Kentaro

Anche un pessimo e per nulla condivisibile contributo può essere utile a cercare di fare nuovamente chiarezza sul senso delle tecnologie a scuola (*). Di certo l’articolo “Non esistono scorciatoie tecnologiche per l’istruzione di buon livello” può essere ascritto alla categoria delle critiche radicali all’uso didattico delle tecnologie, ma, purtroppo, le argomentazioni che porta a sostegno della propria tesi sono proprio quelle che, ancora “purtroppo”, hanno alimentato in questi anni il vasto repertorio della retorica delle tecnologie. Hanno alimentato questa dannosa retorica (ed ancora la alimentano) politici in vena di “innovazione” a poco prezzo, commercianti di tecnologie e loro derivati, “esperti” prezzolati per sostenere “scientificamente” le pretese di questi ma anche insegnanti tanto tecno-entusiasti quanto poco riflessivi; tutte persone capaci . in cattiva o in buona fede, solo di pensieri semplicistici.

La sintesi dell’articolo in questione è ben formulata dall’autore stesso: 

Ho finora affermato che storicamente i risultati dell’uso della tecnologia nel campo educativo sono scarsi; che di solito l’impatto dei computer nelle scuole non è positivo (con le rare eccezioni delle scuole “buone” e “ricche”); che l’informatica non è mai all’altezza del suo costo e che l’istruzione di qualità non richiede la tecnologia informatica.

Purtroppo, queste conclusioni sono derivate dall’analisi di casi in cui alle tecnologie viene assegnato un ruolo improprio (risolvere tutt i problemi delle scuole), casi in cui alle stesse vengono associate aspettative miracolistiche (ottimi risultati in poco tempo, con investimenti limitati e con la buona volontà degli insegnanti)  e  con approcci didattici “primitivi” (la tecnologia che sostituisce l’insegnante).

Nel suo articolo Kentaro Toyama (Toyama, chi?) fa alcune affermazioni più che condivisibili, ma sono in completo disaccordo con le sue conclusioni perchè basate sui (non) risultati di usi delle tecnologie e di loro concettualizzazioni che ho sempre criticato. Queste le affermazioni/conclusioni cui l’autore perviene e su cui è difficile non essere d’accordo:

Non esistono scorciatoie tecnologiche per l’istruzione di buon livello … gli sforzi per migliorare l’istruzione dovrebbero focalizzarsi quasi esclusivamente su insegnanti migliori e gestioni economiche più efficaci ….  La tecnologia, al suo meglio, riesce solo ad amplificare la capacità pedagogica dei sistemi educativi. Rende migliori le scuole di qualità, ma peggiora quelle di bassa qualità (ndr: rende migliori i docenti migliori e non aiuta per niente quelli privi di senso della didattica) …. il fattore novità del portatile ha cominciato rapidamente a svanire, provocando un uso sempre più limitato delle apparecchiature col passare delle settimane….Senza le basi istituzionali, l’impatto tecnologico è zero o negativo. Ciò dovrebbe servire ad eliminare la convinzione che la tecnologia sia la soluzione ai problemi di classi con basse performance.

I casi di insuccesso presi a pretesto per la conclusione di cui sopra presentano una o più di queste caratteristiche:

  • Attese miracolistiche dall’uso delle tecnologie: basta usare le tecnologie e si avranno subito risultati eccellenti;
  • L’uso delle tecnologie porta a rapidi miglioramenti delle performance degli studenti;
  • Le tecnologie non sono un costo o sono un costo facilmente sostenibile;
  • Basta la buona volontà di qualche insegnante e le cose cambieranno subito ed in meglio;

Credo valga la pena mettere in evidenza alcune questioni su cui si sofferma Kentaro.

La prima riguarda la dimensione della “motivazione” come chiave di volta di una didattica efficace:

Le scuole mediocri (NDR. aggiungerei anche gli insegnanti mediocri) non sanno guidare la motivazione dello studente verso mete educative. Poiché la tecnologia stessa richiede di motivazione per accrescere i propri benefici, ogni scuola incapace di creare e mantenere la motivazione dei propri studenti, non ne sarà capace nemmeno facendo uso della tecnologia o, che è peggio, permetterà alla tecnologia di distrarre gli studenti.

E’ del tutto evidente che solo usi approssimativi e didatticamente non fondati portano la tecnologia ed essere una vera e propria distrazione. Cose viste e stra viste. Inutile ribadire che la tecnologia non motiva: sono le strategie didattiche che possono favorire la motivazione o, meglio, l’attribuzione di significato agli oggetti dell’insegnamento.

