Non mi è mai capitato di essere d’accordo con Mastrocola ma non posso non sentirmi in piena sintonia quando dice (Repubblica del 2 gennaio 2012):
Andiamo verso la misurazione di tutto. Va bene, è meglio di niente, ma è triste …
….. ma diventa triste pensare che di questo passo finiremo per scegliere tutte le cose della vita grazie a misurazioni statistiche.
… da quando una decina di anni fa sono stati introdotti termini speventosi come “offerta formativa”. Già solo il nome fa pensare ad un supermercato. …… i Pof sembrano i depliant degli alberghi che cercano di farsi pubblicità elogiando questo o quel servizio per la clientela
Credo anch’io che la scuola, dopo aver subito una deriva che potremo chiamare “industriale”, stia subendo da anni una nuova deriva, quella “commerciale”: un prodotto da vendere, non un servizio alla persona ed al futuro di un Paese.
La deriva “industriale” è iniziata (a mio avviso ed in accordo con alcuni autori), da una parte, con l’avvento dell’istruzione di massa quando per far fronte alla necessità di tanti insegnanti si sono inventate didattiche tendenti ad automatizzare i processi di insegnamento. Si sono, così, inventate tecniche didattiche standardizzate che assumevano, per comodità, una visione iper-semplificata del processo di apprendimento ed assumevano che di fronte ai compiti di apprendimento tutti gli individui fossero uguali.
Da un’altra parte, la deriva “industriale” che caratterizza quasi tutta la nostra scuola “occidentale”, si è avviata anche con la seconda guerra mondiale e con la necessità degli Stati Uniti di formare in poco tempo tante persone. Risale a quell’epoca il modello di Instructional Design noto ADDIE (Analysis, Design, Development, Implementation, Evaluation) che ha influenzato, non solo l’addestramento militare ed industriale, ma anche i sistemi educativi. Un’attualizzazione di questo peccato originale è ben visibile in tanti usi didattici delle tecnologie.
Queste premesse “metodologiche” all’industrializzazione dei processi educativi e di istruzione saranno state, e sono, funzionali a far convivere costi e risultati (anche se tra le argomentazioni dei fautori di questi approcci “industriali” trovava posto anche quella della bassa qualità media degli insegnanti disponibili sul mercato e che, per questo, fosse necessario equipaggiarli con tecniche didattiche semplici, facili, da applicare meccanicamente e senza tanta riflessione e creatività ) ma non sono per nulla adeguati alla natura dei processi di cui stiamo parlando.
L’apprendimento non è un processo meccanico dove tutto è prevedibile, programmabile, proceduralizzabile, dove ad un input corrisponde un output. L’apprendimento è un processo biologico dove intervengono numerose variabili e quasi tutte non controllabili, compreso l’esito. Dove lo stesso input genera risultati differenti a seconda del soggetto coinvolto, del conteso in cui agisce, di fattori contingenti.
Se è vero, come io credo, che l’apprendimento sia un processo “biologico”, perchè, allora pensarlo e trattarlo, come si sta facendo troppo spesso, come un processo meccanico? Perchè ingegnerizzare procedure di insegnamento e di valutazione?
Sono convinto che non vi sia nulla di meno prescrivibile dell’insegnamento: insegnare non è una tecnica (o un insieme di tecniche, anche se ha un consistente portato di teorie, concetti, principi di carattere generale): insegnare è un gesto creativo, mai uguale a sè stesso, sempre diverso perchè sempre diverse sono le condizioni in cui si verifica. Per questo l’insegnante è più simile ad un artigiano che confeziona prodotti unici che ad un tecnico industriale che esegue routine.
Perchè, allora, si vuole valutare il “prodotto” dell’insegnamento come fosse un bene di consumo in uscita da una catena di montaggio?
Perchè, allora, tanta formazione degli insegnanti come fossero operai da mandare alla catena di montaggio? O, forse, è questo approccio alla formazione degli insegnanti che rivela la vera natura INDUSTRIALE e COMMERCIALE della nostra scuola. Davvero triste, se ne è accorta anche Mastarcola!
Non sono, invece, per nulla d’accordo con Mastracola quando banalizza le ragioni della vox populi sulla qualità di un insegnante o di una scuola: non sono meri punti di vista soggettivi, ma solide costruzioni socialmente valutate ed apprezzate.
