Jerome Bruner in La ricerca del significato. Per una psicologia culturale (1990) parla di “pedagogia popolare” intendendo non tanto la pedagogia dotta, quella dei pedagogisti, quella che si trova nei saggi di pedagogia che si studiano all’università, quella (più o meno) rigorosa e fondata “scientificamente”,  quella che ambisce ad avere la stessa dignità epistemologica delle scienze fisico-naturali, quella che dà valore solo a tutto ciò che è quantificabile e misurabile, ma quella che caratterizza il pensiero quotidiano degli insegnanti, le loro credenze – spesso implicite e ingenue – quella che, nei fatti, governa la loro azione. Secondo Bruner è proprio questa pedagogia che aiuta a comprendere l’esperienza educativa reale, sono quei significati e quei concetti realmente e concretamente (e informalmente) condivisi che determinano il funzionamento reale della scuola e che ci dicono cosa sia la “scuola”.

Secondo lo stesso approccio (osservare ciò che realmente succede piuttosto che quello che dovrebbe – secondo la nostra soggettività – succedere) possiamo cercare di identificare cosa sia realmente la scuola oggi, come venga, prevalentemente, percepita la scuola nei suoi problemi e nelle sue potenzialità, in quale direzione bisognerebbe intervenire per renderla più adeguata (a cosa?).

Cerco di fare, qui, un primo repertorio delle argomentazioni sulla scuola presenti nel discorso popolare, quello che si sviluppa nei servizi giornalistici televisivi e sulla stampa, negli interventi degli esperti o ritenuti tali, quello che influenza la narrazione di tanta gente di scuola ma anche quella che viene fatta dal barbiere e dalla parrucchiera …..

Vediamo gli slogan ricorrenti (slogan perché raramente si argomenta):

  • Questa scuola è immobile
  • Gli insegnanti non vogliono cambiare (con le varianti: “mettersi in gioco” e “uscire dalla propria comfort zone”)
  • Questa scuola è da cambiare
  • Abbiamo una scuola dell’ottocento (per i più generosi, del novecento)
  • Basta con la scuola gentiliana
  • La scuola ha bisogno di innovazione
  • La scuola digitale è il futuro della scuola
  • Questa scuola non prepara al futuro
  • La scuola deve essere regolata dalla meritocrazia
  • La scuola deve andare oltre le “discipline”
  • La scuola deve sviluppare LE competenze
  • La scuola è un’organizzazione complessa
  • A scuola tutto deve essere rendicontato
  • La scuola deve puntare al successo educativo

A vederle tutte assieme possiamo pensare che si tratti di sfumature di un pensiero egemone sulla scuola: bisogna pensare ad una scuola per il futuro, senza precisare quale futuro si abbia in mente, quale idea di persona e di società si abbia in mente, senza, soprattutto, precisare che si tratta di una della tante possibili visioni e accreditando l’idea che sia la sola possibile.

Sottesa a queste affermazioni vi è anche l’idea che la scuola per tutti, la scuola di massa, debba essere una scuola che dia un’istruzione di massa, ovvero essenziale; poche cose ma che servano a trovare e a cambiare frequentemente un lavoro, una scuola che non metta troppi grilli per la testa, che non faccia credere che le posizioni di prestigio sociale e di alta redditività siano per tutti; una scuola che, dopotutto, richiama tutti ad una buona dose di realismo: il lavoro presente e quello futuro per la quasi totalità delle persone sarà un lavoro tecnico-impiegatizio senza infamia ne lode, inutile sprecare risorse per formare profili sovradimensionati e che non saranno utilizzati, buone “competenze” con lo stretto necessario di conoscenze. Tutto coerente con l’evidenza che la scuola non è (più?) ascensore sociale. E tutto tenuto sotto stretto controllo di produttività.

Altro punto caratterizzante questa visione di scuola è l’individualismo, la competizione: il successo è personale, il fallimento è una colpa individuale, il tuo valore va misurato e confrontato con quello degli altri competitor.

Esiste, però, anche una diversa narrazione, pur minoritaria nella sua diffusione, una narrazione forse elitaria, intellettuale, ma che non dà nulla per scontato, che non si ferma alle apparenze, che va in profondità nell’analisi dei fenomeni, che collega con pazienza i tanti puntini fino a dipingere un diverso scenario riassumibile in questi punti (elenco non esaustivo):

  • La scuola è per un presente diverso e per un futuro che non sia la continuazione del presente
  • La scuola è una comunità, la classe è la prima comunità
  • La scuola ha prioritariamente lo scopo di essere funzionale alle persone e non dell’economia
  • La scuola deve favorire lo sviluppo della capacità di pensare e di partecipare
  • La scuola deve offrire a tutte le persone le stesse opportunità per puntare ad occupare una posizione sociale e professionale di rilievo (il gramsciano tutti dirigenti)
  • La scuola è un’istituzione dello Stato e non un servizio alla persona

Anche se nel discorso “popolare” sulla scuola pare che, per la sua diffusione nei media e nelle discussioni da Bar dello Sport, l’idea di scuola sia solo una, tanto da sembrare naturale che le cosa possano stare solo in quel modo, di idea di scuola ne esiste più di una e, forse mai come prima, un comune sentire in relazione agli scopi e alla forma della scuola non è presente, tanto tra chi si occupa professionalmente di scuola, tanto tra coloro per cui la scuola è una delle tante attività di cui si occupa lo Stato.

Un’ampia analisi sul “pensiero egemone” sulla scuola è quella fatta dal pedagogista Massimo Baldacci in un’ampia ed efficace lezione che ho riassunto in questo post, dove è possibile trovare anche il link alla lezione stessa.

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