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Il docente un intellettuale?

È una domanda che ci si pone quando si cerca di identificare la natura dell’insegnamento e quando si vuole qualificare  il suo status professionale.

A questa domanda, spesso segue la sconfortante conclusione: ” ahimè, l’insegnante è sempre meno un intellettuale e sempre più un burocrate della didattica”.

Ma cosa significa “intellettuale” quando si parla di insegnante?

Parto da una semplice definizione data da Fulvia Carbonera nell’ambito di una discussione  su Facebook:

 

In primo luogo dovrebbe pensare.

E già non sarebbe male.

E poi dovrebbe studiare, informarsi, al di là della propria disciplina, per conoscere meglio il pensiero altrui e formulare visioni del mondo a sua volta. Quello che in Italia fanno solo gli accademici (alcuni).

Il docente deve prima costruirsi una immagine del mondo e poi insegnare ai suoi alunni a fare altrettanto. E non necessariamente secondo quanto lui pensa. Sappiamo tutti bene, invece che la prassi è “aprite il libro a pag. X e iniziamo a leggere”. Non facciamo finta di non saperlo. E non è che le didattiche cosiddette innovative siano meglio.

Se un docente si limita a pensare alla propria professione in termini di trasmissione di contenuti  (e trasmetti anche se fai flipped o robotica educativa:  sono solo modi differenti per far imparare qualcosa a qualcuno) e non in termini di creazione di contenuti originali (produrre contenuti vuol dire attivare il pensiero: nulla stimola il pensiero degli studenti quanto la discussione, quanto il porre un problema, sia generale, sia particolare, per trovare soluzioni) non otterrà mai nulla dagli studenti.

Il docente deve prima studiare e documentarsi oltre il proprio campo disciplinare, perché non è pensabile che chi insegna non abbia interessi fuori dal proprio segmento disciplinare: ne risulta limitato nella sua capacità di vedere e comprendere le cose.

È possibile, è auspicabile che l’insegnamento torni ad essere una professione intellettuale?

 

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