Avevo scritto questo post parecchi mesi fa, in piena guerra per una scuola più o meno buona. Mi ero dimenticato di pubblicarlo e lo ho ritrovato nel corso delle pulizie agostane dei miei luoghi in rete. Lo trovo attualissimo, anche se il dibattito si è spento.
Valutazione
La valutazione fa bene 
Io credo che chi lavora debba essere valutato. In realtà il lavoro è sempre valutato, formalmente e informalmente. Essere valutati da chi usufruisce del tuo servizio, ti aiuta a crescere, a migliorare. Senza valutazione ci si siede: è una legge naturale.  Far conto sul senso di responsabilità è molto rischioso: il metro personale tende a essere indulgente.
La questione vera è valutare secondo criteri, metodi e strumenti adeguati all’oggetto della valutazione.
In un contesto privato i criteri per la valutazione sono stabiliti soggettivamente dalla proprietà e fanno, comunque, riferimento al massimo profitto per l’azienda e alla remunerazione del capitale investito. Anche se qualche operaio pur bravo ma di testa calda e iscritto al sindacato ottiene anche là un trattamento di favore.
Anche nell’ambito pubblico il criterio è, o dovrebbe essere, quello dell’efficiente ed efficace uso delle risorse allocate, del massimo “profitto” per la “proprietà”. Ricordando che la “proprietà” in questi è la collettività.
Valutare un servizio pubblico non è semplice ma neppure impossibile.
Il servizio sanitario lo si può valutare guardando a quante persone vengono curate, a quante persone vengono guarite, a quante persone, pur non guarite, viene assicurata una quantità di vita migliore e soddisfacente. Un bravo medico lo identifichi da quanti malati cura e guarisce, dal numero di malati a cui migliora la qualità della vita ma anche dal numero di malati ai quali non peggiora lo stato di salute; un cattivo medico lo vedi dalle situazioni in cui non fa quanto sarebbe stato possibile fare o per superficialità, o per poco senso del dovere, o per essersi limitato a fare ciò che di routine di solito si fa. Il bravo medico cura ogni malato per lo specifico problema che presenta, per le sue specifiche condizioni generali, per le risorse su cui può far leva.
Tutto sommato è abbastanza facile concordare tutti su chi sia un bravo medico e trovare i criteri della valutazione: cosa voglia dire “stare in salute” ha lo stesso significato per tutti. Anche se qualche “bravo” medico per tante persone, per alcune non lo è.
E per la scuola? E per l’insegnante?
Come si può determinare il “risultato” della scuola? Cosa significa dire che la scuola funziona? Quando siamo di fronte ad un bravo insegnante? E a un cattivo insegnante?
Qui la situazione si complica assai.
Mancanza di una idea comune di scuola 
Valutare la scuola non è facile prima di tutto perché non abbiamo un”idea condivisa di scuola, non per tutti la scuola deve perseguire lo stesso scopo. Per alcuni la scuola deve adattare la persona alla società, per altri la scuola deve formare dei bravi lavoratori, per altri la scuola deve conformare il pensiero della singola persona al pensiero”normale”, per altri la scuola è prima di tutto per la persona e deve favorire lo sviluppo del pensiero critico, libero, creativo e divergente. Per alcuni la scuola deve conformare, per altri differenziare.
Insomma, difficile convergere su una sola idea di scuola. Ci sono tante idee di scuola e, di conseguenza, tante idee di quale sia una buona scuola, di quale sia il bravo insegnante, di quali siano i criteri di valutazione.
Di questa sostanziale divergenza sul “senso” della scuola va tenuto conto per capire cosa sta succedendo in questi giorni: si stanno scontrando due visioni di scuola e di società. La differenza non è tra chi si accontenta di cosa passa il convento e chi no, la divergenza è più profonda, è culturale, è “politica” nel senso nobile del termine.
Pragmaticamente io credo che una buona dose di divergenza culturale ci sarà sempre ed un certo conflitto dovrà essere considerato fisiologico. Si tratta di trovare il modo per tener conto di questo ineliminabile conflitto.
La specificità del “prodotto” da valutare
La valutazione si fa critica non solo perché non esiste una idea aggregante o catalizzante di scuola ma anche per le caratteristiche del “prodotto” che si sviluppa a scuola.
Quando possiamo dire che dalla scuola escono persone formate “bene”? Quando possiamo dire che uno studente ha imparato? E imparato bene? Quando possiamo dire che le risorse di ogni studente sono state valorizzate? Dovremo valutare il “prodotto” finale in termini di maggiore o minore vicinanza ad uno standard? O il differenziale tra il livello di ingresso e quello di uscita? Per la qualità di una scuola e di ogni singolo insegnante dobbiamo valutare il risultato di un gruppo-classe o di ogni singolo studente? Relativamente al “prodotto” (apprendimento) cosa dobbiamo valutare? Quali “contenuti”? Quali abilità? Il pensiero convergente? Quello divergente? Lo sviluppo personale? La conformità ad uno standard?
