Il primo di una serie di tre post per una introduzione al Problem Solving che chiarisca, a partire dai lavori di David Jonassen, come a questa importante attività cognitiva facciano capo differenti tipi di problemi e come ognuno di questi vada affrontato con strategie operative e cognitive differenti. Affronterò, in questo primo contributo l’evoluzione del concetto di Problem Solving, per poi passare alla specificazione delle tipologie di problemi che ci troviamo ad affrontare a scuola e nella vita di tutti i giorni,  per concludere con la trattazione dei processi cognitivi che entrano in gioco quando ci apprestiamo a risolvere problemi e con la descrizione delle caratteristiche degli ambienti di apprendimento in grado di promuovere lo sviluppo delle abilità di soluzione di problemi.

Da tempo si fa un gran parlare di Problem Solving a scuola: dalle certificazioni per le abilità di Problem Solving alle Olimpiadi del Problem Solving, dalle attività didattiche per favorire lo sviluppo di abilità di Problem Solving, al Problem Solving in quanto senso delle attività didattiche con il coding e per il pensiero computazionale. In questo approccio, ci si riferisce al Problem Solving come se si trattasse di risolvere sempre lo stesso tipo di problema, perché il “problema” è un “problema” e basta: tuttavia non ci si rende conto che a scuola e nella vita si ha a che fare con una vasta gamma di “problemi”, ciascuno con caratteristiche strutturali e funzionali proprie e con differenti strategie per affrontarlo.

Cerchiamo, pertanto, di fare un po’ di chiarezza anche su questo tema, per non correre il rischio di scadere in una didattica ingenua ma che è anche povera, approssimativa, superficiale.

Per questa prima trattazione mi voglio riferire ai lavori di David Jonassen, psicologo cognitivista, mio maestro e amico che, purtroppo, ci ha lasciati quattro anni fa.

Che risolvere problemi non sia un’attività marginale nella vita delle persone lo testimonia anche un libro di Popper  il cui titolo Dave amava citare spesso nel corso delle sue trattazioni del Problem Solving:

All life is problem solving

Jonassen (2010 a) per parte sua aggiungeva:

Il problem solving è l’attività di apprendimento più autentica, e quindi la più rilevante che l’individuo possa fare.

Ecco perchè al problem solving si dovrebbe dare la massima attenzione: non solo nel farne oggetto di cura didattica quotidiana ma anche nel trattare la tematica con la consapevolezza di tutte le dinamiche che intervengono – e delle loro variabili –  che obbligano a strategie differenti a seconda della tipologia di problema che si deve affrontare, del contesto in cui si agisce e della rilevanza del problema stesso e della sua soluzione.

David Jonassen, attraverso i suoi studi, offre un primo contributo alla comprensione dei processi di soluzione dei problemi, identificando le loro diverse tipologie e posizionandoli in un continuum che va da problemi ben strutturati a problemi mal strutturati, rappresentando situazioni che vanno da semplici a complesse e da statiche a dinamiche. Non esiste, come appare bene dallo schema riportato qui sotto, un solo tipo di problema e non può esistere una sola strategia di problem solving (Jonassen, 1997, 2000; Voss & Post, 1988).

CAPIRE I PROBLEMI, VECCHIE E NUOVE TEORIE

I modelli tradizionali del problem solving, noti come “phase models” (Bransford & Stein, 1994) postulano che tutti i problemi possono essere risolti se:

  1. identifichiamo il problema
  2. generiamo soluzioni alternative,
  3. valutiamo queste possibili soluzioni,
  4. implementiamo la soluzione scelta,
  5. valutiamo l’efficacia di tale soluzione.

Tuttavia il problem solving varia caso per caso, a seconda delle competenze ed abilità del problem solver, della natura del problema stesso, del contesto nel quale si presenta il problema e del modo in cui il problem solver si rappresenta il problema (Jonassen 2007).

La maggior parte dei problemi incontrati nei contesti dell’istruzione formale sono ben strutturati:

  • presentano tutti gli elementi del problema,
  • coinvolgono un numero limitato di regole e principi,
  • sono organizzati in una disposizione predittiva e prescrittiva,
  • possesso di risposte corrette, convergenti,
  • hanno un processo risolutivo ben definito.

