Mentre noi eravamo tutti intenti a declamare i nativi digitali e a domandarci se esistono o meno, loro, facendo il proprio mestiere di nativi, se ne sono fregati delle nostre pippe tecnologiche e le hanno usate. Per fare tutto quello quello che a loro serviva, per fare tutto quello che per loro aveva un senso.

Tecnologie per comunicare? Tecnologie per giocare? Noooooooooooo Solo comunicazione, solo gioco.

Ogni giocattolo dopo poco, lo abbiamo visto tutti quando abbiamo avuto a che fare con i bambini piccoli, stanca, si dimentica o si butta e se ne prende un altro. L’importante è giocare, divertirsi. Il giocattolo è un mero strumento per il piacare del gioco.

A suon di rigirare tra le mani telefonini, tastiere, mouse, monitor toccabili o no, le  tecnologie, per loro, si sono smaterializzate e, come dice chi la sa lunga, sono diventate trasparenti. Passata la curiosità per le novità presenti nel nuovo strumento ci si immerge nell’uso e menco ci si accorge della loro esistenza. Come il pesce, dell’acqua.

Le tecnologie in quanto tali  hanno perso il loro valore e ciò che conta è, per i nativi, ciò che con quelle si può fare.

Se questo fenomeno non è ancora  di massa ed è visibile (forse) in un numero limitato di casi , la strada della “trasparenza” tecnologica è imboccata. E con essa il disinteresse per la “tecnologie”, per lo strumento.

E noi, in questo caso sì, immigrati ma anche emigrati, ancora a disputare del senso delle tecnologie. Se fanno bene, se fanno male, se vanno proibite, se vanno esorcizzate, se si deve educare all’uso (sempre responsabile) se … se … se …

Lo strumento conta sempre di meno per tutti quelli che sono immersi nel digitale a favore del cosa abilita, del suo uso, del suo significato. Dobbiamo prenderne atto.

Vi  immaginate lo sconforto di tanti insegnanti che speravano di aver trovato nelle tecnologie la chiave di volta per agganciare i nativi e trovarsi con un pugno di mosche … analogiche e con i problemi di sempre? Ve le immaginate le loro facce sconvolte di fronte alla prova che il dio-tecnologia non esiste? Dopo averci costruito una religione con tutti i suoi riti ed i suoi amuleti ….

E che diremo loro, noi esperti/guru della didattica con le tecnologie, dopo averli convinti ad usare le tecnologie che parlano il loro linguaggio? Di usare le tecnologie per incuriosirli, per interessarli, per superare la noia, per farli imparare divertendosi? Noi che ci siamo inventati i nativi digitali per piazzare loro una lavagna meccanica? Noi che li abbiamo illusi di fare didattica interattiva solo perchè spostavano col dito un oggetto su una lavagna armata di software?

Immagino stormi di insegnanti, in depressione digitale, buttarsi dal tetto della scuola. Non dopo di aver preso a calci nel … tanti imbonitori e commercianti ed avergli tirato addosso le loro lim, i loro laptop, i loro iPad, i loro ebook ed i loro reader….

Quelli che sopravviveranno alla depressione post-digitale riprenderanno a sedersi accanto ai loro studenti e riprenderanno ad ascoltarli e a pensare a quali strategie didattiche utilizzare per aiutarli ad apprendere. Riprenderanno ad assumere sulle proprie spalle la responsabilità dei risultati senza più pensare alla scorciatoia tecnologica.

Usando, perchè no, anche le tecnologie. Ma non perchè parlano il loro linguaggio o per farli divertire o per combattere la noia o il disinteresse per una didattica priva di senso. E, magari, le useranno per aiutare gli studenti a pensare meglio, a ragionare, ad articolare il pensiero, a riflettere, a collaborare, a costruire, a rappresentare ciò che sanno ….