In breve: tante scelte da fare e nessuna “naturale”, tutte scelte culturali, valoriali, in un certo senso anche ideologiche.
Le scelte “tecniche” sarebbero abbastanza facilmente formulabili e sarebbe abbastanza agevole convergere sulle stesse: si tratterebbe di discutere le differenti opzioni tecniche considerando le evidenze generali e quelle personali per trovare un punto di ragionevole e accettabile consenso (io avrei fatto diversamente ma mi sembra ragionevole il punto di convergenza raggiunto).
La questione vera è quella iniziale: una visione generale sul senso della scuola su cui ci si divide (legittimamente) ancor prima di entrare nelle questioni tecniche.
 
Libertà di insegnamento e pluralismo culturale
Io credo che la “libertà di insegnamento” (di cui non si rado si abusa interpretandola a proprio uso e consumo) sia stata determinata costituzionalmente proprio per questa ragione: per l’impossibilità di identificare uno “standard” su cui ci possa essere una convergenza culturale che sia rispettosa dell’ampia gamma di valori e di idee (ideologie) presenti nella società.
Il pluralismo culturale è il valore fondante di ogni democrazia moderna, è un segno di civiltà, è il discrimine con la dittatura.
Di fatto, la libertà di insegnamento (quando intesa nel suo senso migliore) è già fortemente limitata con l’imposizione di standard educativi globali come gli OCSE PISA e gli INVALSI. Questi standard vanno a impattare su dimensioni eticamente e culturalmente sensibili.
Una buona scuola ha le sue fondamenta sulla cultura del rispetto della diversità; più la diversità è assicurata nella scuola più la libertà e la democrazia sono assicurate nella società.
Una tendenza globale 
Nella società globale stiamo assistendo, purtroppo, ad una contrazione della democrazia, la catena delle decisioni si sta facendo sempre più corta, un numero sempre minore di persone decide per tutti. A qualsiasi livello, a cominciare dal governo dell’economia e della finanza.
Questa tendenza si sta diffondendo a cascata fino a raggiungere la dimensione di ogni singolo Paese e al suo interno ogni singola entità organizzativa.
In questi giorni si sta adeguando il sistema della scuola pubblica al modello della catena decisionale che si fonda sulla riduzione dei centri di comando.
Una catena decisionale corta è certamente più efficiente ed efficace di una catena lunga. Le dittature sono più efficienti ed efficaci nel raggiungimento dei propri scopi delle democrazie. Evidenziato che le dittature e le democrazie non sono la stessa cosa.
Per quanto riguarda la scuola è in atto da anni con interventi organizzativi la riduzione quantitativa dei centri decisionali e di controllo (gli istituti comprensivi, gli istituti di istruzione superiore, le reggenze) ed ora assistiamo anche ad una riduzione qualitativa dei processi decisionali.
In questo modo la “linea” (culturale, politica, economica) di chi sta sopra (ad ogni livello) viene resa operativa con più velocità ed efficacia.
L’efficientizzazione del sistema è perseguita, in parallelo, con la precarizzazione delle condizioni di lavoro come ulteriore leva per avere una catena di comando efficiente ed efficace: chi non è allineato viene più facilmente rimosso, ognuno dal suo “referente” superiore (l’insegnante dal dirigente, il dirigente dall’ispettore).
È una regola che non riguarda solo la scuola ma che per la scuola risulta essere particolarmente grave: la scuola “produce” un servizio strategico per quel bene comune che è la libertà.
Con i cambiamenti che si stanno introducendo a scuola non si persegue la sua efficienza ed efficacia ma il suo controllo in una logica verticistica, il suo asservimento alla cultura dominante (qualunque essa sia e sarà), agli interessi di chi è al potere.
Accorciando la catena decisionale e di comando si eliminano i contrappesi tipici di ogni sistema democratico, si cancellano gli spazi di manovra per la diversità. Ciò che conta è l’adesione all’idea e agli interessi di chi comanda al momento. Il criterio di qualità sarà il conformismo alla visione di chi sta sopra di te.
Conclusioni (provvisorie)  
Ritornando, quindi, alla questione iniziale, perché valutare? cosa valutare? come valutare?
Abbiamo visto che il contesto della valutazione non è facilmente determinabile (differenti idee sul senso della scuola, complessità dell’oggetto della valutazione) ma abbiamo anche visto che che ci viene in soccorso una notevole semplificazione: si fa quello che dico io, è giusto come la vedo io, più ti conformi a questo, più il tuo posto di lavoro è sicuro.
Se non siamo alla morte della democrazia e alla vittoria di una nuova dittatura, poco ci manca.
E ai sostenitori della scuola neoliberista renziana viene solo in mente che chi si oppone lo faccia per preservare i propri privilegi o perche non voglia farsi valutare.

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