I cosiddetti problemi “mal strutturati” o ill-structured problems, invece, sono proprio quei problemi che si incontrano nella pratica quotidiana e presentano:

  • molte soluzioni alternative,
  • obiettivi vagamente definiti o poco chiari e vincolanti,
  • percorsi risolutivi multipli
  • criteri multipli per la valutazione delle possibili soluzioni,

e sono, quindi, più difficili da risolvere. La gestione dei sistemi complessi, la presa di decisioni politiche o strategiche, padroneggiare la contabilità, tutti questi sono problemi non strutturati.

La comprensione dei processi cognitivi associati alla soluzione dei problemi si è evoluta nel tempo grazie alla miglior comprensione dei processi di pensiero in generale * e, di conseguenza, anche le  teorie sul problem solving hanno subito un’evoluzione da cui si sono sviluppati diversi modelli.

Inizialmente (1972) l’attività di Problem Solving era stata trattata nella prospettiva dell’information processing, come ad esempio nel classico General Problem Solver (Newell & Simon, 1972).  Questo modello si concentra soprattutto su due tipi del processo di pensiero associato al problem solving: il processo della comprensione del problema e quello della ricerca della soluzione.

Un altro modello molto noto nell’ambito della stessa prospettiva è quello chiamato “IDEAL” (Bransford & Stein, 1984) inteso come un processo di:

  • Identificazione di potenziali problemi
  • Definizione e rappresentazione del problema
  • Esplorazione di possibili strategie
  • Azione sulla base di queste strategie
  • Looking back (in inglese per mantenere l’acronimo), guardare all’indietro per  osservare degli effetti delle azioni che si sono intraprese

Gick e Hlyoak (1993) sintetizzano questo e altri modelli di problem solving in un modello semplificato in cui sono determinanti:

  • il processo della costruzione della rappresentazione di un problema
  • la ricerca della soluzione
  • l’implementazione della soluzione
  • il suo monitoraggio

La posizione di Jonassen rispetto a questi modelli è critica, perché egli ritiene che pur essendo utili dal punto di vista descrittivo, essi concepiscono i problemi tutti alla stessa maniera, assumendo che tipologie diverse di problemi in differenti contesti vengano risolti in modo simile (Jonassen 2010). Il problem solving, invece, è un processo assai complesso del quale sappiamo ancora molto poco. Nelle prime ricerche, esso veniva concepito come un processo unidimensionale e lineare per la ricerca di soluzioni. Questo approccio ha portato a sottostimare l’importanza delle conoscenze di dominio associate al problema e del riconoscimento dei modelli ricorrenti (ragionamento per analogie) che ha prodotto una comprensione debole della conoscenza associata e l’inibizione del transfer degli apprendimenti, aspetti che sono l’essenza dello scopo dell’istruzione.

Trattando il PS come un processo riproducibile, algoritmico, si fallisce nel perseguire obiettivi di apprendimento di ordine elevato e si rende il processo di apprendimento scolastico irrilevante e noioso.

Più di recente, invece,  la ricerca è passata a un modello multidimensionale che prende in considerazione fattori “esterni”  riguardanti il contesto in cui il problema si manifesta e fattori “interni” che hanno a che fare con le caratteristiche del problem solver e include in particolare i seguenti aspetti:

Per gli aspetti esterni, o di contesto del problema:

  • La strutturazione del problema
  • Il contesto in cui si esplicita
  • La sua complessità
  • La sua dinamicità
  • La sua specificità in relazione al dominio di conoscenza associato

Per quanto riguarda gli aspetti interni, cioè le disposizioni cognitive e affettive del problem solver, Jonassen, nella sua teoria del problem solving, identifica:

  • Le sue conoscenze nel dominio di riferimento tanto dal punto di vista quantitativo che qualitativo
  • La precedente esperienza nel risolvere problemi simili
  • Le abilità cognitive e in special modo il ragionamento causale, il ragionamento analogico e le credenze epistemologiche

In un prossimo post cercherò di descrivere le diverse tipologie di problemi, sempre sulla base degli studi di Jonassen. Ciò mi consentirà di dare meglio conto di come si sviluppino e si integrino le caratteristiche “esterne” dei problemi.

