Apprendimento3

In un post precedente ho argomentato sull’esistenza di un ampio, solido e persistente “implicito” di teorie dell’apprendimento che guidano le nostre azioni didattiche, a volte sono native, anche ingenue, a volte sono state sfidate e modificate.

Ho desunto queste teorie in vario modo ma principalmente dai problemi di didattica che gli insegnanti esplicitano durante le lezioni ma anche dalle discussioni informali che si fanno sulla scuola e sulla didattica (Facebook è, in questo senso, una miniera inesauribile). Questi i problemi che vengono proposti con inquietante regolarità:

  • Non sono capaci di attenzione;
  • Ascoltano distrattamente;
  • Non vogliono fare fatica;
  • Sono facili alla noia, alla distrazione;
  • Dimenticano facilmente;
  • Non si fanno scalfire da nessuno stimolo;
  • Hanno un approccio meccanico all’apprendimento;
  • Manifestano inerzia, pigrizia cognitiva;
  • Manifestano disinteresse per le conoscenze che la scuola propone loro.

Quali sono, dunque, queste teorie?

L’insegnante insegna e lo studente impara

L’insegnante parla, lo studente ascolta e ripete. Se ripete in modo corretto ha imparato. Per insegnare bene basta organizzare adeguatamente i contenuti e utilizzare una buona comunicazione, meglio se con buoni supporti.

Se lo studente non impara è perché non segue o non si applica

Compito dell’insegnante è di raccontare la materia, possibilmente bene e compito dello studente è capirla. Se continua a non capire, si ripete, più e più volte, fino a che non capisce.

Per imparare bene lo studente deve seguire

Deve stare attento, in silenzio, prendere appunti, studiare, fare esercizi, ripetere, applicarsi, avere una buona tecnica di studio, ripetere.

Semplificare i contenuti difficili 

Se una materia è difficile, la si presenta a pezzetti più piccoli, si tagliano parti, gli elementi più difficili, e forse così è più digeribile.

La didattica efficace è comunicazione efficace

Se un argomento viene ritenuto dallo studente poco o nulla interessante si cerca di motivarlo con artifici retorici, istrioneschi ed effetti speciali (il simpaticone, la battuta, la barzelletta, il ricorso a tecniche non scolastiche, l’aneddoto sconvolgente e nell’era digitale con lim, ipad, ebook, app…. che parlano la lingua delle nuove generazioni) o adottando un linguaggio giovanilistico.

L’insegnante sa cosa si deve imparare

Quando ogni tecnica diversiva fallisce, ecco l’argomentazione che ammazza il toro: adesso non capisci a cosa serva, ma quando sarai grande, quando andrai a lavorare tutto ti sarà più chiaro (e mi ringrazierai). L’insegnante sa cosa è utile insegnare (lui ha studiato per questo, è il suo mestiere) e lo studente deve fare un atto di fede e imparare.

 

Si tratta di un sistema di teorie ben strutturato, logico, coerente al suo interno e di vasto utilizzo.

È un approccio all’insegnamento che deve le proprie origini dall’esigenza dell’esercito americano di addestrare in massa i propri soldati alle attività che avrebbero dovuto sostenere nei diversi contesti e funzioni associate alla guerra. Tanta gente da addestrare in poco tempo, per compiti differenti, da svolgere allo stesso standard procedurale e di risultato e non, particolare non trascurabile,  disponendo di addestratori qualificati. Serviva, quindi, disporre di un metodo d’insegnamento standardizzato, fortemente proceduralizzato, da poter essere utilizzato da formatori poco esperti e che garantisse risultati omogenei indipendentemente dalla persona formata, dal formatore e dal contesto.

Gli scienziati dell’apprendimento che furono messi in campo avevano da un lato le prescrizioni del committente e dall’altro le conoscenze sull’apprendimento disponibili a quel tempo, cioè il modello stimolo -risposta di Pavlov perfezionato da Skinner. Nacque il “metodo” Drill and practice, prova, riprova e metti in pratica, un addestramento molto ben strutturato, nulla lasciato al caso.

Sostanzialmente un approccio secondo il quale, sulla base di quanto deve essere imparato, un tecnico/esperto dice a chi deve imparare cosa deve dimostrare di saper fare, questo ascolta, guarda, prova, se non va bene riceve nuove spiegazioni e con un ciclo più o meno lungo arriva a dare la presentazione attesa.

Dato curioso: questa tecnica didattica deriva da studi fatti sull’apprendimento animale!

L’approccio Drill and Practice è stato affinato e migliorato nel tempo assumendo la forma oggi conosciuta come Instructional Design; la sostanza rimane comunque quella: la trasmissione strutturata di contenuti.

La scuola contemporanea, non solo italiana, è ancor organizzata secondo questo modello nonostante le nostre conoscenze su come le persone (non gli animali) apprendono si siano notevolmente sviluppate negli ultimi decenni e si siano modificati tanto il significato culturale di conoscenza che il ruolo della scuola.

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