Leggo ne L’Espresso n. 39 del 4 ottobre, ora in edicola, che Craig Venter, quello che, per intenderci, ha decodificato il genoma umano, nella sua autobiografia afferma che, se ha conseguito i risultati che ha conseguito è perché non è stato rovinato dalla scuola: “Penso che tra gli elementi che tra gli elementi che hanno fatto di me uno scienziato di successo c’è stato anche il fatto che il sistema educativo non sia riuscito a distruggere la mia curiosità.…… mentre la creatività dei miei coetanei veniva distrutta dal sistema educativo, io facevo di tutto pur di mettere le mani su qualcosa da costruire …”
Il tema che la scuola faccia più male che bene ritorna spesso nella letteratura.
Ricordo anni fa, quando, negli States, iniziavano ad entrare nel linguaggio e nella pratica corrente strategie didattiche come l’apprendimento riflessivo, l’apprendimento attraverso l’esperienza, attraverso l’errore, il peer-teaching, era in voga l’espressione “Learning without teaching”. Apprendimento senza insegnamento. In quel periodo, nel movimento per una scuola democratica, veniva diffusamente usata una espressione che scimmiottava la prima: Learning despite teaching, apprendimento nonostante l’insegnamento.
Oltre la spiritosa battuta, si faceva notare come i risultati che la scuola, nonostante tutto, produceva erano solo limitatamente dovuti alle azioni didattiche intenzionalmente svolte dagli insegnanti ma, o erano frutto di processi casuali, non intenzionali, non guidati, o erano frutto del lavoro autonomo svolto dagli studenti. In ogni caso, con una limitata incidenza del ruolo svolto da parte dell’insegnante, con un rapporto costi/benefici (risorse spese per insegnare ed apprendimento conseguente) decisamente ridotto.
Ricordo, inoltre, il movimento pedagogico contrario ad una scuola focalizzata sulla valorizzazione della sola intelligenza “convergente” dimenticando quella “divergente”. Per non parlare di Gardner e le sue “intelligenze multiple”.
In questa riflessione ci può tornare utile il pensiero di Jonassen su “la vaga idea su come si apprende” qui ripresa. Jonassen afferma:
Faccio un esempio: gli insegnanti che incontro sono spesso esperti nella loro area disciplinare ma sono dei novizi per quanto riguarda la soluzione di problemi di didattica. Si potrebbe, quasi, dire che pochi professori sono esperti perché mancano di esperienza autentica. Infatti, il protocollo che usano per risolvere problemi didattici non è basato sulle teorie dell’apprendimento o sulla progettazione di messaggi ma piuttosto su vaghe assunzioni su come “insegnare”. Nella mia esperienza, questi assunti creano una barriera allo sviluppo di una comprensione più sofisticata sulla natura del problema
E cita un caso:
A livello nazionale (USA, ndt) meno del 25% dei professori di ingegneria ha fatto pratica come ingegnere e questa mancanza di esperienza li porta a fare un insegnamento basato sulla trasmissione di contenuti organizzati gerarchicamente, non nel modo in cui sono usati dai professionisti dell’ingegneria. L’esperienza può essere acquisita solo attraverso una grande quantità di pratica riflessiva.
E conclude:
Ecco il vero problema di un sistema di istruzione basato su assunti pedagogici errati.
Che non sia questa una delle chiavi di volta per comprendere il problema dell’insegnamento?
Jonassen ci offre qualche altro elemento per comprendere la natura del problema:
………è l’iper semplificazione che viene fatta a scuola di concetti complessi che non consente l’apprendimento dell’essenza di quei concetti e la persistenza, in caso di apprendimenti superficiali, di rappresentazioni ingenue di fenomeni (teorie personali) che prendono il sopravvento sulle teorie scientifiche quando l’applicazione di quelle conoscenze avviene al di fuori dei contesti in cui sono state apprese.
La consuetudine scolastica genera conoscenze valide solo in contesti scolastici: qui, infatti, si favorisce: lo sviluppo di conoscenza con modalità astratte (pensando, illusoriamente, che l’astrattezza del contesto in cui sono sviluppate favorisca, poi, le più disparate applicazioni), l’applicazione a problemi tipicamente scolastici, si valutano gli apprendimenti con esercizi scolastici, si semplificano i concetti perché, altrimenti, non sono appresi, non si considerano le conoscenze già possedute dall’individuo che, comunque, sono presenti, agiscono e, spesso, prevalgono sulle nuove.
http://www.giannimarconato.it/allegati/pubblicazioni/convers_jonassen_2005.pdf
Gianni, il tema stuzzica, eccome! Concordo in larga parte con il contenuto del post, ma in questo periodo a causa della mancanza di tempo non posso stare a scrivere post che richiedono una riflessione approfondita.
Riporto, quindi, il contenuto di un mio commento a proposito della conoscenza inerte, che contiene molte delle questioni toccate dal post.
Perdonatemi se vi costringo a rileggere….ma credo che i contenuti a suo tempo non siano stati sviscerati:
” Va bene, Gianni! Ho verificato che attribuiamo lo stesso significato al concetto di “conoscenza inerte”. Concordo al 100% con i contenuti del tuo post.
Proprio questi contenuti mi hanno fatto riflettere ancora una volta su un problema educativo antico: “Che cosa significa veramente comprendere?” che si collega direttamente alla tua domanda “Come si apprende”?
E poi mi è venuto spontaneo riflettere in che modo la comprensione è connessa all’orientamento. Relazione mai considerata in modo serio quando, a scuola, si afferma nelle riunioni di commissione “Facciamo orientamento!”.