Immagine da http://www.mariedargent.com

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21 pensiero su “Ci hanno fregati e sono diventati trasparenti”
  1. Caro Gianni, descrivi un panorama sconsolato che a tratti rasenta l’assurdo, ma penso che molti di noi insegnanti si sia ormai vaccinati contro l’assurdo. Stiamo sopravvivendo a una serie infinita di “riforme” e “riformucole”, di circolari contraddittorie, di conflitti di competenza, di mansioni deliranti (l’ultima: contare le assenze degli studenti una ad una, mettendoci ore sottratte alla preparazione delle lezioni, perché non devono sorpassare il numero di 50 annuali circa…)

    Direi invece che si è molto persa la voglia di sperimentare (qualsiasi paradigma, tecnologico o no). La frase che sento sempre più spesso è:
    “Con tutto quel che dicono di noi… Per quello che ci danno…. MA SI FACCIANO LORO L’AGGIORNAMENTO!!!” E via a fare il minimo. Dignitosamente – per carità – ma il minimo.

  2. Cara Lucia, grazie per il contributo alla mia riflesione sulla questione. Due precisazioni: 1) per me il blogging è un luogo di pensieri in divenire che partono sempre dalle mie esperienze e dalle mia consapevolezze e che esterno e condivido per poterli portare in posizione sempre più avanzate. Mi dispiace se e quando appaiono come saccenti sentenze (non mi riferisco al tuo commento), 2) il post si riferisce agi atteggiamenti di tanti insegnanti relativamente ai significati didattici attribuiti alle pratiche con le tecnologie; riflessioni che nascono dalle mia attività professionali dove incontro tanti insegnanti.

    Detto questo, è evidente che non ha senso parlare di “insegnanti” come di un gruppo unitario, tutti uguali, tutti con le stesse competenze, tutti con gli stessi atteggiamenti anche verso la professione. Non fatico a condividere con te l’analis del diffondersi sempre di più di un atteggiamento depressivo-rinunciatario rispetto alla voglia di innovare, di sperimentare, di fare …un brutto segnale per la scuola e non per colpa degli insegnanti. Un tema sul quale riflettere perchè sarebbe un danno immenso che la scuola, come organismo, entrasse in depressione. Non se lo può permettere …

    Nel merito della didattica e di quella con le tecnologie trovo, anche qui, il solito paesaggio a macchia di leopardo. Un manipolo di insegnanti riflessivi e consapevoli che fanno eccellente didattica con e senza le tecnologie; un gruppo di mezzo che usa le tecnologie in modo a-riflessivo e facendo sempre la solita didattica anche (e soprattutto) se usa la lim credendo di essere innovativi (e di serie A rispetto ai colleghi che non le usano) per il semplice fatto di usare le tecnologie; un gruppo che non gliene può fregar di meno …

    Nel primo gruppo ci sono tanti insegnanti che aiutano i loro colleghi a crescere didatticamente e ad usare, quando ha senso, anche le tecnologie; nel secondo gruppo ci sono quelli che sono oggetto del mio post e che in ragione di un uso non o poco consapevole, a-critico, a-riflessivo delle tecnologie sono le potenziali “vittime” tecnologiche, quelli che prima o poi si renderanno conto che le tecnologie così come sono nelle loro rappresentazioni concettuali non sono servite a nulla (= non sono servite ne a migliorare l’apprendimento dei loro studenti, ne a stabilre con loro una comunicazione autentica). Nel terzo gruppo ci sono gli iganvi, la zavorra per i quali credo si possa poco perchè il loro disinteresse per le tecnologie è solo la cartina di tornasole del loro disinteresse per la propria professione.

    Spero, che con quest’ultima affermazione, non aver dato l’impressione che ritengo chi non usa le tecnologie sia di questa “terza specie”. Ho già incluso nel primo gruppo quelli che per me sono i bravi insegnanti, con e senza le tecnologie

  3. In inglese si dice: crystal clear (chiaro come il cristallo!)
    Condivido. Corrisponde anche alla mia esperienza.
    Ora sono stata anch’io “comandata” alla LIM, ma porterò le tue riflessioni con me. Per fortuna anche le mie “tutor” hanno questa saggia impostazione, quindi penso che sarà cmq un’esperienza interessante.
    Ciao