Non sono ancora d’accordo quando riduce il “successo” scolastico al solo impegno dello studente ed al suo grado di studiosità. Questo perchè ciò che fa la differenza (se vogliamo identificare una “pratica” scolastica capace di incidere sugli esiti dell’istruzione) non sono i libri che uno studia ma le attività di apprendimento in cui lo studente è coinvolto.
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immagine: www.mariedargent.com
E ti par poco, Gianni? L’ineffabile Mastracché riduce tutto all’impegno dello studente. Insomma, la didattica non esiste: evidentemente nella sua ottica a dir poco ristretta è un problema soltanto sindacale. Insomma, descolarizzazione completa. Ah, quanta ragione aveva il buon Illich: pratichiamola noi, sapientemente e accortamente, la descolarizzazione, prima che venga dalle cose, così lui diceva in tempi non sospetti. Non abbiamo fatto nulla e la descolarizzazione sta maturando dalle cose. E dalla cosa. Ci sta bene.
Caro Gianni, premesso che le tue considerazioni illuminano sempre la rete e consentono a molti (me compreso) di accedere qualche lampadina nella testa, trovo poco condivisibili alcune tue affermazioni (resta inteso che, invece, sul resto siamo d’accordo).
In particolare quando dici che che siccome (cito):
“L’apprendimento non è un processo meccanico dove tutto è prevedibile, programmabile, proceduralizzabile, dove ad un input corrisponde un output. L’apprendimento è un processo biologico dove intervengono numerose variabili e quasi tutte non controllabili, compreso l’esito. Dove lo stesso input genera risultati differenti a seconda del soggetto coinvolto, del conteso in cui agisce, di fattori contingenti”
… allora si debba rinunciare a “ingegnerizzare procedure di insegnamento e di valutazione”.
Condivido il fatto che insegnare sia “un gesto creativo, mai uguale a sè stesso, sempre diverso perchè sempre diverse sono le condizioni in cui si verifica. Per questo l’insegnante è più simile ad un artigiano che confeziona prodotti unici che ad un tecnico industriale che esegue routine”, ma non per questo ritengo si debba rinunciare a progettare il percorso da seguire, strutturare i materiali e gli ambienti di lavoro, testare e rivedere (anche sulla base di criteri definiti ex-ante) il raggiungimento degli obiettivi.
Non ci dimentichiamo che dietro il lavoro di ogni artista ci sono tecniche consolidate ed ore e ore di lavoro preparatorio. L’esibizione di un comico, la performance di una gruppo rock, di un atleta o di un maestro vasaio nascondono una lunga e non banale preparazione. Anche le improvvisazioni in un concerto jazz non seguono l’anarchia magica della casualità, ma una seria conoscenza delle regole del ritmo e dell’armonia.
Proprio perchè ci muoviamo su terreni mobili ed instabili necessitiamo di solidi modelli di pianificazione e validazione. Le evidenze su ciò che funziona e ciò che non funziona in educazione ci sono e non nascono dal consenso popolare (attenzione a non finire per legittimare modelli di creatività alla “Vanna Marchi”), ma dalla ricerca che anche in questo campo può dire qualcosa.
Forse questo dovremmo dire alla Mastrocola, ovvero che abbiamo qualcosa da dire su come favorire l’apprendimento. Altrimenti credo che finiremo per far il suo gioco, ovvero quello di una neogentiliana delegittimazione della metodologia didattica.
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Roberto, sulla descolarizzazione credo che dovremo attualizzare il pensiero di Illich ai tempi nostri. Non so se quello che sta avvenendo oggi sia quanto il Nostro diceva (non conosco a sufficienza il suo pensiero), ma di certo oggi la scuola ha un ruolo nella società e nell’economia ben diverso da quello che aveva ai suoi tempi. Ora la scuola non è più la sola, e forse neppure la principale, agenzia educativa (e non parlo degli adulti e del life long learning), ma anche dalla primaria chi “educa” e chi “istruisce” è rappresentato dalla società, dai pari, dalla rete, dall’autoapprendimento …. Quale è, allora, il posto della scuola? Credo che una seria riflessione sul ruolo della scuola oggi, in una realtà multi-agente, sia più che necessaria proprio per dare alla scuola stessa il posto che merita e che di certo ancora continua ad avere
Bella provocazione, Giovanni!
