gabrio_casati

Un paio d’ore libere e sono passato ad ascoltare Bertagna (lo si ricorderà per essere stato il pedagogista di fiducia della Moratti, ministro dell’Istruzione) che teneva una conferenza a Bolzano.

Il concetto centrale espresso nella prima parte del suo intervento è che la scuola oggi è sostanzialmente quella disegnata da Casati nel lontano 1859 perchè, ora come allora:

  • la scuola italiana, dal Regno d’Italia ad oggi,  non è  stata concepita per la persona che apprende
  • la scuola italiana è ancora organizzata attorno al modello militare dell’esercito

Bertaga, infatti, afferma che la scuola, fin dal tempo del Regno d’Italia con la legge Casati è stata concepita dal potere per il potere e come strumento di controllo con lo scopo di  “disciplinare i barbari” (Regio Decreto Casati, 1859). Il risultato è che  il 2% della popolazione controlla il restante 98%..

L’organizzazione della scuola attuale ricalca quella concepita da Casati che aveva preso a modello organizzativo l’esercito ed  è ancorata sulla suddivisione degli studenti  in “classi”. L’obiettivo èra, ed è,  di uniformare l’approccio didattico secondo parametri standard per gruppo d’età (e non secondo più sensati parametri legati alla singola persona ed alle sue caratteristiche cognitive e motivazionali). Questo criterio organizzativo riprende, anche nel lessico, l’idea delle “classi di leva” che segnavano l’accesso al servizio militare. Il modello militare sopravvive anche ora nel linguaggio organizzativo della scuola in “ordini” e “gradi”, nell’idea forte della “disciplina” (nessun pensiero al 5 in condotta dell’attuale ministro della scuola?), nella rigida organizzazione della didattica attorno a contenuti altrettanto rigidi, nella strutturazione del suo funzionamento secondo un criterio organizzatore “rigido”, i contenuti organizzati in materie o discipline..

La legge Casati istituiva un percorso formativo per la classe di governo (il percorso liceale gestito direttamente dallo stato) ed il “popolo”, qualora volesse crescere, poteva avere a disposizione altri percorsi  di serie B, l’istruzione tecnica..
Con Gentile  non viene modificata la struttura che vede una scuola di serie A ed una di serie B: la prima per il lavoro intellettuale, la seconda per quello manuale; la prima per “elevare la persona”, per essere più “liberi”, la seconda – in una cultura dell’utilità – per consentire (ovviamente, al “popolo”) di guadagnarsi da vivere.

Interessante questa ricostruzione storica che spiega tante cose della scuola attuale.

Ho trovato poco chiara nelle sue implicazioni operative la sua posizione sulla questione della “pari dignità”  tra i diversi ordini di scuola, una delle idee forti della riforma Moratti scaturita dai lavori della Commissione da lui presieduta.

Chiaro e condivisibile il concetto: dare a tutte le persone uguali opportunità di apprendimento e sviluppo indipendentemente dal tipo di scuola che sceglie (quanti “scelgono” la scuola?) di frequentare. Ma come renderlo operativo? La sua idea di “compus” scolastico dove vivono assieme liceali e studenti della FP, usano le stesse infrastrutture, con l’aiuto di tutor scelgono attività didattiche basate su “attività di problem-solving”, su “compiti autentici”,  di  “gruppi di interesse” …. Bello ma …. La controprova della sua sensatezza  l’abbiamo sotto gli occhi con il sostanziale abbandono delle velleità di quell’approccio anche dal governo che l’aveva sostenuta e ritornato recentemente in carica.

Ho molto riflettuto su quella che chiamato “velleità” di un approccio. Non è che di mio non covi più di qualche sogno e non sono uno che ritiene non si debba osare, ma …..

Allora mi sono dato questa risposta: si può cambiare la scuola solo cambiando l’insegnamento.

Si, piuttosto che imbarcarsi in faraonici progetti – di eccellente architettura istituzionale – ma irrealizzabili per i costi ed i tempi lunghissimi che comporterebbero, perché, anche all’interno degli ordinamenti esistenti (ed a parità di investimenti)  non cambiamo il modo di fare scuola?

Non è facile perché non puoi cambiare le teste degli insegnanti per decreto, non le puoi cambiare in modo prescrittivo. Il “cambiamento concettuale” ha i suoi modi ed i suoi tempi. Ma si può lavorare per favorirlo.

Con diversi modi di insegnare puoi anche dare “pari dignità” a tutti i tipi di scuola intendendo per “pari dignità” la possibilità per tutti di “elevarsi come persone”, di “essere più liberi” e non far si che alcuni (i più) si debbano accontentare di “studiare per portare a casa la pagnotta” (vedi sopra).

Con diversi modi di insegnare tutti, anche coloro cui vengono attribuite “limitate abilità cognitive e meta cognitive”, o  “poca voglia di studiare” o di “non amare la teoria” potranno crescere come persone, essere capaci di pensiero riflessivo, di pensiero critico, capire ed apprezzare una poesia o un quadro…..

Ho però la sensazione che anche questo approccio minimalista abbia vita dura. Me lo fa pensare le scelte che i nostri politici fanno per (o contro?) la scuola. Quale disegno di innovazione e di cambiamento ci sta dietro, ad esempio, l’investimento massiccio che si sta facendo sulle LIM? O sulla caratterizzazione di Innovascuola nella direzione dei “contenuti digitali”?  O nell’enfasi che si sta ponendo sugli e-book? Si distraggono risorse dai veri percorsi di innovazione; si distraggono le menti degli insegnanti dai veri modi di fare innovazione; si fa confusione e contrabbando di innovazione. Si fa solo conservazione

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Un pensiero su “La scuola oggi è ancora quella del 1859: “militare” e di controllo”
  1. Per non parlare dell’andare “in congedo” ehehhe

    Spezzare le classi potrebbe andare verso ciò che dici? I professori stanno fermi, e i ragazzi ogni ora si recano in aule diverse, ricomponendo gruppi diversi – persone come flussi, scuola fluida – tipo higschool americane (è un esempio, non un modello che indico come come meritorio, neh)

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