Mario Ricciardi

Molto interessante l’intervento di Ricciardi che ci offre degli strumenti culturali per comprendere come le scienze umanistiche vedano il tema della tecnologia nella sua pervasività e trasparenza. Questi i concetti ed i correlati riferimenti nel pensiero filosofico, letterario e culturale

  • Le interfacce culturali: L. Manovich Il linguaggio dei nuovi media. “…..In sostanza non ci stiamo più rapportando con un computer, ma con una cultura codificata in forma digitale. Userò il termine interfaccia culturale per descrivere un’interfaccia uomo-computer-cultura, cioè le modalità con cui i computer ci presentano i dati culturali e consentono di interagire con essi.“
  • La rivoluzione inavvertita: E. Eisenstain (The printing press as an agent of change), entra nelle istituzioni e nei comportamenti quotidiani
  • Le tecnologie trasformative: H. Heim; le tecnologie che cambiano gli habits mentali; vedi anche M. Heidegger con il concetto di Sprachmachine, la macchina condizione in anticipo e vincola tutti i possibili usi del linguaggio; la macchina diventa dominante
  • La mente alfabetica: l’alfabeto come tecnologia di base, (E. A. Havelock) Come la nostra mente conosce il mondo
  • Le tecnologie della mente: la domesticazione del pensiero selvaggio (J. Goody) la cultura come atti di comunicazione; la parola tecnologizzata , la scrittura come tecnologia della mente (W J. Ong, 1982, 1977)
  • Bricoleur o ingenieur ? (Claude Levi-Strauss) il primo usa concetti e strumenti anche senza troppa razionalità, il secondo controlla analiticamente il processo
  • Condividere, vuol dire fuoriuscire dalla società fordista (prodotti di massa per consumi di massa). E’ la fine della società dei produttori (e anche dei consumatori)
  • Tecnologia, cultura, cambiamento. Il rapporto tra tecnologia e cultura ha senso solo se attiva un processo di cambiamento. M. Castells The Rise of the Network Society. La rivoluzione tecnologica (attraverso le tecnologie dell’informazione) ridefinisce [reshape; shape = modellare, dare forma] la base materiale della società; La tecnologia è la società; La società è la rete; Per la prima volta nella storia, la mente umana è una diretta forza produttiva.
  • La carica degli outsider: le informazioni prodotte dai singoli superano di gran lunga quelle prodotte dalle major (da: How much information? University of Berkeley, 2003); la produzione individuale, quando considerata globalmente, eccede di molto quella dei professionisti.

Su quest’ultimo tema, tanto caro a noi bloggers, Ricciardi, cercando di spegnere eccessivi entusiasmi sulla “normalità” di comportamenti da 2.0, riporta una indagine di Forrester Research “Social Technographics(aprile 2007), che, nel quadro del web 2.0, identifica 6 tipologie di utenti, catalogandoli in base al tipo di attività svolte in internet nei diversi social media:

  • creators (13%): autori di blog e siti web, caricano e condividono online i propri video;
  • critics (19%): commentano i blog, votano e scrivono recensioni;
  • collectors (15%): utilizzano feed Rss e tag per organizzare le proprie risorse;
  • joiners (19%): utilizzano in termini generali siti di social networking;
  • spectators (33%): si limitano ad una fruizione passiva di UGC;
  • inactives (52%): non utilizzano, neanche passivamente, strumenti e applicazioni del web 2.0.

A rinforzo del concetto, cita anche Hitwise, che, nell’indagine “Measuring Web 2.0 Consumer Participation” (giugno 2007) evidenzia che sono pochi gli utenti che immettono materiale e che il tanto conclamato user generated content non trova riscontri nei fatti per la presenza di tanti fruitori passivi,

  • All’interno del portale YouTube solo lo 0,16% dei visitatori partecipa attivamente alla creazione di contenuti;
  • Solo il 4,6% degli utenti contribuisce alla redazione dell’enciclopedia collettiva Wikipedia
  • Gli utenti che pubblicano le proprie fotografie su Flickr sono lo 0,2%.