A scanso di equivoci non affermo che la metodologia didattica non abbia alcun valore e sono convinto che un bravo insegnante debba avere alla spalle una solida, solidissima, preparazione professionale. Che debba essere consapevole (non solo a “conoscenza”) delle implicazioni delle differenti teorie dell’apprendimento e delle differenti strategia didattiche e di apprendimento e che dabba saper rendere operative quelle conoscenze nel contesto in cui si trova ad agire. Il punto è la consapevolezza e non l’applicazione papagallesca e meccanica di “prescrizioni” didattiche. Quindi, il “mestiere di insegnante” esiste. E noi “metodologi” siamo salvi 🙂
Quello che volevo dire e che, a mio avviso e sulla base della mia esperienza, le cose non funzionano in modo così meccanico come si è portati a credere (anche a seguito di come noi “metodologi” insegniamo): non puoi dire “fai così ed otterrai questo”. Realisticamente si potrebbe dire: “fai così ed è probabile che tu ottenga questo, che tu vada in questa direzione ….” Non lo puoi dire per un singolo studente e non lo puoi dire, a maggior ragione, per un’intera classe. Ciò non significa che non di debba programmare, pianificare, valutare … ma dare il “giusto” valore a queste cose, avere da queste cose le giuste aspettative. Non pensare che basti premere il bottone (utilizzare una tecnica) per ottenere quel risultato che pensiamo. Credo che il “giusto” approccio alla didattica stia in una solida preparazione, in un costante aggiornamento, in un continuo atteggiamento di monitoraggio e di riflessione, in un continuo aggiustamento del tiro e nello sperare che i tuoi allievi apprendano il più possibile. Sugli esiti dell’apprendimento non credo sia sensato, e pertanto utile, porsi l’obiettivo di conseguire un ben preciso risultato (alla Mager, per intenderci), ma, come detto poco sopra, di creare le condizioni affinche i nostri studenti possano apprendere quanto più possibile. Il risultato dell’apprendimento non dipende solo da noi insegnanti (anche se su questo abbiamo enormi responsabilità) ma da tanti altri fattori che non possiamo (fortunatamente) controllare. Questo, almeno, per le conoscenze di ordine elevato.
P.S. Credo che di Wanna Marchi siano piene le aule dove si fa la formazione degli insegnanti, università compresa, soprattutto dove e quando si inseguono mode e si fa cinghia da trasmissione (“scientifica”) del pensiero didattico unico (cit. Marco Guastavigna a Reggio Emilia)
caro gianni, in genere condivido le tue riflessioni e, talvolta, anche le tue provocazioni… ma iniziare un anno già di suo pieno di guai ritrovandosi come compagna di pensieri la mastrocola non è certo di buon augurio…
se non ricordo male è quella che preferiva parlare con il suo cane piuttosto che agli studenti e/o ai colleghi…
e mi pare sia sempre lei quella pronta a scagliarsi (sottolineando e rivendicando il suo essere democratica e di sinistra)contro le uniche cose che nella nostra scuola possono ancora essere salvate (seppure da migliorare e/o da ri-pensare)…
credo siano corretti i riferimenti di roberto a chi, in tempi certamente diversi) ha divulgato la “distruzione” della scuola come strumento capace di replicare il sistema culturale dominante…
oggi forse, anche recuperando la provocazione di chi (papini) in italia, negli anni venti del secolo scorso diceva provocatoriamente “chiudiamo le scuole”…
e proviamo a ragionare tutti insieme, partendo dalle tue riflessioni a caldo sul pezzo della mastrocola, a immaginare un virtuoso percorso di de-costruzione dell’attuale paradigma pedagogico intorno al quale tutto il sistema si “regge” seguito subito dopo da una attenta ri-costruzione critica di un sistema che si fondi su nuovi e diversi paradigmi pedagogici non “dati” una volta per sempre ma capaci di essere sensibili sia ai nuovi fabbisogni emergenti sia alle diversità esistenti tra le persone coinvolte in tale sistema (potenzialmente tutti i cittadini)…
… anche perché. altrimenti, si rischia di ritrovarsi d’accordo persino con israel…
Capisco, Marco, che inziare l’anno con Mastracola non è un buon segnale! Che sia colpa della crisi? :-).
