Laurillard 1

Lavorando con gli insegnanti, mi trovo spesso ad ascoltare le loro lamentazioni (che non sono lagnose lamentele)  sulla (non) collaborazione che assai spesso non riescono a stabilire con i colleghi, e se ne lamentano perché questa non collaborazione produce inefficienza ed inefficacia tanto nel loro agire come singolo operatore, tanto nell’agire della scuola nel suo insieme.

Ho già detto che una modalità “innovativa” di attività scolastica alla portata di tutti senza stare ad aspettare epocali riforme scolastiche, è proprio la collaborazione tra colleghi.

Credo che sulla questione non vi sia alcun dubbio da parte degli insegnanti avveduti.

Quindi, anche senza bisogno di autorevoli conferme, cito con piacere una rigorosa concettualizzazione della questione presente in un recente libro di Diana Laurillard, Teaching as a Design Science: Building Pedagogical Patterns for Learning and Technology – 2012

In questo pregevole lavoro (su cui ritornerò per altre riflessioni), l’autrice vede proprio dell’interazione tra pari la chiave del miglioramento dell’insegnamento. Perché?

L’idea centrale di questo libro è che l’insegnamento non sia una scienza teorica, che, cioè, l’insegnamento non sia concettualizzabile secondo teorie e spiegazioni e, soprattutto non derivi direttamente le proprie pratiche  dalle teorie dell’apprendimento.

Per insegnare “allo stato dell’arte” non serve a nulla “applicare” meccanicamente quelle teorie per il semplice fatto che non può esistere un’applicazione, azione che è per sua natura contestualizzata, di una teoria che, per sua natura, è un’astrazione.

Ogni contesto di insegnamento, ogni soggetto che apprende, è un caso specifico.

Ecco, allora, Laurillard che concettualizza l’insegnamento come un’attività di “design” che si sviluppa sulla base di “principi” ed euristiche, scoperte personali, un’azione contestualizzata che sviluppa le proprie pratiche efficaci attraverso  processi iterativi di prove e valutazione dell’impatto. L’insegnamento non è una scienza sperimentale basata su studi di laboratorio.
L ‘identificazione di queste pratiche efficaci può avvenire solo se ogni insegnante può costruire il proprio agire didattico sull’esperienza degli altri insegnanti. La qualità dell’insegnamento è, quindi, frutto dell’effetto cumulativo delle pratiche di un comunità.
Ogni insegnante scopre attraverso la propria pratica ciò che è efficace, ma troppo spesso questa conoscenza non viene articolata e condivisa. Lo sviluppo dell’insieme della conoscenza di una disciplina avviene costruendo sul lavoro di altri.
L’insegnamento, nell’approccio di Laurillard, diventa, quindi, una “principled reflective practice”, una pratica basata su solide concettualizzazioni e sulla riflessione sulla pratica stessa.

Banale, quindi, concludere che al di fuori della collaborazione autentica tra insegnanti, non si ha sviluppo del sapere (pratico) dell’insegnante, non si consegue “qualità” didattica, non si riesce ad innovare la didattica traendo beneficio dai risultati delle scienze dell’apprendimento.

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7 pensiero su “Perché l’insegnante da solo non migliora il proprio insegnamento?”
  1. Grazie ho trovato il tuo Blog molto interessante e quello della mancanza di condivisione è un problema che sento molto vivo.
    Laura

  2. caro gianni nato marco, sviluppa, che a parer mioenonsolo, è punto cruciale. resta il fatto più importante: l’innovazione o la rivitalizzazione organizzativa della scuola, che crei e protegga, ma anche imponga, spazi e tempi di riflessione corale, intorno a a rtefatti obbligatori (protocolli d’osservazione, report, verbali di condivisione, diatri di bordo, portfoli di team…) altrimenti importeremo ballarò e portaaporta nella scuola, urla e silenzi intorno alle proprie visioni ideologiche, nella migliore delle ipotesi, o, più semplicemente e pericolosamente, un setting in cui ognuno si costruisce o rinforza la propria identità in contrapposizione o in aggregazione con altri. così è se ti pare.

  3. Salvatore, la scuola è quella che è anche la “fatica” che fanno gli insegnanti a costruire una visione, non dico unitaria, ma consapevole dei suoi scopi. Ovvio che sia, poi, impossibile, costruire e sviluppare delle pratiche.
    Non mi preoccupano tanto gli eventuali scontri ideologici, quanto l’appiattimento del confronto, il non confronto. Così è se ti pare 🙂

  4. Sono convinto – malgrado le mie personali incoerenze e incapacità – che la collaborazione fra insegnanti sia fondamentale. Lo è soprattutto se genera progetti cogestiti. L’ho vissuta qualche volta come un’isola felice in un fiume grigio di insuccessi e insoddisfazioni. Però non d’accordo con la semplificazione (o almeno non la capisco) che riduce l’innovazione didattica a una condivisione di buone prassi. Qualche “teoria” sull’apprendimento guida l’osservazione delle prassi. Del resto, lo schema che prevede prima le teorie e poi le “applicazioni” – spesso comune nelle attività e nelle valutazioni scolastiche – è del tutto sbagliato: la conoscenza è costruzione di modelli teorici nati dall’osservazione e dalla sperimentazione condivise. – Mi sento come un mozzo che naviga sull’alto mare aperto.

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