Leggo (Repubblica del 12 gennaio) un  interessante contributo di Raffaele Simone (linguista italiano,  uno dei maggiori studiosi europei di linguistica e filosofia del linguaggio e della cultura,  un’intensa attività di saggistica politico-culturale e di organizzazione editoriale. Fonte Wikipedia) sulla (presunta, demagogica, mistificatoria: aggiunte mie) innovazione digitale a scuola.

Cito articolo ed autore per la sintonia tra il suo (alto) ed il mio (modesto) pensiero sulla questione. Il Nostro esordisce senza peli sulla lingua:

Due spettri si aggirano per le scuole italiane: la lavagna interattiva ed i tablet. … Da un po’ di tempo qualcuno ha stabilito che sono il futuro della scuola …appena un ministro si installa, dichiara che i due gadget sono indispensabili.

Allineamento e sudditanza totale con queste affermazioni. Tanto, le faccio da anni, specie per la lim :-).

Simone continua

Quanto alla lavagna interattiva, basta vederla in funzione per capire che è un gadget inutile e fragilissimo. Il suo lavoro non è molto diverso da quello  di una lavagna normale, ……

Cose, anche queste dette qui ed altrove da tempo immemorabile.

Sui tablet:

Il tablet è più insidioso .. ha un appeal a cui è difficile resistere. Inoltre, siccome è  “connesso” , spinge facilmente a credere che apra finestre su un mondo illimitato

… e si domanda

Ma è davvero così?  … il dibattito internazionale su questi temi è molto vivo. Più di un analista dubita della reale utilità di queste risorse a scuola.

Anche qui accordo totale se per “risorse” si intendono le lavagne magiche ed i tablet; non certamente il digitale in senso ampio ed in tutte le sue forme. Mi pare impropria la sua citazione del (titolo del) libro di Carr “Internet rende supidi?” a sostegno della sua idea che si, internet rende sempre e comunque stupidi quando usato a scuola e per scopi di apprendimento. Non è internet che rende stupidi; chi è già stupido di suo lo è anche con Internet.

Condivisibile anche quando parla dell’accettazione acritica nella nostra scuola di modelli e strumenti “modaioli”.

In ritardo su tutti gli aspetti della modernità, la nostra scuola ha sempre mostrato la più candida accoglienza verso mode (tutte, inutile dirlo, di origine statunitense)  che si sono esaurite in un batter d’occhio A ricordarne alcune si entra nella più pumblea archeologia culturale:

  • negli anni sessanta subimmo l’inondazione del mito della misurazione oggettiva delle prestazioni dei ragazzi
  • poi fu la volta degli “obiettivi didattici”, mediocre dottrina che costrinse per anni gli insegnanti a indicare ossessivamente gli “obiettivi” … a cui la loro attività doveva puntare
  • infine, la folle sbronza dell'”istruzione programmata”: in attesa del computer si progettavano noiosi fascicoli che ne scimiottavano la logica.

Condivido la valutazione di “mode” accolte senza alcuna riflessione ed atteggiamento critico di questi approcci metodologici e ne rigetto il significato ed il valore, ma vorrei ricordare all’illustre autore che “misuarzione oggettiva” e “obiettivi didattici” ancora imperano nelle nostre scuole e che la “istruzione programmata” si è attualizzata sotto forma di tanti usi didattici dellle tecnologie (= tecnologie che insegnano agli studenti), in tanti approcci al così detto e-learning, nei courseware, nei learning object. Tutto in vigore, caro Simone. Purtroppo.

Giusto, caro Simone, evidenziare che:

Ognuna di quelle ondate generò corsi di aggiornamento, investimenti e carta straccia, senza dire del subbuglio che produsse nei professionisti e nelle famiglie.