In realtà mi sono dichiarato d’accordo solo con le sue affermazioni anti-misurazione (anche se mi sono sembrate in contraddizione con altre sue affermazioni precedenti). Ma lo prometto: mai più in collusione con l’insegnante del cane!
Nel merito del tuo discorso e le esortazioni.
Credo che di anlisi e di proposte su cosa fare si sia detto molto, forse troppo. Credo che il problema sia il COME fare. Come uscire dal pantano, quali passi compiere come inizio. Certo la questione è complessa assai e non esiste una ricetta che lo risolva in un batter d’occhio. Quindi, da dove iniziare?
quoto:
Perchè, allora, si vuole valutare il “prodotto” dell’insegnamento come fosse un bene di consumo in uscita da una catena di montaggio?
Perchè, allora, tanta formazione degli insegnanti come fossero operai da mandare alla catena di montaggio?
be’, caro Gianni, perché (pur essendo io totalmente d’accordo con la prevalenza della dimensione creativa del processo insegnamento-apprendimento, fatte salve le sacrosante osservazioni di Giovanni Bonaiuti sulla complessità della performance) stiamo comunque parlando nell’ordine dei milioni di attori (più di mezzo milione di docenti, una decina di milioni di alunni se non vado errato). Qualche strumento statistico dovremo pur darcelo, in questo ordine di grandezza, prescindendo dall’idea della catena di montaggio che ormai ha un sapore desueto.
Condivido appieno quello che scrive Franco Castronovo. Non siamo qui a “pettinare le bambole” (come recitava Crozza in una riuscita parodia di Bersani). Abbiamo a che fare con un sistema vasto e complesso all’interno del quale si muovono dirigenti scolastici, insegnanti e alunni di tutti i tipi. Non credo sia utile a nessuno né sparare nel mucchio, né delegittimare (a prescindere) quei faticosi tentativi volti all’individuazione e applicazione di standard minimi di riferimento.
Perchè non possiamo permetterci un sistema scolastico inefficiente (e qui si aprirebbe tutto un dibattito sul fatto che sia vero, o meno, che l’Italia stia progressivamente sfornando giovani laureati e diplomati sempre meno preparati)… ma, soprattutto (e, scusate se lo affermo) dovremmo andarci con un po’ più di prundenza sul liquidare le considerazioni di quanti alzano il ditino per segnalare che forse qualcosa non va…
Forse è l’ora di smettere con queste alzate di scudi (risposte polemiche, scandalizzate e rissose) contro il cambiamento. Specie quando questo va nella direzione contraria a quello che ci piace tanto, ovvero nella direzione dell’italianissimo “ognuno faccia un po’ come cavolo gli pare”.
Prendiamo l’esempio della Mastrocola che, diciamocelo pure, certamente sbaglia sulle ricette (che, però, ritengo siano volutamente provocatorie)… perchè c’è tutto questo strillare sulle sue crude fotografie della situazione? Non sarà perché mettono in luce quello che preferiremmo non vedere o sentire?
Concordo con Franco Castronovo e Giovanni Bonaiuti quando affermano che qualche standard non è certo inutile per una buona organizzazione del lavoro. La creatività nel nostro lavoro è indispensabile e non riuscirei mai a farne a meno, ma non vorrei neppure che in nome della assoluta libertà si concedesse ad altri di lavorare un quarto di quanto lavoro io pur esercitando formalmente lo stesso mestiere con lo stesso stipendio. Anche questa, in fin dei conti, sarebbe una ingiustizia e sappiamo benissimo quali effetti deleteri potrebbe produrre anche sulle migliori scuole, le migliori classi e i migliori insegnanti. Certo, salvare capra e cavoli è difficile, oneroso, talvolta anche frustrante. Tra idee nuove e misurazioni rigide, tra metodologie centrate sullo studente e processi standardizzati, cercare l’aurea mediocritas ci fa sentire spesso in un labirinto di cui non sappiamo quando troveremo l’uscita.
