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Il mio intervento al convegno Erickson dove ho cercato di contestualizzare l’uso delle tecnologie (un dovere per la scuola), nell’ambito dei cambiamenti in cui la scuola è immersa. Cambiamenti che vedono il digitale tra i meno temibili.
Cito il sociologo dell’educazione francese Francois Dubet
La scuola sta dentro la modernizzazione che esalta l’individualismo e utilitarismo
Fondamentali altri spunti di Dubet
- A scuola non entrano studenti, ma giovani
- A scuola entrano nuovi giovani
- Si ha la trasformazione delle vecchie regole scolastiche
- Il giovane rifiuta le costrizioni scolastiche
- Ripiega su una cultura giovanile ostile alla scuola
- Cultura giovanile come difesa verso le frustrazioni scolastiche
- Distanza tra cultura dei giovani e cultura scolastica
- Impegno e motivazione non più dati acquisiti
- Per lo studente non più adesione ad un ruolo dato ma costruzione della propria esperienza
- Individuo artefice della propria educazione
Che conclude
I tradizionali modelli pedagogici adatti solo ad una minoranza
Da tutto questo, e non solo, si deve essere consapevoli del fatto che
Il principale problema degli insegnanti è motivare e coinvolgere gli studenti
In questo quadro, propongo le tecnologie per
- Favorire l’attribuzione di significato
- Il potenziamento cognitivo
Nel modello concettuale che propongo, ancorato all’apprendimento significativo, identifico queste funzioni delle tecnologie
- Ancorare la didattica a compiti autentici
- Assegnare un ruolo attivo allo studente
- Rendere possibile la collaborazione tra studenti
- Connettere la scuola e la società
Molto interessante.
Due cose mi colpiscono subito:
a)la parola “insegnante/i” ricorre una sola volta e per sottolineare la questione “motivazione”
Siamo di fronte ad una problematica non nuova ma, evidentemente, mai risolta mentre è fondamentale.
La soluzione richiede interventi istituzionali o potrebbe essere affrontata anche dal singolo insegnate? Secondo me non è impossibile la seconda ipotesi.
Chiedo: cosa ne pensi?
b)la parola “cultura” è prevalentemente abbinata a “giovani/giovanile”. Il solco si è approfondito. Le tecnologie, mi par di capire, potrebbero essere un ponte o strumento per coinvolgere. Condivido. Non l’unico, ma certo potrebbe aiutare a avvicinare e a diminuire il tasso di ostilità (che poi, a volte, è reciproco tra giovani e scuola)
MS, fammi chiare meglio la questione “motivazione” che, in questo contesto, non ho presentato adeguatamente. La vera questione è che, come anche Dubet sostiene, ma lo verifichiamo anche noi tutti i giorni quando stiamo in aula, i giovani d’oggi vgliono dare un senso a quello che fanno a scuola, a ciò che gli insegnanti propongono, a ciò che “devono” studiare. Minore è il significato che riescono ad attribuire a ciò che avviene a scuola, minore è la loro volontà ad impegnarsi cognitivamente e nimore sarà l’apprendimento che realizzeranno.
E così faranno tanta ma tanta fatica a “studiare”, compiranno sforzi enormi ma otterranno risultati minimi. Nel migliore dei casi memorizzeranno e ripeteranno papagallescamente ciò che l’insegnante o il libro di testo ha detto loro (“rigurgiteranno presochè intatto quanto l’insegnante ha detto loro” cit.). Ripeteranno ma non avranno compreso l’oggetto didiattico proposto. Ripeteranno e domenticheranno. Quando andrà bene, svilupperanno una comprensione superficiale del dominio di conoscenza. Non avranno alcuna capacità di usare quanto avranno appreso in questo modo.
Sarà fatica sperecata da parte dell’insegnante e dello studente.
Queste dinamiche non sono per niente nuove e stanno attraversando il mondo della didattica da sempre.
Ciò che rende particolarmente drammatico questo stato di cose è il fatto che le nuove genarazioni sono sempre meno disposte a fare fatica per nulla, soprattutto a scuola, ed il loro rifiuto si manifesta in modo proporzionale all’assenza di significato che ciò che si a scuola ha.
Ecco, secondo me, una delle principali ragioni del disagio a scuola tanto di insegnanti che di studenti.
Si, disagio anche degli insegnanti perchè a nessuno piace vedere il proprio lavoro, la proria fatica produrre così scarso risultato.
Sulla questione vedo solo soluzioni a livello di singolo insegnante.
MS, con questa tua sollecitazione mi hai fatto venire la voglia di approfondire la riflessione. Adesso faccio un salto nelle piste di sci e nel pomeriggio ne faccio un post.
