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Un tema che mi sta parecchio a cuore e che spesso scatena le mie ire concettuali è l’abuso che si fa del termine “innovazione” nella didattica.
Tutto che è nuovo, perchè non esisteva prima, è innovativo e, in virtù di questo attributo,gli si attribuisce il potere di cambiare in meglio la scuola italiana. Sic et simpliciter.
Sono troppi i luoghi in questo blog in cui ho trattato la questione per linkarli qui tutti.

A volte sono così feroce contro gli “innovatori” e le “innovazioni” che passo per essere un conservatore. Ma non mi va che si faccia contrabbando d’innovazione, che si depotenzi un concetto tanto importante. Chi si seminino illusioni di diventare “insegnanti migliori” solo perchè si usano le tecnologie, le LIM, i contenuti digitali …
Mi inferocisco soprattutto perchè si illudono gli insegnanti, i più sprovveduti, quelli che vivono con angoscia la loro inadeguatezza al ruolo, quelli che hanno la percezione di far danni con la propria incompetenza e li si illude facendo credere che solo usando una LIM, il Pc e qualche altra diavoleria diventarenno improvvisamente competenti e il loro sentimento di inadeguatezza scomparirà e finiranno di far danni.

Li si illude che non serva impegnarsi a fondo e a lungo per crescere professionalmente e si offrono loro comode scorciatoie non per spirito umanitario, consolatorio, terapeutico ma per far crscere il fatturato della propria azienda. Non ho, quasi, nulla contro chi fa business con la scuola se solo lo facesse senza eccessiva enfasi sul potere miracolistico delle proprie soluzioni ma, chi fa business me lo insegna, non si può vendere qualcosa se si è “tiepidi” con il messaggio commerciale, se si fanno sottili distinzioni, se si mettono tanti se e tanti ma … Per vendere bisogna trasmettere messggi forti, chiari, ottimistici, essere determinati sull’impatto – ovviamente più che positivo – delle proprie proposte. E promettere miracoli, prometttere l’innovazione a basso costo, l’innovazione a bassa fatica, l’innovazione sicura, l’innovazione indipendentemente dalla competenza. E, così, si vendono PC, si vendono applicazioni, si vendono LIM, si vendono Learnig Object, si vendono e-book .. si vende la felicità.

Come i venditori di lozioni per la crescita istantanea dei capelli che decenni fa, mi raccontavano, frequentassero i mercati paesani dove, proprio per la lontananza di questi luoghi dalla città, le persone erano più propense a dar credito agli imbonitori assicurando loro floridi affari.

Questo nuovo, e non certamente ultimo, attacco di ferocia concettuale mi è stato provocato dalla lettura di una, tutto sommato moderata e pacata “lettera aperta” ai referenti ministeriali del progetto Cl@ssi 2.0 da parte di un noto editore scolastico indipendente che si lamenta perchè in quel progetto, pare, non si possano spendere i fondi assegnati per l’acquisto di contenuti digitali da case editrici (il tutto su Facebook)

Spero che questo mio intervento non scateni ancora una volta l’accusa in più occasioni mossami da A. di essere un anti innovazione e spero, anche, che con quanto dirò non mi accusi di voler impedire il libero esercizio di attività imprenditoriale.
Io sono pro-innovazione (ma di quella vera, non di quella contrabbandata come tale) e sono,anche, per il libero e corretto esercizio dell’attività imprenditoriale e riconosco a G, per mia esperienza diretta e per “sentito dire”, l’esercizio di una corretta etica imprenditoriale e di una apprezzata offerta commerciale.
Questa lunga premessa mi è necessaria considerati malintesi precedenti e considerato che quanto dirò credo non farà piacere ad A. autore della “lettera aperta”.
La mia è una riflessione squisitamente metodologica è totalmente indipendente tanto dal progetto Classi 2.0 che dall’offerta economica di G. e riguarda il ruolo dei “contenuti” nella didattica.
Non è questo il luogo di dibattere in tutta la sua estensione sul ruolo dei contenuti nella didattica, per cui mi limito a toccare solo le questioni presenti nella citata lettera aperta.

