Innovazione urlata

Ovvero, il marketing (urlato) dell’innovazione, fa bene all’innovazione?

Di innovazione urlata sono pieni i social network e la stampa. La troviamo negli eventi autoprodotti e negli endorsment di politici tutt’altro che disinteressati. Tanti progetti di “innovazione”, ovviamente, di grande “successo”.

A ben guardare, quasi sempre si tratta di autocertificazioni rilanciate su stampa amica.

Premesso che:

  • riconosco che non sia facile innovare,
  • apprezzo ogni fatica che si fa per cambiare la nostra scuola,
  • considero di grande valore quando in questi progetti ci si butta anche il Dirigente,
  • ritengo utile galvanizzare la “truppa” con messaggi vincenti,
  • credo legittimo fare marketing per vendere il proprio prodotto,

la mia prima reazione, quando leggo di certa “innovazione”, è che si tratti, prevalentemente, di propaganda, di ottima capacità di vendita mediatica.

E’ probabile che in tutta questa innovazione ci sia anche del buono. È possibile che ci sia un’autentica volontà di cambiare, che qualche piccolo risultato si sia ottenuto. Ma mi permetto di dubitare fortemente che il cambiamento sbandierato ci sia tutto e per davvero.

Dico questo perché ho lavorato parecchie volte in progetti per l’innovazione didattica ed ho visto che risultati eclatanti non si ottengono mai e che quei pochi cambiamenti di una certa stabilità sono faticosi da ottenere, richiedono tanto lavoro e tempi lunghissimi e sono presenti a macchia di leopardo in una organizzazione.

I motivi? Di certo la mancanza di soldi, i tempi ed i luoghi della didattica inadatti a cambiamenti veri, la burocrazia soffocante e totalizzante … ma il motivo principale della non innovazione è legato al fatto che se non cambia il pensiero (che accompagna l’azione), se non cambiano quelli che in gergo si chiamano i presupposti concettuali dell’azione, l’azione stessa non cambia. Se credi che imparare significhi accumulare contenuti, allora lavorerai per riempire il più possibile le teste dei tuoi studenti.

Qualche cambiamento provvisorio potrà anche avvenire sotto la spinta di una moda, di una ingiunzione dall’alto, di un desiderio di non vivere nel passato, anche per la vergogna di non essere innovatore ma, alla prima difficoltà, alla prima stanchezza, sotto lo stress causato dal fare cose che non si sentono proprie, si molla tutto e si ritorna a pratiche più in linea con il proprio pensiero.

Mi è capitato di lavorare recentemente con insegnanti di una rete di scuole dove, a detta della dirigenza, la didattica per competenze è prassi diffusa e consolidata. Inizio col far raccontare e simulare alcune attività didattiche. Che cosa propongo? Delle stupende lezioni (i “frontaloni” di cui parla Daniele Barca)! Dopo aver assistito a parecchie di queste performance domando: voi fate didattica per competenze? Si…ogni tanto …quando siamo obbligati…. ma è difficile …non siamo abituati…mi viene meglio la lezione tradizionale …..che anche agli studenti piace di più …

In fondo al tunnel c’è speranza.
Da quel che ho visto, dove c’è autentica volontà di cambiare, se si riesce ad andare oltre la propaganda e la convinzione che tutto sia facile e veloce, riposizionando le aspettative, i cambiamenti un po’ alla volta si vedono.

P.S.

Perché in questi progetti, che definisco di innovazione urlata, non si prendono un advisor esterno, autenticamente indipendente e non richiedono una valutazione non compiacente, anche su criteri concordati?

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Un pensiero su “Quanta innovazione c’è nei progetti di innovazione?”

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