P. Picasso

Premetto che la mia è un’analisi politica, come politica è stata, ad insaputa del giornalista, la visione di scuola che ha veicolato il servizio televisivo sulla scuola (Rai 3, 28 febbraio 2020).

Il servizio (giornalismo d’inchiesta?) è stato marketing di un’idea di scuola tutt’altro che innovativa e con lo studente al centro.

Il fulcro di quella idea di scuola non è quello che si è voluto far credere.

Il senso è che solo i dirigenti illuminati possono cambiare la pessima scuola che abbiamo, sono loro a dover selezionare i docenti. I docenti si devono formare come loro dicono. Si deve valutare la conformità dell’operato del docente agli standard prefissati. Gli apprendimenti degli studenti non devono essere valutati dagli insegnanti ma da un ente esterno. La scuola deve formare alla competizione: competizione tra insegnanti (i “migliori” vanno premiati) e competizione tra studenti. Gli insegnanti hanno troppi diritti e pochi doveri. La scuola deve formare il cittadino, ma il “bravo cittadino” è il bravo produttore.

Le competenze che contano sono quelle che contribuiscono a far crescere l’economia.

La persona in quanto tale non è il fine dell’istruzione ma la persona e la scuola sono strumenti per la crescita economica (quale idea di economia si sta promuovendo?).

La “bella scuola” che è stata fatta vedere è solo il paludamento di questa realtà, è il marketing di una scuola di cartapesta patinata.

Trovo inquietante che Iacona non abbia capito tutto questo e si sia fatto prendere dalla retorica ufficiale.

Discorso a parte meriterebbe la questione del “bravo” e del “cattivo” docente sotteso nella narrazione della Bella Scuola.

Ne riparleremo.

Intanto un nuovo invito a riascoltare Massimo Baldacci in un’epica lezione su La scuola nel neoliberismo.

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