendoli dall’omologazione al pensiero dominante costruito attraverso i Media e i modelli sociali e culturali allo scopo di renderli (gli individui) docili strumenti degli interessi di pochi. La scuola deve fare una chiara scelta sulla parte dalla quale stare, quella del Sistema o quella delle persone. L’istruzione dovrebbe connotarsi con un atto intrinsecamente trasgressivo.

Qualche idea per una ripartenza

L’apprendimento avviene nella conversazione (pratica sociale) e nella riflessione (pratica individuale).

L’apprendimento avviene nella lentezza.

L’apprendimento avviene nella collaborazione.

L’apprendimento avviene nella comunità.

(segue)

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