Non corrisponde al vero l’affermazione di AQ che “… quando in tutta la letteratura specialistica e nei principali convegni internazionali l’espressione “Content is king” e’ quasi diventata uno slogan condiviso e universalmente riconosciuto.”
E‘ vero l’esatto opposto: la gran parte della letteratura cognitiva, pedagogica e didattica di questi ultimi decenni nonchè il messaggio che in gran parte dei convegni internazionali si lancia sono nel segno del superamento di una didattica ancorata ai contenuti.
Certo, una scuola senza contenuti non è una scuola, ma è altrettanto vero che la scuola non è fatta solo di contenuti.

Una scuola di contenuti è la scuola che vorrebbero la Gelmini, il suo ideologo Israel ed il gregge di mansuete pecorelle che si accodano.

Non è vero che se non si acquistano contenuti digitali (CD) o da G. o da altro editore, il progetto citato sia vuoto e si limiti a mero hardware. I CD possono essere recuperati da repository “liberi” di cui il mondo della scuola è ben dotato o, MEGLIO ANCORA, se i CD sono sviluppati dagli studenti con il supporto degli insegnanti. Questo processo di costruzione è la vera innovazione didattica, non il riuso di contenuti liberi (male minore), ne tantomeno il loro acquisto sul libero mercato.

Non è vero che senza CD l’innovazione introdotta dalle tecnologie (progetto Classi 2.0 e Innovascuola) sia monca. L’ “innovazione” molto probabilmente sarà monca ma lo sarà ne per colpa della mancanza di CD, ne per essere focaizzata solo sulle macchine, ma lo sarà perchè si sono elevati a feticcio tanto le macchine che i contenuti (digiltali o non digitali, liberi o proprietari) dimenticando ancora una volta che il vero problema da affrontare è la competenza didattica degli insegnanti, la loro concettualizzazione di apprendimento e di didattica, le loro pratiche didattiche con e senza le tecnologie.

Pensare di innovare la scuola italiana con massiccie iniezioni di tecnologie è o una mistificazione del problema o prova dell’ignoranza di chi decide le strategie dell’innovazione.

Pensare di innovare la scuola a partire dai contenuti e pensare che il massimo dell’innovazione stia nella digitalizzazione dei contenuti, è un approccio che – per decenza e con eufemismo – definisco ancor peggiore.

Tecnologie, contenuti – perchè no, digitali – sono belle cose ma il problema della didattica (e non dico della scuola italiana, circoscrivo) è ben altro.

A precisazione della mia posizione, che su FB è stata commentata attribuendomi il ruolo di difensore della politica ministeriale,  aggiungevo, sempre su FB

….. nessun problema a stare dalla parte dei ministeriali se loro la pensassero come me. Dubito che si tratti di una “convergenza” della mia posizione e quella loro. Secondo il mio orientamento metodologico il processo di costruzione coincide con il processo di apprendimento. Usare cose fatte da altri ha lo stesso significato sia che si tratti di cose regalate da chiunque sia che queste cose siano aquistate.
Credo che il no acquisti ministeriale significhi un invito a ri-usare i materaili presenti nei diversi repositiry allo scopo, credo, di valorizzare i costi già sostenuti.
Quindi 2 no (semplificando, pechè la questione dei contenuti nella didattica è molto complessa e non riconducibile ad un no secco) di segno molto diverso, opposto direi. La coincidenza è solo casuale.
Approfondirò quanto prima la questione “contenuti” (se digitali non fa alcune differenza) nella didattica, il nodo del mio intervento auspicando che quanto detto e dirò non venga letto in chiave anti Garamond o anti altri editori.
Per ragioni (metodologiche) che dirò, i “libri di testo” (strutturati o in piccoli oggetti) dovrebbero esssre co-costruiti da insegnanti ed allievi esaurendo buona parte del proprio “valore” didattico e nella “filiera” dell’apprendimento con la sua produzione. Una volta “prodotto”, il contenuto si può anche buttare.
Fin qui una disquisizione meramente teoretica. Pragmaticamente credo, purtroppo, che il contenuto didattico preconfezionato avrà ancora vita lunga ed il sacrosanto business editoriale non lo vedo, purtroppo -per  una seconda volta – minacciato.

