Appena il tempo di commentare l’ultima performance di Antonio (ho dimenticato di dire che a Veenzia hanno lanciato il MIDBS, “movimento internazionale per la difesa sei bambini stirati” http://liberidallaforma.blogspot.com/2010/07/e-nato-il-midbs-movimento.html) e di adempiere ad alcune delle opere di misericordia (almeno la 5 e la 13), che sfogliando La Repubblica di oggi, vengo a sapere di un temibile e terribile concorrente dello stiratore analogico di bambini, lo stiratore digitale, anzi, robotizzato.

La notizia, a prima vista,  ha dell’inquietante:  dalla Corea agli USA si diffonde l’uso di robout come insegnanti.

Non è una battuta di spirito o l’ennesima vision di qualche novello Asimov alla ricerca di un minuto di notorietà mediatca, ma l’impatto operativo di due nuove discipline: la “socio-robotica” e l’ “affective computing”. Autori, il Laboratorio di ricerca della Honda a Mountain Valley e il neuroscianziato Terrence Sejnowski.

Pare che con gli ‘androidi Engkey(English – Jockey) e Asimo i ragazzi coreani e staunitensi imparino meglio l’inglese e tanti altri compiti.

Il robot, dicono loro, è molto più paziente di un insegnante biologico, costa meno e insegna meglio (avendo presenti certi insegnanti, non ho dubbi nel crederlo).

I primi test fatti all’University of California San Diego dicono che l’apprendimento delle lingue con gli androidi anche nei bambini piccoli fa grandi progressi. Non metto di dubbio questi dati. Ogni ricerca porta a trovare quello che si cerca.

Non metto, neppure, in dubbio l’utilità anche di questa tecnologia e non stento a credere che, come tante altre, si diffonderà ben oltre la moda e gli usi ..impropri.

La questione, a mio avviso, non è se i robot (e tante altre diavolerie tecnologiche che invadono le nostre aule) servano oppure no. Se sia meglio la diattica “diretta” o quella “attiva”; la didattica no-tecnologica o quella  high-tech. Tutte hanno una loro ragion d’essere.

La questione è cosa vogliamo ottenere attraverso la scuola e l’insegnamento. La questione va posta con riferimento agli obiettivi di apprendimento che vogliamo perseguire e con riferimento, anche, a cosa intendiamo per “apprendimento”, per “insegnamento” eccc…..

Tutto ciò premesso, credo che, come si dice nell’articolo citato, gli androidi vadano bene per “compiti speciali”, come le terapie ripetitive nei bambini autistici e, aggiungo io, per sosteneer l’apprendimento di  qualche altro compito cognitivamente semplice.

Ma la gamma dei processi cognitivi su cui si può intervenire a scuola ( e che dà un senso alla scuola)  è ben più ampio  di questi compiti ripetitivi; gli obiettivi di apprendimento che una scuola degna di questo nome deve assumere vanno ben oltre l’apprendimento meccanico, la memorizzazione. La scuola si deve occcupare anche, ad esempio,  del transfer dell’apprendimento, dell’apprendimento significativo, della comprensione, del problem solving ….

Ecco che con una visione meno semplicistica (e maccanica) dell’apprendimento gli androidi e tutte le altre tecnologie  scivolano in secondo piano e l’insegnante biologico assume un ruolo centrale e ricco.

Sempre che si tratti di un bravo insegnante. In certi contesti un androide, almeno, potrebbe far meno danni!

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Un pensiero su “Stireria robotizzata”

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