  4. Lucia, sulla questione lim. In realtà non c’è ragione per criminalizzarla se la si prende per quello che, una periferica come tante, un aggeggio tecnologico come un monitor, un pc, una videocamera, un banco, un gesso, un videoproiettore.Tutti aggeggi utilissimi in un’aula per essere usati quando servono e per quello che servono. Non feticci e amuleti da usare sempre e comunque, scervellandosi di trovare applicazioni solo per giustificare la loro esistenza
    Una mia certa avversione alla lim era ed è dovuta in primis alla errata strategia ministeriale per l’introduzione delle tecnologie a scuola. Meglio serebbe stato, ad esempio, se si fossero collegate tutte le scuola ad internet e con una buona connessione e se si fossero messi centinaia di pc in ogni scuola (non in aula pc). Poi per la demagogia che ne ha accompagnato il lancio: una scuola malandata come la nostra con qualche migliaio di lim diventa una scuola moderna. Bale, alle quali tanti hanno creduto. Ingenuamente o da sprovveduti. Poi per la comunicazione che ne ha accompaganto il lancio: usate la lim e farete buona didattica, innovativa, moderna e sarete bravi insegnanti; un’ulteriore semplificazione della questione. Poi sarebbe da entrare sulla questione più prettamente didattica con il fiorire di “didattiche con la lim” ad ogni piè sospinto … ma su questo mi astengo (per ora). Comunque, ritengo che tra avere una lim in classe e non averla, meglio averla.

  5. Gianni, questi post mi solleticano…ad una prima lettura mi irritano, poi, rileggendoli non posso che condividere,in linea di massima quanto scrivi….ma con le dovute precisazioni!
    Sto massacrandomi di lavoro per far passare l’idea di una didattica integrata: ambienti di apprendimento estesi, naturalmente con l’utilizzo della Rete…cerco di diffondere queste pratiche ma ciò che dico ai miei colleghi è che noi siamo esperti nella DIDATTICA…le tecnologie sono gli strumenti che possono facilitarci a progettare ambienti adatti all’apprendimento, a volte possiamo e dobbiamo attingere alla maggior confidenza dei nostri alunni con l’aspetto tecnologico, ma tocca a noi la progettazione dell’attività, lo scaffolding, il tutoraggio, il monitoraggio, la moderazione delle comunicazioni, l’offerta degli stimoli…
    La scelta degli strumenti é funzionale al fine cui tendiamo, usiamo gli strumenti digitali in modo naturale, trasparente, allo stesso modo con cui usiamo quelli tradizionali.
    Tenendo sempre presente che uno strumento è un mediatore tra la realtà e la sua rappresentazione, quindi usare uno o l’altro non è indifferente…
    Condivido tutto sulle lim, l’ho “ricevuta” da 15 gg, senza connessione (assurdo), bene…nonostante questo i bambini ci hanno messo le mani subito…per creare le loro pagine…per me è stato sorprendente…per i nativi digitali (sono loro!) la tecnologia è ormai naturalizzata, l’hanno succhiata crescendo…
    France

  6. Paolo posso provare io un banale identikit, da insegnante delle superiori e da padre di un (quasi) quindicenne :-).Secondo me sono semplicemente adolescenti che vivono il loro tempo, esattamente come noi e le generazioni precedenti.Hanno qualcosa più di chi li ha preceduti e qualcosa in meno, come è sempre stato.Agli adulti spesso non piacciono e/o non li capiscono, e viceversa, proprio come in passato.La scuola ha difficoltà con loro, e viceversa, come è sempre capitato da quando esiste la scuola.Molte cose li accomunano come "generazione"; molte altre li differenziano, e le tecnologie appartengono a entrambe queste categorie.Sono singoli individui, appartenenti alla straordinaria "specie mutante" dell'adolescenza, per alcuni il motore stesso della nostra umanità.

