Valutare a scuola ha un significato: quello di dare un riscontro ad ogni studente e studentessa sul suo apprendimento, per apprezzare i risultati conseguiti e per mettere in evidenza le criticità e le aree di miglioramento. Oltre questo scopo è mera, pur necessaria, burocrazia.

Ma, attenzione, la valutazione a scuola assume spesso altri significati e, pertanto:

  • Valutare è controllare
  • Valutare è punire
  • Valutare è omologare
  • Valutare è esercitare un potere

Valutare può essere un atto pedagogico ma può essere anche un atto sociale e politico.

La questione della valutazione e delle sue molteplici interpretazioni e usi si è posta con una certa “violenza” proprio con la didattica a distanza pur per il banale motivo dell’impossibilità dell’insegnante di controllare se lo studente stesse svolgendo il compito assegnato in autonomia o se si facesse aiutare (da appunti, da libri, da suggerimenti).

A prescindere dal motivo per cui per tanti insegnanti la valutazione sia diventata una questione (o un problema?), è importante che lo sia diventato perché valutare non è una pratica così scontata come pare sia e perché porta con sé tante implicazioni anche di ordine etico.

E’ possibile che tante pratiche didattiche (e non poche persone di scuola concordano con questo) siano automatiche e implicite, cioè venga loro attribuito un significato e un valore di cui non si è neppure consapevoli in quanto sono intese e agite senza problematizzarle, dando per scontato ciò che si fa … esattamente come si usa dire, sia l’acqua per il pesce, che è l’ultimo a rendersi conto dell’esistenza dell’acqua …..

… anche se sempre più spesso si usano “griglie” di varia forma e riferimento concettuale per rendere trasparente il voto assegnato.

Il tema di cosa possa significare valutare è all’attenzione di chi a vario titolo si occupa di scuola da tempo ma inizialmente, come ho già detto, il tema si è universalmente imposto con le criticità manifestatesi nella didattica a distanza e, più recentemente (per la scuola primaria), con il Decreto 172 del 4 dicembre 2020.

Nel corso della Didattica a Distanza le maggiori preoccupazioni per la valutazione ho la sensazione siano state manifestate da coloro che (inconsciamente?) la vivano come una funzione di controllo, la agiscano come una forma di potere e come vigilanza stretta per determinare la conformità dell’apprendimento dello studente alla prestazione attesa (ne ho parlato qui). Certamente, con questi presupposti, siamo difronte ad una valutazione impossibile.

Ma, fortunatamente, non è questo lo scopo primo della valutazione, non è il controllo ispettivo lo scopo della valutazione, non è il potere dell’insegnante che va riaffermato attraverso la valutazione.

Il vero senso della valutazione è quello di aiutare lo studente a imparare e si raggiunge questo scopo restituendo feedback su cosa e come si è imparato, riconoscendo e valorizzando gli apprendimenti realizzati, indicando in modo circostanziato e comprensibile dove eventualmente ci siano margini di miglioramento.

Ecco prendere forma la valutazione come ulteriore opportunità di apprendimento, come strumento pedagogico di aiuto: l’insegnante dismette i panni del controllore e del certificatore e veste quelli coach, del tutor, del counsellor; la valutazione da relazione di potere e verticale diventa una relazione diagnostica e orizzontale.

Una simile concettualizzazione di valutazione implica prima di tutto un atteggiamento dell’insegnante orientato in tal senso: l’insegnante si deve SENTIRE in un ruolo di aiuto, deve PERCEPIRE sé stesso al servizio dello studente. L’importanza dell’ESSERE sul FARE.

Questa visione di valutazione si fonda, anche, su alcune idee prettamente pedagogiche che guidano l’azione e che si contrappongono ad altre più consolidate nelle pratiche:

  • La valutazione è prima di tutto un’opportunità di apprendimento (non è uno strumento di classificazione degli studenti)
  • La valutazione è intrinsecamente soggettiva (nessuna valutazione può essere oggettiva)
  • La valutazione pur essendo soggettiva non è necessariamente arbitraria 
  • La valutazione diventa valida e affidabile attraverso la sua trasparenza e la condivisione dei criteri su cui si basa
  • La valutazione è sempre un atto imperfetto
  • La valutazione è un processo indiziario non un processo di misurazione
  • La valutazione si esprime in un giudizio articolato, critico e aperto e non sintetico e definitivo
  • La valutazione è un processo aperto e individualizzato e non standardizzato
  • La valutazione deve stare attenta anche alle manifestazioni generative dell’apprendimento e non solo a quelle riproduttive
  • La valutazione è un processo di corresponsabilità e deve essere distribuito tra tutti i soggetti coinvolti.

L’approccio alla valutazione qui descritto caratterizza anche la nuova normativa della valutazione nella scuola primaria (vedi Decreto n. 172 del 4 dicembre 2020) che sancisce il passaggio dalla valutazione numerica (teoricamente articolabile su 10 livelli) ad una basata su giudizi descrittivi sviluppati su quattro livelli. In quel Decreto è messo bene in evidenza come la valutazione abbia una funzione formativa (anche se, a mio avviso, questa viene intesa in senso passivo – approfondirò in altro post)

Personalmente auspico, per le ragioni che ho espresso in questo post, che questo approccio alla valutazione venga esteso anche alla scuola secondaria di primo e di secondo grado


Integro questo post con una testimonianza di come (spesso? talvolta?) avvengono REALMENTE le valutazioni.

Questo pezzo è di Ermanno Morello, insegnante, che ha pubblicato questo commento in una nostra conversazione. Sono autorizzato alla pubblicazione. Grazie, Ermanno

Rispolvero un post pubblicato qualche anno fa: collage di affermazioni, virgolettabili, ascoltate e raccolte durante i pre-scrutini delle terze  medie dei miei corsi.  Ecco il testo: “Il mio è un 9 abbondante. Per me l’8 gli sta stretto (o è troppo largo, a seconda dei casi). Ma quello di Tizio e quello di Caio non sono gli stessi 10 (o 7, 8, 6 e cos’ via). Ma se diamo 9 a Sempronio allora diamolo anche a Pinco: è questione di giustizia. Se volete dare 7 a Pinco dovete dare 9 a Pallino (anche nella variante: io non voto il 7 a Pinco se non votate il 9 a Pallino). Con tutti i 4 che diventano 6 perché lesinare i 10? beh quello di Rossi  è un 6 vero. Se Bianchi fosse nell’altra terza prenderebbe almeno 8: per essere coerenti come scuola dovremmo darglielo anche noi. Nelle altre scuole in cui sono stato ci sono almeno 3 o 4 10 in ogni classe, anche perché qualcuno (o molti) non viene nemmeno ammesso. In quelle dove sono stato io invece per molti insegnanti il voto massimo è il 9 (o anche l’8, soprattutto nei temi). Ok Pinco esce con 7, ma solo perché gli abbiamo dato il paracadute (intendesi aumento prudenziale del voto di ammissione all’esame, n.d.r.). Se il mio 7 non fosse scarso potrei anche trasformarlo in 8, ma così non riesco, qualcuno ha un 7 abbondante da portare a 8? Dato che va al liceo è meglio dargli 8, visto che il 9 non è aritmetico. Meglio tenerli un po’ più bassi, sennò poi alle superiori… Ma si, diamogliela questa gratificazione dell’8 all’impegno, tanto va al professionale”.

DaD – La valutazione intuitiva


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