Insomma, solo occasioni di business,  poco cambiamento reale e duraturo, nessuna vera innovazione, quella ad impatto sull’apprendimento. La scuola ha continuato, e continua, a produrre poco apprendimento. Per fortuna che noi esseri umani in tante occasioni siamo capaci di imparare anche senza insegnamento  (o nonostante l’insegnamento) come siamom in grado di guarire anche senza medici e medicine (qui si aprirebbe  un capitolo dal titolo: “Allora, a che serve la scuola? A che servono gli insegnanti?” Svilupperemo questo capitolo altrove; per ora dico che scuola ed insegnan ti servono; eccome che servono).

Quale vero problema pone Raffaele Simone?

L’aperura senza riserve a tablet e lavagne interattive (qualcuno studia anche applicazioni educative per telefonino…) corre il rischio di essere un nuovo capitolo di questa storia di sudditanza.

E, aggiungo io, un’ulteriore occasione mancata per innovare e per rendere maggiormente efficace la scuola.

Interessanti le sollecitazioni con cui si conclude l’intervento, riconducibili sostanzialmente a:

  • importanza della cultura digitale, ben oltre le  mode precedenti
  • tardiva attenzione da parte dei “responsabili” verso il fenomeno digitale
  • cultura dell’accodarsi non consapevole nelle pratiche di digitalizzazione
  • necessità di comprendere bene il significato dell’introduzione massiccia della cultura digitale nella scuola

Concludendo, non mi sento di condividere minimamente la  sua preoccupazione per la relazione tra digitale ed attenzione:

… la cultura digitale è uno dei più terribili moventi di interruzione della concentrazione che si siano mai presentati nella storia, e si sa quanto la concentrazione sia cruciale nell’apprendimento.

No, non sono dell’avviso che il digitale distragga. Il digitale sta generando nuove forme di “attenzione”: una attenzione fluida, a macchie, a balzi ma che in parallelo genera la capacità di mettere assieme i diversi pezzi facendoli percepire cone un’entità unica, omogenea. Una omogeneità ricostruita cognitivamente. Qualcosa di simile a quanto avviene nel sistema visivo (occhio + mente) per la percezione della forma quando il cervello assicura continuità ad eventi che l’occhio rileva come elementi separati. Certe forme di  movimento, il completamento di figure …. Una forma nascente di “attenzione digitale” (vedi le concettualizzazioni di “intelligenza digitale” di Batro e Denham)? Solo una mia idea, da approfondire oltre un’intuizione grezza.

PS

Leggo un contributo critico verso il citato articolo: “Gli spettri di Simone” di Maurizio Tirittico (in http://www.scuolaoggi.org/archivio/gli_spettri_di_simone). Credo che Trittico abbia letto quello che ha voluto nello scritto di Simone, scritto che ha il pregio di aver dato uno sguardo non superficiale ed acritico agli usi delle tecnologie  a scuola. Condividio quanto Trittico afferma a proposito di Simone: nel suo contributo mancano le proposte di usi “intelligenti” delle tecnologie, proposte che dal suo punto di osservazione potrebbe autrevolmente fare.

—–

Link all’articolo: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/01/12/se-scuola-internet-rende-stupidi.html

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17 pensiero su “Internet rendi stupidi … coloro che stupidi già sono”
  1. Sto leggendo il post e arrivo ad una citazione (Ognuna di quelle ondate generò corsi di aggiornamento, investimenti e carta straccia, senza dire del subbuglio che produsse nei professionisti e nelle famiglie) che mi sorprende; mi urge perciò un’irruzione o meglio una battuta che non posso reprimere: caro Raffaele Simone, sei una “vecchia conoscenza” della sottoscritta, prof di lettere, al tempo dei tempi, lessi lei, Simone, accostai i suoi scritti linguistici e grammaticali che ho ancora negli scaffali alti… (un tantino ostici e involuti, ma pazienza), seguii corsi di aggiornamento anche quelli ispirati al Simone-dettato ma di che stiamo parlando? A me pare che stiamo buttando via il bambino insieme all’acqua sporca. No? Ma-per-favore perché bollare un periodo certamente pieno di subbugli, ma anche fervido e attivo, pieno di passione? Preferiamo il passato remoto? Preferiamo l’attuale miur? per favore no.
    Mi prendo una pausa, poi finirò di leggere; con calma…