  7. Antonio, il profilo che tracci mi pare il più saggio ed il più utile: sono quelli che sono, diversi da tutti come sempre è stato e sempre sarà. La ricetta più utile per "affrontarli": ascoltarli in modo autentico

  8. Certo, comunque va riconosciuto che le tecnologie hanno oggi introdotto un ulteriore elemento di complessità.Non si può negare che molti adulti (insegnanti.. genitori…), oltre alla tradizionale "distanza generazionale", trovino un altro motivo di difficoltà nell'interagire con i "comportamenti tecnologici" dei loro figli o studenti. Comportamenti che a volte (se a loro volta non sono familiari con le tecnologie) possono apparire incomprensibili.La "depressione digitale" di cui parla Gianni, tutto sommato, è più che possibile…

  9. Antonio, la tua descrizione, con semplicità ci riporta tutti ad un più sereno aspetto del problema (sereno, non meno complesso!).Sulle tecnologie non sarei pessimista. Da un punto di vista sociologico, sarà interessante rivedere i nostri ragazzi tra 20 o 30 anni, per osservare in cosa si saranno trasformati.Noi 40enni eravamo la generazione della TV… e oggi, cosa siamo? Cosa abbiamo insegnato? Cosa abbiamo prodotto?Loro, invece, cosa saranno?Per chi come noi insegna, in qualche modo, non facciamogli mai perdere stupore e amore per il mondo. O nessuna tecnologia, nessuna tecnica cognitiva o didattica, li renderà dei buoni adulti (con fantasia, sogni e tanta ironia – che serve sempre…).Grazie Antonio e Grazie Gianni.

  10. Atonio, per rimanere su paradigni a te cari (e da me condivisi) ed espressi in altro post (=nulla di nuovo sotto il sole), la "problematica" digitale è una delle tante peculiarità di queste generazioni, uno dei tant temi da ascoltare ed esplorare e nulla più. Ti pare, ad esempio, che il ruolo della famiglia, sia lo stesso per i nostri figli di come lo è stato per noi o, peggio ancora, per i nostri genitori? E che questo non abbia un impatto maggiore nel determinare il "profilo" delle nuove generazioni nei loro rapporti con le precedenti. Non credi che, ad esempio, il venir meno del principio di autorità non scombini ancor più del digitale i genitori e gli insegnanti? Sono tutte dimensioni specifiche del problema da affrontare. Credo che ci si soffermi più sul di digitale che su altre tipologie del problema perchè è più nuovo e pertento meno conosciuto, non più "grave". Credo che il mitizzarlo trppo faccia perdere il senso della problematica

  11. Paolo posso provare io un banale identikit, da insegnante delle superiori e da padre di un (quasi) quindicenne :-).Secondo me sono semplicemente adolescenti che vivono il loro tempo, esattamente come noi e le generazioni precedenti.Hanno qualcosa più di chi li ha preceduti e qualcosa in meno, come è sempre stato.Agli adulti spesso non piacciono e/o non li capiscono, e viceversa, proprio come in passato.La scuola ha difficoltà con loro, e viceversa, come è sempre capitato da quando esiste la scuola.Molte cose li accomunano come "generazione"; molte altre li differenziano, e le tecnologie appartengono a entrambe queste categorie.Sono singoli individui, appartenenti alla straordinaria "specie mutante" dell'adolescenz​a, per alcuni il motore stesso della nostra umanità.

  12. Certo, comunque va riconosciuto che le tecnologie hanno oggi introdotto un ulteriore elemento di complessità.Non si può negare che molti adulti (insegnanti.. genitori…), oltre alla tradizionale "distanza generazionale",​ trovino un altro motivo di difficoltà nell'interagire​ con i "comportamenti tecnologici" dei loro figli o studenti. Comportamenti che a volte (se a loro volta non sono familiari con le tecnologie) possono apparire incomprensibili​.La "depressione digitale" di cui parla Gianni, tutto sommato, è più che possibile…

  13. Ma c’è qualcuno (tra gli insegnanti italiani) che DAVVERO ha creduto che le tecnologie digitali risolvessero da sole il problema dell’insegnare? Il problema è e resta sempre quello di un rapporto tra persone. Il resto è solo un mezzo (anche se non sono così ingenuo da non sapere che il mezzo trasforma la relazione; ma la cosa importante resta la relazione, non il mezzo!)
    martino

  14. CARISSIMI ,AVETE SCRITO UN LIBRO ,BRAVISSIMO ,ME PIACE TANTO LEGGERTI NICOLA ,E DI PIÙ VEDERTI ,IO ANCORA SCRIVO CON LA MATITA DELLE MIE POESIE ITALIANE CHE TU MICA HAI VISTO MAI .

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