* Basti ricordare l’assunzione della prospettiva cognitivista (come pensiamo) nell’analisi del comportamento umano, quando per lungo tempo gli studiosi del comportamento umano si erano rifiutati di analizzare le dinamiche del  “pensiero” considerando ciò che avviene nella mente alla stregua di quanto succede in una black box, un’attività per sua natura non analizzabile e prendendo, pertanto, in considerazione gli input e gli output

 

Parte di questo post riprende e rielabora alcuni contenuti tratti da “Ambienti di apprendimento per la formazione continua. G. Marconato (a cura). Guaraldi Editore, 2013” dal capitolo “Problem Solving di Beate Weyland”

RISORSE

Un link a un importante libro di Jonassen, tutto da scaricare

http://bbu.yolasite.com/resources/learning_to_solve_problems.pdf

Qualche lettura significativa

http://www.webkelley.com/HBS/ID%20Models%20for%20Well-Structured.pdf

http://itforum.coe.uga.edu/paper83/paper83.html

Intervista a Jonassen

Un po’ di bibliografia per chi vuol approfondire

Bransford, J. & Stein, B.S. (1983). The IDEAL problem solver: A guide for improving thinking, learning, and creativity. New York: W.H. Freeman.

Feltovich, P.J., Spiro, R.J., & Coulson, R.L. (1989). The nature of conceptual understanding in biomedicine: The deep structure of complex ideas and the development of misconceptions. In. D. Evans & V. Patel (Eds.), The cognitive sciences in medicine. Cambridge, MA: MIT Press.

Jacobson, M.J. (1990). Knowledge acquisition, cognitive flexibility, and the instructional applications of hypertext: A comparison of contrasting designs for computer-enhanced learning environments. (Doctoral dissertation, University of Illinois).

Greeno, J. (1980). Trends in the theory of knowledge fro problem solving. In D.T. Tuma & F. Reif (Eds.), Problem solving and education: Issues in teaching and research (pp. 9-23). Hillsdale, NJ: Lawrence Erlbaum Associates.

Jonassen, D.H. (1997). Instructional design model for well-structured and ill-structured problem-solving learning outcomes. Educational Technology: Research and Development 45 (1), 65-95.

Jonassen, David H.(1999) Designing constructivist learning environments, in  Instructional-design theories and models: A new paradigm of instructional theory 
(a cura di) Reigeluth, C. M., Mahwah, NJ: Lawrence Erlbaum Associates.

Jonassen, D.H. (2000). Toward a design theory of problem solving. Educational Technology: Research & Development, 48 (4), 63-85.

Jonassen, D.H. (2007). What makes scientific problems difficult?  In D.H. Jonassen (Ed.), Learning to solve complex, scientific problems (pp. 3-23). Mahwah, NJ: Lawrence Erlbaum Associates.

Jonassen, D.H. (2010). Learning to solve problems: A handbook. New York: Routledge.

Jonassen, D. H., & Hung, W. (2008). All problems are not equal: Implications for PBL. Interdisciplinary Journal of Problem-Based Learning, 2(2), 6-28.

Jonassen, D.H. (2010 a)  http://www.aect.org/publications/whitepapers/2010/JonassenICER.pdf

Spiro, R.J. & Jehng, J.C. (1990). Cognitive flexibility and hypertext: Theory and technology for the non-linear and multi-dimensional traversal of complex subject matter. In D. Nix & R.J. Spiro (Eds.),

Cognition, education, and multimedia: Explorations in high technology. Hillsdale, NJ: Lawrence Erlbaum.

Spiro, R. J., Feltovich, P. L., Jacobson, M. J., & Coulson, R. L. (1991). Cognitive flexibility, constructivism, and hypertext: Random access instruction for advanced knowledge acquisition in ill-structured domains. Educational Technology, 31(5), 24-33.

Spiro, R.J., Vispoel, W., Schmitz, J., Samarapungavan, A., & Boerger, A. (1987). Knowledge acquisition for application: Cognitive flexibility and transfer in complex content domains. In B.C. Britton (Ed.), Executive control processes. Hillsdale, NJ: Lawrence Erlbaum Associates.

Spiro, R.J., Coulson, R.L., Feltovich, P.J., & Anderson, D.K. (1988). Cognitive flexibility theory: Advanced knowledge acquisition in ill-structured domains. Tech Report No. 441. Champaign, IL: University of Illinois, Center for the Study of Reading.
Taleb, N.N. (2007). The black swan: The impact of the highly improbable. New York: Random House.

 

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