Avevo iniziato questo post con l’intento di dire la mia sul ruolo dei contenuti nella didattica, ma vedo che mi sono dilungato troppo in premesse e chiudo qui con l’impegno di completare il discorso anche perchè l’esplicitazione della posizione mi serve in preparazione di una conversazione che avrò a breve con un gruppo di temerari insegnanti che mi hanno chiamato a discutere con loro ..indovinate di cosa … di contenuti digitali e di Learning Object … Ne vedremo di belle

Postilla (la conversazione su FB continua e così replico)

…… un commento all’affermazione che solo un prodotto editoriale può essere di qualità.
Io questo non lo credo per la semplice ragione che io considero “di qualità” un qualsiasi prodotto, servizio, atteggiamento, comportamento ….. quando è funzionale all’obiettivo per cui è stato agito.
Non considero la qualità una caratteristica definibile sempre a priori. E’ il contesto a fare la qualità. Non esiste la soluzione “migliore” ma quella “adeguata”. La qualità è un fatto contingente, non assoluto. Secondo questa visione non capisco perchè un editore possa essere nella posizione migliore per offrire il prodotto “migliore”.
Una seconda considerazione: il “contenuto” di qualità può ben essere anche un testo digitale e poi stampato o qualcosa di assemblato creativamente e con competenza dal docente a seconda delle sue necessità. Un esempio concreto?

Arringo & Cristina Galizia per raccontare la didattica


E’ il lavoro di un insegnante volenterosa che costruisce i suoi “contenuti” con sapiente mashup pescando dall’immenso repository di risorse didattiche o che si possono far diventare didattiche, che è il web. Cristina, la persona in questione, documenta la propria didattica in modo molto analitico nel blog Arringo http://arringo.blogspot.com/.
La vera questione è che di insegnati come Cristina Galizia ce ne sono pochi e, spazio per gli editori, ce n’è ancora molto

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10 pensiero su “… e daje co st’innovazione”
  1. La mia frase era un espediente retorico … spero lecito

    No Agostino, non ho paragonato simpaticamente te agli imbonitori, ma ho preso di mira la tecnica di comunicazione che il business deve adottare per vendere (enfatizzare, ingigantire, sorvolare sulle criticità, evitare di porre la questione in termini dialettici e problematici….). Sono queste la basi del commercio cui tutti si adeguano. Nulla di male. Ma c’è chi lo sa e chi non lo sa.

    Chi vende fa il proprio mestiere e usa i suoi strumenti. Garamond lo fa come lo fanno tutti (cioè con competenza, etica, onestà)… nulla da dire e nulla da criminalizzare.
    Io faccio un altro mestiere e la mia prospettiva è diversa.

  2. Non so perché ma questa discussione mi pare di averla già fatta… Sarà che anch’io, quando sento parlare di innovazione sic et simpliciter, vedo rosso ma non posso che “quotare” Gianni convintamente.
    Ho letto accuratamente la discussione su FB e anche la lettera che l’ha generata. Ribadisco la mia profonda convinzione che non possa esserci alcuna cura miracolosa ai mali della scuola italiana che non provenga da un convinto “riposizionamento” del docente-in-situazione, ponendolo a fianco del discente invece che di fronte.
    Una metafora che esprime bene i vantaggi di affiancare qualcuno in un percorso nuovo (lo si può sostenere se cade ma si può essere sostenuti a propria volta) rispetto al doverlo “fronteggiare” quotidianamente, osservando i suoi inciampi ben protetti dalla posizione sopraelevata (ve le ricordate le pedane su cui si trovavano le cattedre prima?).
    Un riposizionamento necessario perché il docente non può più permettersi di dare le spalle all’orizzonte, è costretto – nolente o dolente – ad intrecciare il proprio percorso di formazione continua con quello dei propri studenti e che il problema principe della padronanza dei contenuti si è dissolto (ma non è scomparso, attenzione!) in quello ben più ampio della consapevole contestualizzazione degli stessi.
    L’insegnamento/apprendimento è significativo nel momento in cui mi coinvolge in una ricerca di senso che identifica – in quel contesto e in quel momento – come significativi certi contenuti e non altri. E’ la manipolazione consapevole dei contenuti (qualunque essa sia) che mi permette di appropriarmene e di inglobarli nel mio pregresso bagaglio di competenze.
    Se per me (docente) tutto questo ha un significato, utilizzerò bene la LIM, l’e-book, il cartoncino e compagnia cantando. In caso contrario, riuscirò a fare didattica vuotamente trasmissiva anche con gli ologrammi.
    MHO 🙂

