In una discussione che si è tenuta nei social su un mio post sulla valutazione, una maestra ironizza sulle formulazioni fantasiose e prive di significato che non di rado costituiscono i giudizi descrittivi, tipo questa:

Bravo Pierino, hai svolto correttamente questo compito, devi ripassare quest’altro ma sono sicura che con il tempo ci arriverai e blabalabla ……

La maestra si lamenta anche per il fatto che non sia possibile dare feedback più severi (e veritieri) a fronte di carenze gravi, dovute anche a scarso impegno, perché ….si potrebbe traumatizzare l’alunno nel suo percorso di apprendimento ……

Nella discussione che segue emerge che formulazioni simili sono più frequenti di quanto non si immagini, che sono spesso imposte dal dirigente di turno e promosse attraverso i tanti webinar istituzionali.

Trovo scandaloso questo modo di procedere per tante ragioni, di sostanza e di forma.

Giudizi con quella formulazione non hanno alcun senso didattico, non rappresentano un riscontro e denotano uno scarso rispetto per lo studente.

Un feedback, per essere utile, per essere dato nella logica di supporto all’apprendimento, deve essere dato nell’immediatezza dello svolgimento dell’attività, anche a voce e anche senza essere riportato in alcun documento. Deve essere dato con linguaggio comprensibile a chi è destinatario ed essere veritiero. Se vengono rilevate lacune, queste devono essere messe subito in evidenza in modo che l’alunno sappia dove e come intervenire.

Tacendo, o glissando, sulle carenze non si fa un buon servizio all’alunno perché gli si trasmette un messaggio falsamente incoraggiante, lo si ritiene incapace di sopportare l’eventuale frustrazione di un feedback sgradito, lo si bolla, pur indirettamente, di debolezza.

Atteggiamenti simili non sono incoraggianti ma offensivi per la persona e controproducenti.

Questa non è valutazione “per” l’apprendimento ma buonismo istituzionalizzato; è un segno di debolezza della scuola che non crede nelle sue capacità, che deve giocare con le parole e non con i fatti.

Che, poi, sia il dirigente ad imporre certe formulazioni linguistiche prive di fondamento pedagogico e didattico, la dice lunga sulla sua comprensione della cultura della nuova valutazione, la scambia per indulgenza e gioca la valutazione sul piano del marketing.

INTEGRAZIONE DEL 7 LUGLIO 2022

Nel corso dell’ennesima discussione social sulla valutazione, un insegnante fa questo commento, che riporto per intero perché mette bene in evidenza come venga implementata la nuova valutazione.

Insegno da cinque anni e in questo periodo assisto ad una continua esaltazione dei nuovi sistemi pedagogici che mirano allo sviluppo delle cosiddette competenze, dei criteri docimologici con cui dovremmo accompagnare ogni istante della vita dei discenti (manco fossero delle partite doppie!) e del grande contributo che le TIC dovrebbero dare per fare si che i bambini/ragazzi possano, tutti e senza possibilità di insuccesso (parola/concetto escluso per principio dal vocabolario di un docente) crearsi un proprio percorso del loro sapere in modo autonomo; mentre tutto ciò che è stata la didattica prima di queste teorie e considerata “pessima e sbagliata”. Ora è da qualche decennio che inseguiamo questi “miti didattici”, e i risultati quali sono? La libertà didattica dei docenti come viene rispettata? Quali sono i dati che dimostrano l’efficacia di questo modo di procedere nel scuole? Pensate che nella formulazione dei giudizi descrittivi è stato “suggerito” di non utilizzare parole come, buono, sufficiente, discreto, ottimo perché troppo simili ad un sistema valutativo del passato, mi è stato impedito di poter scrivere che un bambino non ha svolto bene un lavoro perché non possiamo esprime le valutazioni se non in modo “positivo-costruttivo, ovvero non è ammesso l’insuccesso ma solo il successo realizzato programmando gli obiettivi in modo funzionale ad esso. Non so se tutto questo è giusto o sbagliato (francamente penso di no) ma io come insegnanti ho l’obbligo di approvarlo.

Trovo davvero inquietante per quanto è privo di senso il comportamento che viene documentato. In particolare, mi pare demenziale che sia stato “suggerito” di non utilizzare parole come buono, sufficiente, discreto, ottimo PERCHE’ TROPPO SIMILI AD UN SISTEMA VALUTATIVO DEL PASSATO. Si dice, anche, che MI E’ STATO IMPEDITO DI POTER SCRIVERE CHE UN BAMBINO NON HA SVOLTO BENE IL SUO LAVORO perché non possiamo esprimere le valutazioni se non in modo “positivo-costruttivo”. Ovvero non è ammesso l’insuccesso ma solo il successo realizzato programmando gli obiettivi in modo funzionale ad esso.

Queste prescrizioni sono prive fondamento sia sul piano pedagogico che del rispetto della normativa.

Mi domando come si siano insediate nelle scuole queste idee farlocche, chi le abbia proposte, chi le abbia sostenute.

Cosa c’è che non va in quelle espressioni? Cosa c’è che non va nel “sistema valutativo del passato”?

Se il cosiddetto “successo formativo” si persegue abbassando gli standard è una presa in giro dello studente, è un’offesa, non è la valorizzazione della sua identità, è la sua negazione. L’identità sta nella diversità non nell’omologazione.

Se vogliamo migliorare gli apprendimenti, agiamo sulle condizioni di contesto non sulla valutazione.


Altra testimonianza

Io ho una figlia che frequenta la primaria o scuola elementare per capirci, mentre io insegno alle superiori. Quando è arrivata la pagella o non so come si chiami ora, ho trovato questo sistema di valutazione a dir poco mostruoso e avvilente degno di un burocrate con grossi problemi di personalità. Quindi io direi che più che fuori strada, ci siamo capottati più volte.


Ancora un’altra testimonianza dal campo, un esempio chiaro di come a creare problemi siano gli stessi insegnanti, ma insegnanti particolari …

… purtroppo da noi il referente è un dittatore che ha annullato qualsiasi forma di condivisione e discussione, così ubbidiamo, chi male, chi alla lettera e chi ha tanti anni alle spalle galleggia.

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