Franco, Giovanni, Federica, vi ringrazio perchè discutere ed essere in disaccordo su qualcosa fa sempre bene allo sviluppo del discorso. Intervengo, quindi, in questa prospettiva e con questo spirito, consapevole che su questo tema non esistono verità ma punti di vista, più o meno argomentati.
A leggere i vostri contributi io sarei:
– per l’anarchia nell’insegnamento,
– contro ogni forma di “metodo” didattico
– contro la valutazione degli insegnanti ed il riconoscimento dei più efficaci
– per una visione semplicistica dei processi di apprendimento e di insegnamento
– contro l’esistenza di uno specifico professionale del mestiere di insegnante.
In questo post, ed in tantissimi altri, affermo che:
– l’insegnamento va ad intervenire in un processo compelesso (l’apprendimento)
– l’apprendimento non è un processo “regolato” da principi meccanici quindi dalle condizioni e dagli esiti sempre prevedibili e trasparenti e, pertanto, non agibile secondo prescrizioni strutturate,
– l’insegnamento è sempre un atto contestualizzato (al livello del singolo soggetto)
– gli insegnanti vanno valutati (ma non in modo semplicistico e demagogico come negli approci INVALSI ad esempio)
– il mestiere di insegnante, per tutte queste ragioni, deve poggiare su di ampie, profonde, solide basi professionali (non basta conoscere le teorie – quando si conoscono – ma bisogna saperle usare in modo appropriato cioè situato)
– ci sono insegnanti efficaci ed insegnanti non efficaci (con tutti i livelli intermedi del continuum); Ci sono insegnanti consepevoli e responsabili, insegnanti animati da buona volontà e poco mestiere, ed insegnanti “impiegati dell’insegnamento”, non sempre attivismo va a braccetto con efficacia,
– la scuola italiana è piena di pecche e bubboni e necessita di interventi radicali, non di iniziative demagogiche e mistificatorie
– la formazione (iniziale ed in servizio) degli insegnanti è troppo spesso inadeguata ed inefficace
– sarebbe da interrogarsi quale sia il livello della pedagogia italiana tanto a livello degli “scholar” che dei “practitioner”.
Quando, qui, parlo di insegnante-artigiano mi riallaccio alla tematica dell’ “esperto” (vs. novizio), ad un professionista che possiede talmente bene le basi della sua professione, che la ha interiorizzate talmente bene (attraverso molte esperienze in contesti differenti, riflessione nell’azione e sull’azione, eccc ) che ogni suo gesto è un gesto creativo, unico, sapiente, efficace.
PS: Giovanni, Mastrocola è una di quelle che spara nel mucchio ed una fortemente rancorosa verso la scuola; di nessuna utilità le sue sparate (pensiero personale)
caro Gianni, sono d’accordo con tutto quanto affermi.
Il mio commento era piuttosto motivato dal timore che le frasi di Mastrocola da te citate potessero portare a una banalizzazione che purtroppo riscontro frequentemente nei discorsi con i colleghi. Qualcosa che sento dire spesso e che si può riassumere così:”Non se ne può più di questa scuola-mercato, scuola-industria; quindi io faccio come mi pare, rifiuto formazione e aggiornamento, non offro nessun contributo all’organizzazione della vita scolastica e continuo a riciclare in eterno lezioni identiche, compiti invariabili, libri adottati da tre generazioni di studenti.”
Federica, mi unisco ai “basta” dei tuoi colleghi alla scuola commerciale, alla scuola industriale, Mi dissocio in toto, dalle conseguenze che traggono
sono molto d’accordo con le posizioni di Gianni Marconato;sottolinierei, a riguardo,le responsabilità politiche per errate,inadeguate ed inefficaci politiche di selezione e formazione del personale docente a cui abbiamo dovuto assistere in questi anni,ed anche sui limiti metodologici e culturali connessi agli strumenti delle prove standardizzate a risposta chiusa che,non a caso,sono assurte a strumento principale e preliminare di selezione dei docenti nell’ultimo concorso “monstre” bandito dall’attuale ministro “tecnico” (?)e, quindi,si presuppone,esperto e competente (?)
Giuseppe, esperto e competente questo ministro? Più che dovuto il punto di domanda (retorico). Grazie per la visita