Non si programma “per” competenze e neppure si progetta o si insegna “per” competenze.

La preposizione PER associata a “competenze” implica la concettualizzazione della competenza non in quanto modalità, bensì in quanto sostanza, in quanto oggetto dotato di autonomia semantica, e che così intesa, diventa il fine dell’istruzione ponendosi come alternativa a qualcosa che in precedenza rappresentava il contenuto e il fine dell’istruzione: i saperi disciplinari.

La questione appare in realtà più complessa, soprattutto se si assume una prospettiva pedagogica: la competenza (che  è il costrutto mentale che rende possibile la “prestazione competente”) è determinata dall’apprendimento significativo di conoscenze disciplinari che si integrano con altre conoscenze e abilità. La “competenza”, pertanto, non consiste in un’entità originale, ma è la risultante combinatoria di “risorse” di differente natura: conoscenze, abilità cognitive, metacognitive, personali, sociali…

Assumere concettualmente la prospettiva “per” implicherebbe dunque che la didattica finalizzata a sviluppare le competenze sia altro dalla didattica orientata al conseguimento di obiettivi di apprendimento disciplinari o interdisciplinari.

La prospettiva “per” è evocativa di una di rivoluzione copernicana nella didattica, che abbandona un approccio ampiamente elaborato e praticato e che assume una meta ben definita (gli apprendimenti delle discipline con i contenuti, i metodi e le forme di pensiero che le caratterizzano) per un approccio alternativo finalizzato al conseguimento di una meta che tuttavia risulta, dal punto di vista pedagogico e didattico, ambiguamente definita.

A tal proposito vale la pena di ricordare un’affermazione di Dewey (“Le fonti di una scienza dell’educazione”, 1929), con la quale si mette in evidenza come gli apprendimenti a cui conduce la didattica siano sia di tipo esplicito che di tipo implicito, diretti ma anche indiretti. Mentre si insegna intenzionalmente e in modo diretto per sviluppare apprendimenti disciplinari, evidenziabili con il conseguimento nel breve periodo (una lezione, un modulo, un’unità) delle mete di apprendimento note come “obiettivi”, si sviluppano contemporaneamente nel lungo periodo apprendimenti relativi ad abiti mentali, formae mentis, modalità di pensiero, metodi di lavoro, atteggiamenti, valori, che altro non sono che l’effetto cumulativo (non sommativo) e collaterale degli apprendimenti disciplinari e dei loro metodi di insegnamento e di apprendimento secondo lo specifico statuto epistemico dei singoli saperi.

Le mete di lungo periodo sono conseguite nelle didattiche abituali prevalentemente in modo indiretto, cioè non intenzionale, non pianificato e neppure valutato.

Dewey parla di questi come di “apprendimenti collaterali” in quanto, in un orizzonte di tempo ampio si concretizzano

conseguenze oscure e collaterali che si rendono palesi in una maggior estensione di tempo, o con riferimento ad uno sviluppo duraturo

La competenza, per le sue caratteristiche e implicazioni, ha la stessa natura degli apprendimenti collaterali messi in evidenza da Dewey  (il quale, va detto, non ha mai parlato di “competenze”): la competenza è una forma di apprendimento che si sviluppa e si evidenzia nel lungo periodo e collateralmente agli apprendimenti disciplinari.

Assumere didatticamente la prospettiva delle competenze significa, quindi, programmare e lavorare sul piano didattico intenzionalmente, puntando agli effetti nel lungo periodo della didattica quotidiana ancorata alle discipline.

Un curricolo che intenda incorporare nelle sue finalità non solo mete di apprendimenti disciplinari, ma anche di competenza si caratterizza per assumere ad orizzonte valoriale e operativo mete di lungo periodo.

Insegnare nella logica delle competenze non significa, quindi, assumere una prospettiva ALTRA ma una prospettiva LUNGA e lavorare PER LA COMPETENZA

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