  2. Condivido in linea generale questo commento sobrio di Gianni. Non si tratta di rigettare tout court la presunta arretratezza di Simone, ma di prendere punto per punto, entrare nel merito ed eventualmente dimostrare il contrario. E già…perché fin qui, e non possiamo negarlo, i progetti di innovazione tecnologica della scuola assomigliano più a dei deserti culturali che a dei laboratori avveniristici di intelligenza creativa. Ci vorrebbero indagini serie di taglio storico per fare il punto su com’è andata e su cosa è andato storto. Questo per progettare un futuro migliore. Eppure, senza aver fatto bene i conti col passato, ci lanciamo nel futuro tecnologico, “magnifico e progressivo”. Scriveva Gramsci: “L’illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva; la storia insegna, ma non ha scolari. (da Italia e Spagna, L’Ordine Nuovo, 11 marzo 1921, anno I, n. 70)”.
    Oltre alla storia, c’è la ricerca empirica, che ahimé – dati alla mano – ci dice che in 40 anni di uso di ICT nella didattica non si rilevano significativi miglioramenti delle performance d’apprendimento (il famoso “valore aggiunto” delle tecnologie nella didattica), ma nemmeno peggioramenti, in linea di massima…il ché conferma la tesi Gianni secondo cui Internet rende stupidi…solo coloro che già stupidi sono.
    Detto ciò, ci sono per me – e qui anch’io dissento dalla drastica chiusura di Simone – varie ragioni per occuparsi di tecnologie nella scuola. Ne cito un paio che mi stanno a cuore da sempre: 1) la conoscenza e il padroneggiamento delle tecnologie oggi è cruciale per non perdere il controllo dei mezzi di produzione, diciamo così: sarebbe fantastico se la scuola fosse in grado di alimentare tra i giovani l’aspirazione conoscitiva ed etica di produrre collettivamente software open a free; 2) la formazione critica all’uso consapevole e attivo dei media digitali, anche questa mi sembra una componente fondamentale della formazione di un cittadino del XXI secolo. Caro prof. Simone, ne vogliamo parlare?
    Su questi temi (ricerche storiche ed empiriche sulle ICT nella scuola e nella didattica e piste di lavoro per il futuro) mi sono soffermata in un mio lavoro che mi permetto di segnalare, sperando di contribuire ad arricchire il dibattito, senza chiusure pregiudiziali: Le insidie dell’ovvio. Tecnologie educative e critica della retorica tecnocentrica, ETS, Pisa 2011.

  3. Mi guadagno la pagnotta in mezzo ai computer e solo marito di insegnante. Concordo con le considerazioni riportate nel post. Vorrei solo suggerire di leggersi qualche articolo di Marc Prensky (linventore del termine Nativi Digitali). Sono idee un po’ “americane” ma non per questo meno interessanti. Per esempio invece di vietare i telefonini, perche’ non trasformare gli allievi in fotoreporter? Mi piacerebbe molto avere un parere da chi conosce piu’ approfonditamente la realta’ scolastica nostrana.
    Fra le considerazioni di Marc mi ha colpito quando dice “insegnamo ai nostri studenti la differenza fra cercare e fare ricerca?” Gia’, se no ci si ferma all’ostracismo per Wikipedia. Insomma, mi sembra che tanti insegnanti abdichino alla loro funzione di fronte alla tecnologia: meglio seguire le mode o vietare invece di guidare e capire.
    Grazie per l’attenzione!

