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Non si va a scuola per divertirsi, ma per imparare. E imparare costa fatica.
A guardare le nuove proposte didattiche, tutte imperniate sul digitale (presentato come ambiente di apprendimento facile, agile e divertente), parrebbe proprio che se non ci si diverte non si impara.
Il nuovo mantra dell’apprendimento è la facilità dei compiti da eseguire, la leggerezza, il divertimento. Di fatica e impegno nemmeno l’ombra.
È chiaro che in ogni situazione di vita non vi sia alcuna persona in sane condizioni psichiche che ami fare fatica senza senso. Cioè: senza ravvisarne un significato. Ciò che motiva, infatti, alla fatica è la comprensione del significato di tale fatica.
Troppo spesso, invece, a scuola la “fatica” è causata dall’assenza di significato per quello che si fa: non se ne comprende il senso, tutto è percepito come  estraneo al proprio mondo interiore ed esteriore.
L’apprendimento allora diventa meccanico, lo sforzo è inutile, il risultato è irrilevante.
L’alternativa a questo loop  non è il divertimento, ma il significato.
La costruzione di significativo richiede un duro lavoro personale, un consistente coinvolgimento emotivo e cognitivo (da parte degli studenti e anche dei docenti).
Imparare è fatica, non sofferenza.

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