Con questo urlo (o la Crusca o la vita), Antonio Saccoccio – insegnante net-futurista – chiude un acceso confronto in La scuola che funziona sul senso dell’insegnamento di “italiano” nella nostra scuola.

Il tutto era iniziato in una discussione aperta da Cristina Galizia sulla didattica dell’Italiano. Per la verità, Cristina – eccellente insegnante di cui vi parlerò a breve – aveva proposto di parlare di cose concrete, del “come fare” ma, incautamente, aveva messo il link ad un recente articoletto di bassa lega del Corriere in cui si pontificava a sproposito circa l’ignoranza dei giovani d’oggi e sulla, per loro, mancanza di futuro a causa – udite udite – delle carenze nell’aritmetica, nella  grammatica, nella sintassi.

Nella discussione che facilmente si è attivata ho trovato aberrante che alla correttezza formale dell’espressione, in quell’articoletto, si attribuisse un “significato culturale fondamentale”. La cultura, per me, è ben altro.
Affermare, poi, che un ragazzo che non possiede gli “strumenti essenziali” (e si attribuisce questa connotazione sempre a sintassi e grammatica) non può avere futuro, vuol dire non aver capito nulla di quello che sarà il futuro perchè si vede il futuro come specchio, ripetizione del passato. Questo è un tremendo errore di prospettiva.

Ma è Antonio a calare un paio di carte pesanti tirando in gioco l’Accademia della Crusca, fonte dei dati che hanno originato il citato intervento sul Corriere.

... dopo la lettura del solito articolino del corriere il primo commento è: per fortuna l’accademia della crusca fa accademia, perchè la scuola è un’altra cosa.
Credo che il ruolo della crusca sia importante, perchè la conservazione, come l’innovazione, deve sempre avere dei referenti credibili e preparati.
Ma lasciamo i cruscanti nella loro accademia e al massimo nel loro sito web. Sì, il loro sito web è ricco di curiosità, mi ci perdo a volte, ma sono curiosità linguistiche, per cultori e appassionati della lingua. Mi si perdoni il termine assai poco cruscantello, ma bisogna ogni tanto definire le cose per quello che sono: per la formazione di un ragazzo quelle curiosità sono cazzate.
Io capisco che un cruscante non ha altro da rivendicare oltre alla sua competenza linguistica, ma definire, con toni allarmistici, gravissimi (sic) errori “dopo guerra” o “degl’anni” mi sembra davvero da imbecilli.

E, più avanti, Antonio evidenzia il vero problema della scuola, ma anche della società nel suo complesso,

… chi è davvero educato al senso critico e riesce a vedere oltre le chiacchiere da bar che leggiamo sui quotidiani nazionali ogni giorno? pochissimi. già la nostra generazione ripete a memoria ciò che legge sui giornali o guarda in tv. e dopo la cura fioroni/gelmini/crusca/israel quanti saranno fra qualche anno i ragazzi in grado di ragionare con il proprio cervello? 10, 20, 50? Questo è il futuro che ci stanno servendo.

… e concludere, prima di calare l’asso

Se noi insegnanti non alziamo il tiro contro questa linea reazionaria la quasi totalità dei nostri ragazzi sarà impreparata ad affrontare il mondo magmatico e tentacolare dei prossimi anni. E chi comanderà? Semplice. Quei pochissimi facoltosi in grado di selezionare per i propri figli eccellenti formatori privati, quasi neo-precettori del terzo millennio! Precettori in grado di insegnare la vita nella sua inquietante complessità e indecifrabilità, e non triti ricamini retorici per damerini da salotto.

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Si, è proprio vero, o la crusca o la vita.
O ci si trastulla su formalismi da iniziati o ci si misura con la vita.
La Crusca, e con essa e per essa la scuola, non è vita reale. La vita, quella reale, quella che ci troviamo a dover combattere tutti i giorni, è altra cosa da quella che attraverso la scuola, l’accademia,attraverso certa scuola, certa accademia ci viene rappresentata.
Quello della Crusca è, purtropo, solo uno dei segnali (e, forse, anche uno strumento) di una realtà ancor più drammatica: lo smantelalmento in  atto della scuola pubblica.
Daniele Pauletto, insegnante illuminato, in un suo recente post  in tema di tecnologie ,scuola, “nativi digitali” ipotizza che il 2010 sia l’anno zero della nuova scuola, quella orientata in senso contemporaneo, quella che si costruisce attorno alle caratteristiche della nuova società, del nuovo studente.
Io, più che l’anno zero della scuola , anno cioè di una nuova partenza, ho la sensazione che sarà l’anno della definitiva demolizione della scuola pubblica.
Con la scusa (ma per certi versi a ragione) di una scuola priva di qualità (vedi lo sfornare continuo di saggi, saggetti, pseudosagi, articoletti di giornale, non ultimo quello prima qui citato), il governo sta lentamente ma sistematicamente e con determinazione degna di miglior causa, togliendo l’ossigeno alla scuola pubblica con il chiaro intento di proporre un nuovo modello di scuola.
Sarò di certo una scuola privatizzata, ben orientata culturalmente (la direzione è quella indicata da Saccoccio)  ed in cui sparirà la libertà d’insegnamento e di pensiero.
Temo che il 2010 sia l’anno in cui questo turpe disegno si dispiegherà in tutta la sua portata. Altro che nativi digitali, web 2.0, LIM …. Poderosi interventi di lobotomia sociale. Ecco quello che ci aspetta.
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13 pensiero su “O la crusca o la vita (A. Saccoccio)”
  1. “Io, più che l’anno zero della scuola , anno cioè di una nuova partenza, ho la sensazione che sarà l’anno della definitiva demolizione della scuola pubblica.”
    “…Con la scusa (ma per certi versi a ragione) di una scuola priva di qualità …”