  4. Mariaserena, magari sarai già arrivata al termine della lettura e qualche altra idea ti sarà venuta, ma arrivare al punto di dire che il Ministero della PI di ieri (ai tempi in cui Simone ti erudiva di Italiano, con eccellenti risultati, a quanto pare) era meglio del MIUR di oggi, ci restituisce tutta la misura dei mala tempora che corrono! Sulla questione che ha attivato la tua riflessione, ne facciom pure io una. Simone parla di colonizzazione pedagogica dagli USA. A ben pensare c’è poco, per non dire nulla, nella pedagogia e nella didattica cui si fa riferimento oggi in Italia che non sia di importazione (adottata più o meno criticamente e riflessivamente); i pedagogisti nostrani non producono nulla di significativo, nulla che incida in modo significativo nelle pratiche didattiche. Tempo fa avevo parlato di “insegnante scienziato (http://www.giannimarconato.it/2011/03/linsegnante-scienziato/) a segnalare il fatto che chi produce nuova conoscenza che innova le pratiche didattiche non sono di certo gli accademici, ma chi insegna, sperimenta, riflette sulle proprie pratiche …. mala tempora .. anche su questo versante

  5. Maria, mi fa piacere la tua segnalazione del deserto dell’innovazione! Purtroppo, tanti dirigenti, tanti insegnanti, credono di avere rivoluzionato la scuola. E’questa illusione di innovazione che ingessa ancor di più le stanche, desuete, ripetitive pratiche didattiche.
    Certo che vale la pena di occuparci costruttivamente di tecnologie didattiche. Anzi, siamo obbligati a farlo, pena una denuncia al tribunale contro i crimini all’umanità 🙂 (cosa già detta qui http://www.giannimarconato.it/2011/12/il-digitale-e-un-dovere-anche-a-scuola/). Lo sai che non ho ancora comperato il tuo libro? Ritardo imperdonabile corro ad ordinarlo subito.

  6. Sì Gianni, ho letto tutto e sto rimuginando. Non per puntualizzare, chè a poco servirebbe, (e forse non mi sono espressa bene) ma più che riferirmi ai ministri miur (http://it.wikipedia.org/wiki/Elenco_dei_ministri_della_Pubblica_Istruzione_della_Repubblica_Italiana)
    pensavo al clima culturale di anni in cui abbiamo certamente “fatto danni”(e ancora ne facciamo), ma ci si poneva qualche problema. Abbiamo avuto aspettative che non esito ad ammettere sono in gran parte naufragate. Ma oggi cosa abbiamo?
    Non sono pessimista, qualcosa c’è: forse dovremmo mettere insieme davvero, come tu spesso ricorsi, “il buono che c’è nella scuola”; ma questo buono ha bisogno di coraggio e gusto del rischio. In quello noi abbiamo abbondato. Forse una mediazione tra consapevolezza + senso del limite e gusto + coraggio di rischiare?
    Altrimenti continueremo ad imitare, a subire critiche e a leccarci le ferite. Raffaele Simone è un insigne studioso che rispetto; ma vado sul suo Blog http://raffaelesimone.blogspot.com/ e vedo che scrive in inglese. Ecco perchè rimugino 🙂
    Avrà ottime ragioni.

  7. Mario, sui tanti insegnanti che abdicano, terrorizzati, di fronte alla tecnologia (ma anche genitori, dirigenti scolastici, genitori …) tocchi un nervo scoperto. Ciao

