Il coraggio che si cerca è quello di creare le condizioni per migliorare la didattica e, tramite questa, l’apprendimento.

La didattica non è una scienza teorica ma una scienza pratica  e come tale può essere migliorata solo lavorando sulle pratiche didattiche attraverso il loro riesame, attraverso la loro documentazione e la riflessione sulle pratiche stesse.

Il miglioramento della didattica è frutto di miglioramenti incrementali, arricchendo poco alla volta quanto si è già fatto ma, anche, migliorando il lavoro di altri colleghi.

Il processo è: 1. azione didattica 2. documentazione 3. riesame 4. riflessione 5. nuova azione didattica arricchita.

Non vedo altre vie per il miglioramento vero, con effetti duraturi.

Tutto questo percorso è impegnativo psicologicamente (in primis, perché implica la messa in discussione delle proprie visioni dell’apparendimento, della didattica, del proprio ruolo), cognitivamente (perché deve attivarsi un “cambiamento concettuale”) e operativamente (perché è necessario dedicare tempo a queste azioni di “terziario” della didattica).

Nei miei lavori con gli insegnanti ho visto abbastanza diffuso il coraggio di mettersi in discussione, come anche la volontà di sperimentare e il piacere di migliorarsi, ma il maggior ostacolo che di frequente vedo per poter rendere tutto questo operativo è sempre e solo il tempo per farlo.

A scuola si è sempre presi dal “fare” (adempimenti amministrativi, offrire nuove opportunità agli studenti, “pararsi il culo”) e non resta praticamente tempo per prendere in considerazione quello che si fa depotenziando così in modo significativo il processo di miglioramento della didattica.La questione centrale diventa LIBERARE TEMPO. Sfrondare il più possibile i carichi di lavoro non direttamente didattici per lasciare spazio alla azioni che portano al miglioramento: documentazione, riesame, riprogettazione, individualmente e (meglio) tra colleghi.

Ho ben chiaro che liberare tempo non è un’operazione facile (soprattutto se l’imperativo è fare, fare per far vedere che si fa, comunicare il movimento che c’è a scuola, far vedere che la scuola è intraprendente, chr non è statica), ma è un’operazione essenziale se si vuole migliorare per davvero e non limitarsi alla comunicazione di miglioramento.

Considerata la cultura prevalente nelle nostre scuole, diminuire le attività per liberare tempo per migliorare, richiede coraggio, richiede una scelta di campo a favore della qualità della didattica e dell’apprendimento.

Questa scelta culturale (rinunciare a “progetti” e ad altri orpelli e lavorare nella prospettiva della riduzione del danno difronte ad adempimenti non eludibili) dovrebbe essere resa esplicita nel Piano di miglioramento e adeguatamente argomentata.

Quanto “costa” l’assunzione di questa prospettiva?

Empiricamente:

  • Per documentazione e altro lavoro individuale (letture, ricerche in rete…): almeno 1 ora la settimana
  • Per attività collettive di piccolo gruppo (riesame, ri-progettazione didattica …): almeno 3 ore al mese
  • Per attività inter gruppi (monitoraggio strategico, riorientamento …): due, tre incontri nel corso dell’anno scolastico.

Ritengo, sulla base delle mie esperienze, che un simile approccio, oltre a migliorare in ultima istanza, gli apprendimenti degli studenti, possa contribuire alla ricostruzione dell’identità professionale degli insegnanti e della loro motivazione ad operare come professionisti efficaci.

 

http://www.giannimarconato.it/2013/03/perche-linsegnante-da-solo-non-migliora-il-proprio-insegnamento/

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