    Non credo,
    penso invece ad una scuola di qualità,e la qualità è / e potrà essere sia nel pubblico come nel privato,

    i “nativi digitali” ci aiuteranno e noi loro ad essere consapevoli e critici Cittadini Digitali

  2. Grande post su grandi idee!E’ vitale essere presenti in questa fase durissima della storia della nostra scuola.
    Non sono ottimista.
    A volte si balla come sul Titanic e si fa chiasso ogni volta che si vuol far tacere la ragione; ma qui la ragione della scuola parla e grida con la voce di due grandi: Gianni Marconato e Antonio Saccoccio.
    Con voi ce la possiamo fare.
    Grandi idee per il futuro, vissute con slancio e forza vitale: una energia che si trasfonderà spero, in tantissimi.
    Beh io vorrò esserci, in prima fila, e con un applauso fragoroso ed entusiasta!

  3. Io non sono d’accordo con il prof Pauletto (forse perché sono dott. Tranne a scuola dove sono solo ins. Ed eccezion fatta per le mie occasionali studentesse universitarie che mi chiamano prof, invece di chiamarmi dott).
    Perdonate il gioco di parole ma riflette lo scenario sistemico di fondo… 🙂

    Io non so in che scuola tornerò l’anno prossimo, dopo questo periodo di dottorato. L’ho lasciata fiaccata da schizofreniche “manomissioni” (mi sembra più corretto di riforme) e la vedo languire giorno dopo giorno, nella rassegnazione ormai dilagante di ritornare “uniche” (parlo per il mio “settore” ovviamente). Ormai le maestre, in sostanza, già lo sono. La salvaguardia di un residuo lavoro di team peggiora le cose, più di quanto già i tagli orari facciano.

    Ho fondati dubbi che un sistema “integrato” pubblico/privato possa far emergere la qualità, in queste condizioni. Come? Con che risorse? Il “privato” (ammesso e non concesso) come può attirare i docenti migliori se li tratta come schiavi?
    E comunque il surplus di docenti (vari ed eventuali) che verranno distribuiti in maniera (sempre varia ed eventuale) nelle (sempre meno) classi di concorso, che qualità daranno agli insegnamenti a cui approderanno?

    Perché, se volessimo fare un discorso di quelli da guru dell’economia, non è che la catena del valore si alimenta da sola! Ci vuole la qualità e il vantaggio competitivo, dice Porter. E dove lo andremo a reperire questo vantaggio competitivo? Nelle scuole dei ricchi (non è importante che siano pubbliche o private) che potranno attrarre i docenti migliori mentre i peggiori rimarranno a quelli che non hanno una voice adeguata (vedi la “lezione” di Hirschman) e quindi ai poveracci.

    Se poi continuiamo a seguire gli economisti classici e la “mano invisibile” del mercato è ovvio che rimandiamo i nostri ragazzi nelle fabbriche invece di farli studiare…

    PS lo sfogo è contro il sistema, ovviamente. Sono contenta che ci siano colleghi speranzosi nel futuro. Siamo qui per crederci.

  4. @ Daniele … pieno di speranza lo sono anch’io – diversamente perchè sarei qui a “lottare”? Non ho la vocazione del Don Chisciotte ….
    Purtoppo, i fatti parlano da soli ..
    Certo, un cambiamento (a livello micro)è possibile e concordo con te che proprio i “nativi digitali” ci aiuteranno in questo cambiamento. Tanti bravi insegnanti sono già su questa strada ed il tuo pregevole lavoro, come quello di Antonio, Grazia, Mariaserena, il mio (spero) aiuterà non poco questo cambiamento.
    Ma questo, è la mia riflessione, è un cambiamento col fiato corto e destinto a fallire se nel breve non riusciremo ad attivare un cambiamento a livello macro.
    Per intanto continuiamo a darci da fare ….

  5. La mia ipotesi che possiamo cominciare a sperare in un cambiamento a livello macro dedicando a questo progetto oltre al nostro entusiasmo anche una volontà strenua di dialogo e di reciproca comprensione.
    Si parla tanto, ma a volte si ascolta solo chi ci da ragione, o si ascolta solo se stessi.
    Io ammiro il pensiero di Antonio Saccoccio, che seguo da anni nel sul blog; le sue riflessioni e analisi aprono (finalmente!) nuove prospettive per il futuro. Riaprire le finestre sul domani è il primo passo. Poi iniziamo a costruire, fidando molto nelle nuove generazioni troppo spesso oscurate, non qui ovviamente, da giudizi frettolosi

  6. Il “privato” (ammesso e non concesso) come può attirare i docenti migliori se li tratta come schiavi?

    Questo che poni è un problema fondamentale, MariaGrazia.

    Il libero pensatore è da sempre insofferente alle gabbie e ai padroni.

    Pensiamo a quello che è accaduto per le nostre università: le menti più brillanti, al posto di lasciarsi schiavizzare dal sistema baronale universitario, sono fuggite in cerca di impieghi in cui esprimere liberamente le loro qualità e la loro creatività.

    Nella scuola pubblica, tranne i casi di dirigenti scolastici dispotici, c’è ancora una certa libertà (e per questo io resisto). E in questo è assai preferibile rispetto alla scuola privata. Il giorno in cui nella scuola pubblica questa libertà di pensiero cesserà, adeguandosi ai modelli privatistici o alle baronie e gerarchie accademiche, sarà il de profundis per la scuola pubblica.

    In questo contesto il web 2.0 porta alla luce l’urlo dell’individuo a mille dimensioni, che, nella sua barbarica ma sanissima violenza, scuote il tradizionale e ufficiale assetto ad una direzione (e ad una dimensione) ancora diffuso dagli old media, dalla scuola e dal mondo della cultura e dell’arte.

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