La questione che qui pongo riguarda la manipolazione (anche potenziale) del pensiero, della coscienza dello studente che l’insegnante può operare a scuola ponendo a contenuto della didattica alcune tematiche.
In una discussione privata con un’amica insegnante viene posto il tema della potenziale manipolazione degli studenti da parte degli insegnanti con la proposta di tematiche “sensibili” come contenuto della didattica vs. il voler “proteggere” gli studenti stessi dentro una nuvola confortevole tenendoli lontani da questioni critiche che sono presenti nella vita di tutti i giorni.
La questione era riferita, anche, all’età degli alunni/studenti in cui certi temi potrebbero essere proposti come contenuti delle attività didattiche.
Le tematiche in discussione erano i diritti dei migranti, le questioni LGBT, le “nuove” famiglie, Zaki, e tutte quelle tematiche che nel dibattito politico sono, come si suol dire, “divisive”.
L’amica sosteneva che porre certe questioni, come ha visto fare, nella scuola primaria, si configuri come manipolazione della coscienza delle giovani persone, come plagio e che come potenziale madre di alunni della primaria lei avrebbe preferito che tali questioni non fossero state trattate a scuola.
Io sostenevo che nel momento in cui si ritiene che il mondo debba entrare a scuola e che la scuola debba stare nella realtà, tutte le tematiche che si presentano nella “realtà” debbano essere oggetto anche della didattica, per tutte le età, ovviamente con il dovuto approccio didattico.
Non si può sostenere che, ad esempio, sia legittimo e opportuno trattare il cosiddetto coding e il cosiddetto pensiero computazionale nella scuola dell’infanzia mente non sia opportuno trattare nella scuola primaria questioni come i diritti dei migranti o le nuove famiglie.
La vita fuori dalla scuola deve entrare a scuola solo per alcune parti? Alcune tematiche sono legittime mentre altre sono manipolazione?
Allargando il discorso, a scuola si manipolano gli studenti? Quando si può parlare di manipolazione, di plagio?
La destra afferma che a scuola non si deve fare politica. Ma si fa politica solo trattando alcune tematiche o la si fa anche tacendole?
Non si propone una visione “politica” del mondo trattando il coding alla scuola dell’infanzia mentre si fa politica trattando i diritti dei migranti alla scuola primaria?
Dewey ci ha insegnato che accanto ad un apprendimento diretto e nel breve periodo (gli apprendimenti associati agli obiettivi didattici, ad esempio) si sviluppa nel lungo periodo anche un apprendimento collaterale che porta alla costruzione di “forma mentis”, di atteggiamenti, di valori, di visioni del sé e del mondo. Gli apprendimenti collaterali sono più resistenti all’obsolescenza di quelli diretti.
La propensione al consumo frenetico, l’accettazione come normalità delle diseguaglianze e dell’assenza di diritti, la rinuncia alla partecipazione a favore di una comoda delega sono formae mentis che si costruiscono poco a poco o che si contrastano, sempre poco a poco. Basta scegliere da che parte stare. E si sceglie anche non scegliendo. Anche a scuola.