locandina Giallo_SMART

 

Ho ricevuto giorni fa da una cara amica insegnante l’invito per un interessante (utile, necessario, indispensabile) convegno con il focus sulle condizioni reali di tanti insegnanti: il sentimento di fatica, anche esistenziale, in una fase tristemente storica per la scuola italiana che sta sotto il fuoco concentrico di svalorizzazioni istituzionali e sociali.

Un convegno che vuole mettere in evidenza come a scuola si stia male e si viva lacerati tra il sentimento di dovere fare una scuola di valore per assicurare agli studenti un futuro decente, per non far sprecare loro tanti anni di studio con un magro guadagno di conoscenze e competenze, e il sentimento di mollare tutto perché lo Stato è il primo a non credere nella scuola.

Qualche giorno dopo aver avuto notizia del convegno ricevo da un’altra amica insegnante questa riflessione:
… è’ possibile questa scuola? Non voglio rassegnarmi a qs clima di sopravvivenza,  rara empatia tra colleghi,  DS spesso autoreferenziali e svalorizzanti, progetti portati avanti con fatica e competizione xke sono l’unico incentivo all’autostima… E tutti a guardare alla pensione come ad un miraggio. E tutte le altre cose che già sai… Segnale di un grave malessere sottovalutato… Con le umilianti bordate sui tre mesi di vacanza.
… la cronaca ci scredita,  i licenziamenti sembrano la facile soluzione (di un ds che da docente chissà come se la cavava coi suoi studenti),  noi ci sentiamo sempre più inadeguati e o molliamo o ci facciamo in 4 per poi ritrovarci a pezzi … i docenti sono esauriti ……

…  come fa un docente, svalorizzato e soverchiato dalle richieste di ogni genere,  ad avere quella carica x far volare i suoi studenti? A volte è la forza della disperazione o dell’idealismo… Ma non sono sempre energie positive o rinnovabili.

Ecco, a volte ho proprio la sensazione che in queste condizioni esortare l’insegnante a dare sempre di più richiamandolo al suo senso etico e al dovere professionale sia come dare la carica distribuendo grappa ai soldati in trincea prima dell’assalto all’arma bianca. 

A questa mia affermazione, l’amica mi risponde:

Ahah,  dai,  diciamo che è come mandarci all’assalto con il fucile scarico…  Ma almeno useremo la baionetta!!!

Battute a parte, ho  la sensazione che oramai poco si possa fare per risanare la disastrata situazione in cui versa la scuola.

Tanto malessere degli insegnanti è certamente dovuto al grande investimento psicologico che viene fatto sul proprio lavoro, un lavoro che si ama, un lavoro verso il quale ci si sente responsabili, un lavoro dove si vuole dare il massimo ma, anche, un lavoro bistrattato, un lavoro svalorizzato, un lavoro al limite dell’impossibile. Ecco, allora, ingaggiare una strenua lotta di resistenza, rilanciare giorno dopo giorno i propri obiettivi, aumentare i carichi lavorativi.

In queste condizioni credo che ciascun docente dovrebbe trovare un sano equilibrio tra quello che vorrebbe fare e quello che è realisticamente possibile fare. Ognuno dovrebbe mettersi nella logica della sostenibilità del proprio lavoro anche, anzi, di certo, arretrando da tante posizioni e pratiche che a questo punto sono velleitarie. 

O la scuola o la vita.

Meglio la vita e, dopo,  la scuola, con responsabilità e dignità. Non siamo eroi e gli eroi non servono. 

La situazione non è rosea e credo che un arretramento sia la sola strategia al momento sostenibile. Si recuperano le forze e si ritorna all’attacco. Dopo Caporetto c’è la battaglia del Piave, e quella la si vince solo se si è in forze, non fiaccati nell’anima.
Su queste mie riflessioni, l’amica chiosa:
La ritirata che tu auspichi ti assicuro che è quello che già si fa.  Oltre questo ne va della propria dignità professionale e del doveroso rispetto per i nostri studenti.
Ma ancora non basta.
Auguri! … e arrivederci a Treviso il 17 aprile

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