In conclusione, a sottolineare i “danni collaterali” (definizione mia) della televisione, Ricciardi cita Umberto Eco che nel suo “Fenomenologia di Mike Buongiorno” evidenzia che …“Quest’uomo deve il suo successo al fatto che in ogni atto e in ogni parola del personaggio cui dà vita davanti alle telecamere traspare una mediocrità assoluta.

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2 pensiero su “CISI 3: Senza frontiere: tecnologie culturali”
  1. Ho due osservazioni da proporre; provo a buttarle giù per poi riferirmici nei commenti a post più recenti di Gianni (Learning villages e/o Pro-loco):

    1) le tipologie di utente web 2.0, identificate in questo post, mi sembra rivelino una classica “resistenza” al cambiamento delle nostre consuete pratiche comunicative interpersonali; usiamo da tempo strumenti basati sulla capacità di comunicazione paritetica tra sistemi eterogenei; mostriamo però di non voler metterci in grado di comunicare alla pari anche socialmente; magari riusciamo a farlo per scopi con fini commerciali o per comunicazioni limitate a “contenuti”, quanto invece agli aspetti “relazionali” della comunicazione non si vedono segni di cambiamento; infatti Beppe Grillo spopola con la denuncia dei difetti del sistema, senza innescare alcun processo collaborativo di miglioramento dello status quo;

    2) quando si parla di “interfacce” culturali, vorrei che fossero anche esemplificate con la visione “interdisciplinare” di una qualche “entità” – più sociale che tecnologica – da percepire magari come processo da avviare e mantenere, a sostegno della comunicazione interpersonale tra persone di una cultura A e persone di una cultura B, tramite il Web; senza essere un esperto di computer science e neppure di sociologia, gli indizi per una tale possibilità credo di averli visti in almeno tre modi:

    A) con una conoscenza anche solo epidermica del modello di riferimento OSI per l’interconnessione di sistemi aperti, basata su sette livelli di servizi e di interfacce, tra l’utente di un sistema e il mezzo fisico di trasmissione delle informazioni, illustrato su Wikipedia mostrando come un’impresa A comunica alla pari (in modo indipendente dai fornitori dei sistemi in uso) con un’impresa B, via email; potrei immaginare che la comunicazione interpersonale debba passare, per poter essere indipendente dal contesto socio-culturale di appartenenza di ciascuno, attraverso interfacce e servizi a livelli tipo … (dall’alto al basso) … Lavorativo, Politico, Culturale, Organizzativo, Funzionale, Tecnico .. ; cosa ne dicono gli esperti? lo escludono? pensano che sia troppo complicato? anche l’OSI sulla carta è complicato .. in pratica però esiste (anche se in una versione nota come TCP/IP) ed è alla base del progressivo evolvere del Web;

    B) con un articolo scritto nel 1993, in cui cerco (sperando allora che qualcuno mi avrebbe dato una mano) di mostrare come la necessità di coinvolgere gli utenti, nella definizione dei profili funzionali necessari a descrivere un ambiente di sistema aperto, non permetta di regolamentare lo sviluppo di un tale ambiente in modo “normativo”

    C) con una casuale lettura della “Pragmatica della comunicazione umana” di Paul Watzlawick, a quanto pare usata come riferimento per indirizzare la necessità di superare gli atteggiamenti (molto umani) di resistenza al cambiamento, in situazioni che lo richiedono urgentemente, come questo
    problem solving strategico nelle organizzazioni

  2. Luigi, ho commentato sul tuo blog. Pur non avendo la tua consapevolezza della problematica, ad intuito mi sento di condividere le tue preoccupazioni e di condividere ancor di più l’approccio da te proposto per il progetto “pro loco”
    Gianni

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