Ma iniziamo dalla prima domanda: partiamo dalla convinzione, oramai assodata, che comprendere non è dare una risposta giusta ad un test, perchè in questo caso la risposta può essere stata memorizzata. La comprensione sembra piuttosto essere chiamata in causa quando occorre affrontare ciò che è nuovo usando appropriatamente qualcosa che si è già appreso.
La nuova scienza cognitiva ha dimostrato che i migliori studenti in fondo non comprendono poi tanto: i “bravi” studenti di fisica, ad esempio, se devono spiegare come agiscono le forze in fenomeni banali della quotidianità, danno più o meno la stessa risposta che darebbe un bambino in età prescolare, sembra che tutta la loro istruzione non serva quasi a nulla.
Come si spiega questa situazione? Sempre la scienza cognitiva ha dimostrato che i bambini sviluppano, precocemente, idee sul mondo, giuste o sbagliate che siano.
Quando gli stessi bambini iniziano a frequentare la scuola, su quelle idee si accumulano informazioni su informazioni che le coprono schiacciandole
Gardner afferma che, quando la scuola finisce, le montagne di informazioni scompaiono e si scopre che la comprensione non ne è stata influenzata per niente: ognuno di noi si ritrova ad essere il bambino che era, un bambino non scolarizzato il quale si costruisce spontaneamente idee sul mondo che possono essere giuste o sbagliate.
Tale affermazione sembrerebbe esagerata ma se si prova a chiedere ad una persona se cade prima un oggetto pesante o uno leggero, quando entrambi sono lasciati cadere contemporaneamente, questa risponde che l’oggetto più pesante arriva prima di quello più leggero, facendo ricorso all’intuizione spontanea secondo la quale le cose pesanti arrivano a terra prima delle cose leggere.
Ciò che lascia stupefatti è che molti studenti di fisica, presi a bruciapelo, danno la risposta intuitiva, esattamente come i bambini in età prescolare, anche se hanno studiato le teorie di Galileo e di Newton.
E altri esempi confermano quanto sopra detto.
Queste teorie spontanee sul mondo, sviluppate precocemente dagli individui, sono molto potenti e di conseguenza radicate fortemente nella mente anche se non sono vere.
La scuola dovrebbe porre estrema attenzione a ciò e non limitarsi a coprire con montagne di informazioni le concezioni spontanee degli studenti perchè, quando essi lasceranno la scuola, riprenderanno a pensare come quando erano bambini: la scuola non avrà avuto alcuna influenza sulla capacità di capire dell’individuo.
A questo punto interviene, nel problema della comprensione, l’intelligenza o meglio, secondo la teoria delle IM, le diverse intelligenze.
Gardner afferma: “Se vogliamo che le persone capiscano veramente, dobbiamo trovare la forza per spenderci, per passare con loro tutto il tempo che è necessario, per utilizzare le intelligenze multiple. Qualunque argomento al quale siamo disposti a dedicare del tempo può essere avvicinato in almeno otto modi diversi…… Forse non è necessario che ogni argomento sia visto da questi otto diversi punti di vista: è però importante che vengano usati più modi di guardare uno stesso fatto di realtà. Ciò che importa è “scoprire anziché coprire “. Allora succederanno due cose stupende. La prima è che permetteremo a ciascun bambino di utilizzare l’approccio più adatto alla sua intelligenza. La seconda è che daremo a tutti la sensazione di aver capito, di avere conquistato confidenza con l’argomento, di poterlo gestire senza paura in ogni momento e in ogni evenienza”.
Passando al secondo quesito, cosa può orientare di più del mettere in grado lo studente a che riesca a mobilitare la propria competenza intellettiva e a lanciare in campo la propria conoscenza per affrontare l’ignoto, mettendosi alla prova?
Non è forse questa l’essenza della comprensione autentica? E cosa orienta più del capire veramente, includendo anche la comprensione e la consapevolezza dei propri punti di forza e di debolezza?
La scuola potrebbe fare molto per orientare le scelte dello studente sia focalizzandosi sulla personalità di questi che tenendo conto del suo ambiente di vita.
Per il primo aspetto, la scuola può guidare e sostenere l’allievo durante il suo percorso formativo affinché possa avere successo e gradualmente riuscire ad operare le future scelte scolastiche.
Per il secondo aspetto, la scuola deve agire in sinergia con la famiglia e con altri centri di orientamento presenti sul territorio in modo da fornire un ampio intreccio di supporti orientativi.
Scusami se sono andata a ruota libera, ma il tuo post mi ha fatto ripensare a problemi antichi e ancora irrisolti, purtroppo!
Ciao. Annarita”
Io sono uno che parla in fretta – contando sul contraddittorio – ma che scrive lentamente, consapevole che le parole scritte possono partorire equivoci. Mi butto lo stesso. Il tema affrontato mi ha intrigato da sempre. E quasi da sempre mi sono sentito in sintonia con le ultime osservazioni d i Jonassen che hai riportato. Dopo decenni di militanza ed osservazione, mi pare di poter dire in modo grezzo che la scuola (anche quella attuale, italiana) funziona per i mediocri (cerca di capirmi!!!), ammolla i deboli (idem come sopra!), non coltiva adeguatamente quelli svegli-svegli (…). Questi ultimi o sono supportati da un contesto socio-familiare che ne orienta le potenzialità o deambulano su confini perigliosi. Soprattutto se non frequentano i licei (dove magari possono incappare nel prof sveglio-sveglio ed un po’ alternativo che ne sa cogliere gli aspetti divergenti). Ma è un pensiero da sviluppare…