Esistono tante forme di apprendimento. Si parla di apprendimento generativo oppure riproduttivo. Meccanico e significativo. Superficiale o profondo.

Credo si possa tranquillamente parlare anche di apprendimento ricco vs. povero.

L’apprendimento, ciò che una persona sa relativamente a qualcosa, per sua stessa natura non è facilmente determinabile, non solo perché esiste una vasta area di implicito (Polanyi parla di “tacito”), o neppure perché le tipologie di conoscenza sono numerose (nella sua celebre Architettura della conoscenza umana, David Jonassen, ne identifica ben nove suddivise in tre domini), ma perché la conoscenza in uno specifico dominio ha natura sistemica, olistica: ogni elemento di conoscenza (sempre che sia isolabile) è intrinsecamente legato ad altri, assume significato solo in riferimento ad altri. Preso da solo, un singolo elemento, non ha valore o ne ha di meno. È solo nel collegamento con altri “pezzi” di conoscenza che il singolo elemento dimostra tutta il proprio valore.

Ecco perché accertare la conoscenza posseduta da una persona indagando per microelementi, come si fa attraverso prove e test strutturati, per poi ricostruire sommativamente il tutto in modo meccanico, si sottostima la conoscenza posseduta o se ne mette in evidenza una sola parte, quella meno pregiata, meno ricca. Si mette in evidenza quella parte standardizzabile e presumibilmente posseduta o possedibile da tutti e si perde molto di quella che posiamo chiamare personale e che, comunque, fa parte della propria conoscenza.

Lo stesso si può dire per l’insegnamento: insegnare per singoli segmenti (gli articoli, una coniugazione, una regola grammaticale, date e personaggi di un periodo storico …) porta, ben che vada, a memorizzare – e per breve tempo – quei segmenti ma non a comprenderne la rilevanza. La didattica delle lingue lo ha capito da tempo.

Quindi, segmentando tanto l’insegnamento che la valutazione, si promuove e si accerta una conoscenza in un dominio che è impoverita tanto qualitativamente che quantitativamente. Si limitano così le potenzialità di apprendimento e si fa un grade torto allo studente quando si accerta quello che conosce e gli si propone di imparare qualcosa.

Un esempio illuminante lo ha raccontato qui: la valutazione standardizzata mette in evidenza solo una parte di ciò che si sa, anche sull’argomento specifico.

Come affrontare la questione? Come promuovere e valorizzare un apprendimento ricco?

Come prima idea, credo si dovrebbe assumere un approccio sistemico, olistico, tanto nell’insegnamento che nella valutazione. Lavorare attraverso attività ampie, articolate, complesse più che su micro attività. Queste ultime possono avere una loro utilità, si caratterizzano come approfondimenti mirati, ma proprio perché trattati nel contesto di un’attività più ampia assumono facilmente un significato. Il significato dell’attività principale trascina anche quello delle attività secondarie.

Per non inventare nulla di nuovo, si potrebbe far riferimento ai COMPITI AUTENTICI, approccio ampiamente concettualizzato e reso operativo (io stesso lo ho sempre utilizzato nella didattica della competenza), un approccio finalizzato a promuovere apprendimento significativo e in cui apprendimento e valutazione sono integrati.

Assumendo il paradigma della didattica olistica o sistemica, passeremo da un apprendimento riproduttivo, meccanico e superficiale ad un apprendimento profondo, significativo e generativo.

Credo che con questo approccio valorizzeremo pienamente l’intelligenza di ogni studente e studentessa e dimostreremo rispetto per la loro singolarità.

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