In tanti anni di attività con gli insegnanti mi sono reso conto che tantissimi nutrono una fiducia, a dir poco esagerata, nelle metodologie didattiche che sono trattate in forma di teorie e di istruzioni per l’uso nei libri, nei manuali, nelle formazioni.

Parlo di “fiducia” e che questa sia “esagerata” perché l’atteggiamento che vedo prevalere è quello di una “applicazione” meccanica di quanto qualcuno, pur autorevole, propone, nella certezza di far bene (o di questo sono stati convinti).

Il convincimento sottostante è quello del “se lo dice lui (il libro, il manuale, il formatore) va bene e io faccio come mi viene detto di fare”.

La questione è che tutto questo ha un valore alquanto circoscritto perché:

  • Una teoria, una tecnica,  un modello affronta uno o alcuni dei tanti aspetti delle dinamiche dell’apprendimento e dell’insegnamento;
  • Nessuna teoria, nessun approccio didattico ha valore assoluto e funziona sempre e comunque;
  • La letteratura professionale presenta, non di rado, risultanze contradditorie;
  • La didattica non è una scienza e se vogliamo dar credito ad una parvenza di scientificità (ad esempio la evidence-based education) pare non funzioni nulla e funziona tutto.

Cosa, allora, dovrebbe fare il bravo insegnante, quello che vorrebbe essere efficace?

Premesso che andrebbe specificato cosa s’intenda per efficace, credo che gli atteggiamenti utili possano essere caratterizzati dalla consapevolezza che:

  • La didattica è un’attività “biologica”, non “meccanica” e, quindi, imperfetta;
  • Una teoria, pur nella sua parzialità, non va “applicata” ma “usata” per quello che può servire e dove può servire;
  • Nessuna tecnica didattica è prescrittiva e va sempre interpretata e contestualizzata (anche allo stile di insegnamento del singolo docente);
  • La didattica è un’attività più simile ad un processo di soluzione di problemi “aperti” che l’esecuzione di procedure per problema “chiusi”;
  • L’insegnamento è un’attività ad alto rischio perché nessun esito è mai assicurato;
  • Insegnare è, sostanzialmente, scegliere, prendere decisioni, assumere responsabilità.

Capisco che per alcuni insegnanti sia più rassicurante dar seguito a prescrizioni piuttosto che prendre decisioni e, pertanto, far assumere la responsabilità di una decisione ad un terzo (una teoria, un metodo, un manuale, un formatore) che assumere su di sé la responsabilità e il rischio delle decisioni sul cosa e il come insegnar. Ma il bello, l’essenza, dell’insegnamento è proprio questo: un’attività ad esito incerto.

P.S.

Più volte mi è stato chiesto cosa funziona. La mia risposta è stata: quello che ad ognuno di noi convince maggiormente. Gli insegnanti che ho visto essere efficaci sono quelli che sono convinti della bontà di un approccio, che lo sanno gestire con sicurezza, che si sentono a proprio agio quando insegnano e che col tempo hanno affinato la propria tecnica.  I peggiori risultati li ho visti quando, sotto la pressione di cambiare, di innovare, di “mettersi in gioco”, la loro azione è incerta, casuale, meccanica e senza anima.

Se è problematico dire cosa funzioni, qualche indicazione su cosa non funziona lo possiamo sapere:

  • Il sovraccarico cognitivo, l’intasamento di informazioni senza appropriazione
  • Il non prendere in considerazione le conoscenze pregresse
  • Il diverso approccio alla conoscenza da parte dell’esperto (il docente) e del novizio (lo studente)

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2 pensiero su “L’esagerata fiducia degli insegnanti nelle metodologie didattiche”
  1. Sono felice di questo nuovo post, come un ritorno dal futuro!
    Sono d’accordo con la riflessione che proponi e trovo che rispecchi la realtà di gran parte della scuola oggi.
    Mi sembra che si possa affermare che ci sono almeno due ragioni del fenomeno dell “esagerata fiducia” e del – convincimento sottostante è quello del “se lo dice lui (il libro, il manuale, il formatore) va bene e io faccio come mi viene detto di fare”.-
    La prima ragione è forse la consapevolezza che la formazione universitaria attuale, condizionata da mille e mille pressioni e fattori che non è il caso di approfondire qui, probabilmente se da un lato fornisce una disinvolta, ma a volte anche troppo sbrigliata, struttura professionale dall’altro mostra qualche limite. Costruirsi un curriculum, pur tra suggerimenti e limiti di un piano di studi, non è facile e può lasciare alcune incertezze.
    Ma la seconda ragione è più grave e difficilmente risolvibile. Infatti se è vero che in ogni professione, insegnamento compreso, si impara anche empiricamente, anche provando e confutando i propri eventuali errori e soprattutto studiando per tutta la vita (almeno professionale), è anche vero che oggi purtroppo il docente è sottoposto a un ingiusto svilimento del suo ruolo.
    La professione docente non è più rispettata, non è valorizzata e non solo perché malissimo retribuita (ma questo è sempre accaduto) ma perché tutti oggi si sentono autorizzati a parlare di scuola, a giudicarla quando non, addirittura aggredirla anche fisicamente nella persona dei docenti.
    Un insegnante ha spesso sopra di sé un dirigente che non è più primus inter pares, non è più un docente con esperienza e pratica, ma è un “direttore” a sua volta diretto e bombardato da pletore di circolari, da opinioni sgangherate sulla scuola espresse da politici grossolani.
    Per di più impazzano le malefiche “chat dei genitori” delle quali, direbbe il poeta “tacere è bello” o forse… tacere è meglio.
    Forse diventa se non giustificato allora almeno comprensibile che un insegnante si aggrappi, per autodifesa, al “se lo dice lui (il libro, il manuale, il formatore)”. Da qualche parte una sponda la si cerca mentre forse dovrebbero ancora esistere sindacati scuola e associazioni professionali molto ma molto serie che si contrappongano all’arrembaggio alla scuola.
    Grazie Gianni Marconato per questo tuo contributo.

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