In tutto questo, le tecnologie non sono altro che uno dei tanti strumenti che l’insegnante ha a sua disposizione per affrontare la questione. Dico “strumenti” perchè non sono le tecnologie a fare la differenza, ma la didattica dell’insegnante.
Bene Gianni, grazie e sono lieta di aver ispirato 🙂 collaboro sempre volentieri con la tua tensione verso la scrittura di nuovi post.
Mentre le piste luminose e veloci ti motivano alla gioia di una giornata magnifica rispondo che anche io penso che “Sulla questione vedo solo soluzioni a livello di singolo insegnante.”
Ma anche io devo spiegar meglio il perché delle mie deduzioni (casomai potessero esser utili) che nascono dalla mia personale riflessione sulla pratica didattica. Naturalmente mi è capitato, anche recentemente, di riscontrarle e confrontarle anche con altri insegnanti.
La pratica didattica, mia e di altri (non tutti e questo va detto) docenti dimostra che le motivazioni:
A) potrebbero essere assai più efficaci se individuate e coltivate dall’equipe degli insegnanti che si confronta con la realtà-classe. Non parlo di consiglio di classe perché restringerei il campo, o lo allargherei: non tutti sono disponibili a questa attenzione.
A1) Ma non sempre si riesce a fare un lavoro collettivo; per questo è inevitabile orientarsi verso soluzioni a livello del singolo insegnante, a sua volta motivato a perseguire la sua mission
Probabilmente ci sono anche altri motivi, ma su questo aspetto il tuo post
B) Non penso siano credibili motivazioni valide al 100% per qualsiasi gruppo classe, scuola, disciplina.
C)Individuare le motivazioni è un obbiettivo necessariamente flessibile e adattabile: una specie di opera aperta:
1) anno per anno per ogni diversa classe
2) giorno per giorno quando si entra in classe
3) personalizzata per gli alunni che hanno bisogno/diritto di essere resi partecipi del lavoro della classe.
Un lavoraccio? Beh nessuno ha mai detto che insegnare sia facile… Ma se vogliamo ottenere un livello di considerazione più gratificante dovremo farcene una ragione.
Le tecnologie possono essere un terreno di dialogo e costruzione coi nostri studenti; non saranno la soluzione, ma strumento sì.
Ho inserito il link di questo post nella discussione “Cambiare subito è possibile?” aperta ne La scuola che funziona.
http://www.lascuolachefunziona.it/group/unascuolaperilfuturo/forum/topics/cambiare-subito-e-possibile?xg_source=activity
nn so se e quanto interessi, ma mi sento estremamente in sintonia con queste considerazioni. Inclusa quella che la sciata è il miglior catalizzatore delle risposte ai post 😉
Mi trovo in leggero disaccordo solo sulla frase
”
Sulla questione vedo solo soluzioni a livello di singolo insegnante.
”
Non sono d’accordo. Perchè nn immaginare un mondo ideale dove la soluzione alla motivazione dell’insegnante NON è individuale. Ma esistono sistemi e opportunità offerte dalla società per gratificare professionalmente l’insegnante. Si realizzerebbe così anche il raggiungimento di uno degli obbiettivi giiustamente indicati nella presentazione come principale e cioè
”
Connettere la scuola e la società
”
A me nn sembra fantascienza. Affatto. Pensiamo a un insegnante di scienze, al problema del suo aggiornamento e dell’ambiente che dovrebbe essere uno dei suoi riferimenti principale (un dipartimento universitario di una facoltà). Perchè nn pensare a forme di collaborazione Insegnante-ricercatore, basate su un modello preciso.
L’uno spiega la ricerca all’altro. Mentre l’insegnante lo aiuta a tradurre la sua ricerca in materiali e prodotti didattici
..avrei parecchie cose da dire sull’ argomento, ma mi autocensuro e la chiudo lì !!
ciao e grazie cmq
matteo
Matteo mi intrufolo e rispondo per la mia parte… è troppo interessante questo argomento per poter tacere. Tu dici “Perché nn immaginare un mondo ideale dove la soluzione alla motivazione dell’insegnante NON è individuale.”
Io lo immagino, lo vorrei e lo spero.
Tra insegnanti non è semplice.
Ma la connessione con il mondo della ricerca, del lavoro, dell’esperienza quotidiana credo sia una importante via di uscita da esplorare.
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In campo della didattica scientifica esistono già pratiche di convivenza insegnanti-ricercatori. Fatte all’estero ma anche (qualcosa, molto piccolo) anche in Italia.
Ci sono indicazioni precise e documentate che la cosa può funzionare.
Ma sembra a volte un tema marginale, Invece a me sembra una questione centrale che fa capo all’aggiornamento, la motivazione degli insegnanti, il merito, un tentativo concreto di riallacciare la scuola alla società e alla realtà…mah!