Opportuno, anche, il richiamo ai costi della tecnologia:

… Sebbene cifre come queste dimostrino il contrario, i fornitori di tecnologia alimentano idee errate sul costo della tecnologia

Altro cavallo di battaglia del Nostro è la maggior efficacia di tecniche didattiche non tecnologiche, tecniche, oltretutto, a basso costo:

Per ciò che riguarda un insegnamento di qualità migliore, il docente Doug Lemov enumera una serie di tecniche nel suo libro Insegna come un campione….. La maggior parte delle tecniche sono concettualmente semplici ma hanno un impatto notevole sull’effetto della didattica in classe.  …. Queste tecniche non richiedono tecnologie aggiuntive e possono facilmente essere incorporate nei normali programmi di tirocinio degli insegnanti ad un costo veramente irrisorio.

E’ certamente vero che si è sempre fatto e che si può continuare a fare didattica efficace anche senza le tecnologie. La vera questione è quando le tecnologie possono essere d’aiuto per rendere più efficiente e più efficace la didattica: in quali contesti, con quali studenti, con quali problemi di didattica, per quali obiettivi di apprendimento, per quali contenuti…. Detto in breve, secondo me le tecnologie sono di grande aiuto quando si intenda adottare una didattica laboratoriale (premesso che ogni insegnante decide se questo approccio ha per lui senso e quando lo ha).

Un ragionamento del Kentaro mi pare, però, decisamente fuorviante se non fosse che ha solidi fondamenti in non poche pratiche reali e nei loro presupposti:

….. La prima interpretazione suggerisce che la tecnologia curi alcune malattie dell’istruzione. Ma ciò è quello che non accade – le evidenze prevalenti dimostrano che la tecnologia non cura i sistemi educativi che non sono in salute; essa aumenta soltanto lo stato di salute dei sistemi educativi sani. La seconda affermazione è più pericolosa perché è corretta nella forma ma fuorviante: implica che la tecnologia può essere una buona soluzione se vengono fatti altri investimenti; ciò che trascura è che se questi investimenti aggiuntivi fossero fatti direttamente a sostegno dell’istruzione (e non indirettamente per sostenere la tecnologia), i risultati educativi potrebbero essere molto migliori.

Questo modo di argomentare presuppone un uso della tecnologia come valore  di per sé stesso: la tecnologia, invece, ha un senso solo se è una possibile risposta ad un problema chiaramente identificato.  Dare valore alla tecnologia in quanto tale è come dare una risposta senza sapere quale sia la domanda, ovvero avere una soluzione ed andare alla ricerca di un problema. E qui Kentaro ha ragioni da vendere considerato il senso di tanti approcci alla tecnologia a scuola. I problemi della scuola sono tanti; le tecnologie non sono certamente una priorità (se non per quanto riguarda l’uso anche a scuola degli strumenti presenti nella vita di tutti i giorni e per quanto riguarda l’educazione all’uso delle tecnologie stesse), ma una scuola moderna non può ignorare le tecnologie, pena porsi fuori dal mondo.

La citazione con cui conclude il contributo (di Anurag Behar, Co-Amministratore Delegato di una Fondazione indiana che ha fatto ingenti investimenti in progetti no profit di tecnologie didattiche) dà a pensare, ma solo dopo aver chiarito con quali finalità e come e siano stati realizzati quei progetti. Dice Behar:

Non investiremo un dollaro in TIC, ogni dollaro che abbiamo sarà impiegato per gli insegnanti e la formazione dei dirigenti

Per concludere: la condanna senza appello delle tecnologie a scuola fatta da Kentaro, se trova nella pratiche correnti numerose prove a suo favore, non ha alcune ragion d’essere se concepiamo adeguatamente il loro senso, se  si introducono nelle scuole con adeguata strategia (e non con improvvisazione) e, soprattutto, se si dà loro un consapevole significato didattico.

(*) http://www.laletteraturaenoi.it/index.php/scuola_e_noi/217-non-esistono-scorciatoie-tecnologiche-per-l%E2%80%99istruzione-di-buon-livello.html . Originale qui https://edutechdebate.org/ict-in-schools/there-are-no-technology-shortcuts-to-good-education/

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2 pensiero su “Perchè mai le tecnologie dovrebbero aiutare ad imparare di più e meglio?”

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