  8. Gianni non credo ti sfuggano le tante testimonianze (anche in rete) di bravi insegnanti che non solo fanno il loro lavoro, ma trovano chiavi preziose per dialogare coi loro (che sono anche nostri) ragazzi. Persone belle, persone pulite che se la rischiano ogni giorno, perché sappiamo bene che oggi insegnare è un mestiere sempre più difficile. A fronte di questo impegno intelligente cosa troviamo? Critiche petulanti, atteggiamenti snobistici, giudizi superficiali di tanti: dai politici ai media alla cosiddetta “utenza” che comunque non sempre manca di riconoscenza e a volte ci apprezza non poco. Adesso ci si mettono anche gli esperti universitari (e non mi riferisco a R.Simone, mi riferisco a varie voci da quelle dei rettori delle Università, ai Bocconiani, ai confindustriali) che svalutano l’aggiornamento professionale.
    Simone parla di carte inutili, di cartacce; e ci va leggero perchè si sentono cose ben più pesanti. Tra poco ci diranno che l’insegnante deve fare non solo uno stage aziendale (ma che c… c’entra l’azienda con l’insegnamento?? tolte ovviamente le materie strettamente tecniche) ma deve fare per sei mesi il bagnino, il tassista e l’agricoltore. Ottime professioni, ma … che c’azzeccherebbe? perchè si deprezza l’aggiornamento professionale serio (e non i soliti corsi di “agenzie” pinco-pallino), se non per risparmiare sulla formazione e per mettere i docenti , frustrati, all’angolo?
    Sanno bene che frequentarsi, scambiarsi idee, seguire insieme un dibattito, progettare seriamente percorsi ecc cementa i docenti e restituisce autostima; sanno bene che sparpagliarli significa indebolirli.
    E infatti ci sono tanti eccellenti docenti demotivati. Che peccato!
    Allo stesso modo (e qui faccio l’antipatica, ma …) ci sono mediocri personaggi rampanti. E qui mi taccio.
    Per questo non mi stupisco se quando si tenta di incoraggiare gli insegnanti ad esprimersi si trovino delle resistenze. Mi scuso se sono andata lunga. Ma veder trattar male la scuola.. mi fa star male … 🙂

  9. Sono d’accordo con la tua analisi, Gianni.
    Sempre su “La Repubblica”, un articolo ben più interessante intitolato “Le chiavi del futuro” è apparso domenica 15 gennaio, a firma di Miguel Gotor. Cito in ordine sparso (leggermente rielaborati) gli spunti più interessanti che potrebbero ispirare il nostro lavoro di docenti e che sono chiaramente collegati alle innovazioni. Questi sì che sono appassionanti – altro che il dibattito LIM-non LIM!
    Il nuovo “peso cognitivo”, ovvero la necessità di imparare a controllare e filtrare il crescente flusso delle informazioni (Nicholas Carr, Jaron Lanier, Hans Ulrich Obrist)… La visione del mondo come un bellissimo e complesso sistema di intelligenze che si intersecano (Brian Eno… sì, il musicista…) La maggior consapevolezza dei diversi punti di vista (Howard Gardner)… La “virtù del fallimento”, ovvero l’importanza di condividere informazioni su ciò che NON ha funzionato (Kevin Kelly).
    Inoltre dice bene Maria Ranieri, poco più su: noi docenti abbiamo il DOVERE di dare ai ragazzi gli strumenti critici necessari a usare in modo consapevole e attivo i media digitali.
    Per finire, credo che le innovazioni renderanno sempre più importante il concetto di “rete”; un concetto di cui comprenderemo meglio le fantastiche implicazioni fra anni e anni, credo.

  10. Una considerazione che forse si trascura e che non dovrebbe trovarci con la guardia alzata è quella che Lucia Bartolotti ben mette in rilievo quando dice: – “rete”; un concetto di cui comprenderemo meglio le fantastiche implicazioni fra anni e anni, credo.-
    Direi che è un punto di partenza (finalmente); gli insegnanti impegnati sul campo vedono “anche” lontano, infatti il “fantastico” di questo tipo è un mondo in cui forse è meglio non ci si avventuri con pregiudizio, nè in modo rassegnato.

  11. […] Il digitale sta generando nuove forme di “attenzione”: una attenzione fluida, a macchie, a balzi ma che in parallelo genera la capacità di mettere assieme i diversi pezzi facendoli percepire cone un’entità unica, omogenea. Una omogeneità ricostruita cognitivamente. Qualcosa di simile a quanto avviene nel sistema visivo (occhio + mente) per la percezione della forma quando il cervello assicura continuità ad eventi che l’occhio rileva come elementi separati. Certe forme di  movimento, il completamento di figure …. Una forma nascente di “attenzione digitale” (vedi le concettualizzazioni di “intelligenza digitale” di Batro e Denham)Commento di Gianni Marconato […]

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