  3. .. gli ologrammi …. Questa mi mancava proprio, Maria Grazia. Vedrai che prima o poi, non riscontrando gli sperati miracoli con qualche aggeggio Hw o SW precedente, qualcuno li presenterà decantadone le proprietà virtuose ….
    Che ognuno faccia il proprio mestiere: Agostino (Quadrino-Garamond), Noa (Carpignano- Bibienne) , Mario (Guaraldi)eccc… facciano gli editori e vendano quello che ritengono di vendere …
    Noi, cara Maria Grazia, facciamo un altro mestiere e guardiamo a quanto gli editori ci propongono dal punto di vista di chi quei prodotti dovrebbe usare.
    Qualcuno di noi li riterrà adeguati al proprio stile didattico, alle proprie visioni del senso dell’insegnamento, della loro coerenza con il proprio concetto di apprendimento e li raccomanderà, gli userà eccc…
    Altri no ed esprimeranno le loro ragioni.
    Almeno tu ed io non vediamo al centralità didattica dei “contenuti” neppure se digitalizzati e lo diciamo. Come riteniamo “pericolosa” l’enfasi che si sta dando al potere salvifico della tecnologie (anche se entrambi riteniamo utile utilizzare le tecnologie)
    In parallelo evidenziamo quelli che secondo noi sono i punti di attenzione .. tutto qui

  4. concordo con la vision di Gianni e Maria Grazia.

    c’è ben poco da aggiungere.

    occorre un lavoro concettuale forte per innovare.
    il medium non è neutro, ma se utilizzato seguendo logiche tramontate può diventare pericoloso.

    @maria grazia, a volte davvero è importante anche sedersi al fianco degli alunni per vedere le cose tutte da una prospettiva differente. io lo faccio di tanto in tanto.

    i media, dal libro alla lavagna alla tv al pc, vanno indagati, esplorati, compresi.

    pensa che io guardo il grande fratello per capire dove sta andando la tv!
    e mi serve moltissimo per il mio lavoro!

    Occorre aprire il cervello e fare cultura a partire dalla rete. Niente più contenuti calati in modo autoritario dall’alto, per favore!

  5. Sono molto curioso di leggere le opinioni di Gianni sul ruolo dei contenuti nella didattica.
    Intanto riporto qui alcune considerazioni che ho già scritto nella discussione su FB.
    Mi chiedevo se l’approccio alla co-costruzione dei contenuti da parte dell’insegnante e dei suoi alunni implichi, e in quale misura, la rinuncia a far conseguire ai ragazzi un corpus strutturato e razionale di conoscenze riguardo ai saperi di base e a far sviluppare abilità cognitive alte basandosi su queste conoscenze.
    Forse non servono anche ‘contenuti strutturati’ per far sviluppare queste abilità?
    Se sì, quali altri contenuti se non quelli dei saperi di base?
    Per altre domande, attendo il post come sempre intelligente stimolante di Gianni.

  6. @ Marcello, Un flash ripreso dal mio commento al tuo su FB: io credo che per lo sviluppo di abilità cognitive i “contenuti” non abbiano alcun ruolo dipendendo dai metodi didattici. Quelle abilità non sono, normalmente e nelle situazioni che ho in mente, oggetto di un “insegnamento diretto” ma vengono sviluppate nel contesto di specifiche attività didattiche, le quali, a loro volta, hanno una componente di “contenuto”.
    Sui “saperi di base”: credo vadano ri-determinati alla luce della realtà contemporanea e, soprattutto, futura. La questione che rimane comunque aperta è come “insegnare” questi “saperi di base”. Ed anche per questa questione non credo siano necessari “contenuti strutturati”, almeno non nel senso di cui si parlava (e si litigava)su FP.
    Stimolato anche da questa tua “curiosità” vedrò di esprimere compiutamente il mio pensiero in merito. Grazie per l’attenzione che riservi ai miei lavoretti e per le stimolanti domandi che non manchi mai di pormi e che mi aiutano a precisare il mio stesso pensiero

  7. @Antonio
    cambiare la prospettiva, interrogarsi sull’orizzonte di senso di ciò che si dice e si fa è elemento chiave del nostro lavoro, secondo me. Quando non capiamo i codici usati dall’Altro – scrivevo proprio qualche giorno fa – il nostro disorientamento ci porta a piegare il comportamento dell’altro ai nostri codici interpretativi. E questo non aiuta certo la comprensione 😉

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