Quello che segue è un intervento tecnico che serve a chiarire i presupposti della competenza e non offre direttamente delle indicazioni operative per il lavoro dell’insegnante  ma questi chiarimenti sono essenziali per dare un senso pedagogico e uno sbocco didattico alla prospettiva della competenza quando assunta in ambito educativo. Concettualizzazioni cattive, fumose o peggio, tendenziose, portano a pratiche didattiche fallaci e non offrono agli insegnanti un orizzonte di senso praticabile e coerente.

 

Più giro per le scuole e più incontro insegnanti, più mi rendo conto che intorno al costrutto di “competenza” è venuto definendosi un sistema di rappresentazioni variegate e creative, non di rado fallaci, artificiose e, a conti fatti, deboli.

Colpa, forse, di concettualizzazioni approssimative, non fondate sulla pedagogia, se non addirittura tendenziose?

La questione è sempre più aperta e credo valga la pena diradare un po’ di nebbia, perché la  competenza è un costrutto pedagogicamente complesso e perché, rifacendoci anche al senso comune, nessuno vorrebbe essere incompetente, nessuno vorrebbe essere circondato da persone incompetenti e, pertanto, nessuno assegnerebbe alla scuola l’obiettivo di formare persone incompetenti.

Con il post “Non si programma PER competenze”  era mia intenzione esplorare oltre la superficie le rappresentazioni e le implicazioni semantiche che sottostanno ad espressioni correnti come “programmare PER competenze, progettare …insegnare PER competenze” e la conclusione alla quale ero arrivato era che l’uso della preposizione PER fosse rivelatore del vero significato che correntemente si assegna al costrutto, e che tale significato viene utilizzato come base per rappresentazioni fuorvianti (e tendenziose) quando si passa dai concetti alle pratiche didattiche.

Il tema di quel post riguarda, infatti, la natura della competenza in quanto “contenuto” da apprendere oppure in quanto “modalità” per rendere operativi contenuti e abilità, e la conclusione cui sono giunto è che il convincimento sotteso ad espressioni come “insegnare PER competenze” riguardi la competenza come OGGETTO da formare, quando, in realtà,  non è esattamente così.

La questione, di conseguenza, andrebbe posta in modo esplicito e diretto in questi termini:

Quando, in ambito scolastico, parliamo di competenza (o di competenze) ci riferiamo ad un contenuto da insegnare e da imparare o ad un modo di usare le conoscenze e le abilità che possediamo o che possiamo imparare?

Credo valga la pena approfondire la questione, perché i due approcci sono sostanzialmente differenti, derivano da presupposti concettuali differenti e portano ad attribuire ruoli differenti alla sua presenza nel curricolo e, in definitiva, prospettano differenti visioni di competenza.

La questione ha a che fare con la definizione che si dà di competenza: se la competenza è definibile in quanto oggetto, allora si selezionano quei saperi e quelle abilità che la fanno raggiungere, un po’ come per gli obiettivi. Se invece la competenza è una modalità graduabile e misurabile secondo criteri definiti di abilità complesse basate anche sui saperi, allora ai saperi -tutti- è funzionale. Dipende da come guardi le cose, da che prospettiva) .

La riflessione che qui farò assumerà la prospettiva pedagogica e dei processi mentali che presiedono lo sviluppo della  conoscenza e dell’apprendimento e farò riferimento alla letteratura specifica sulla tematica.

<<<<<<< 18.11.2018

LA MADRE DI TUTTE LE DOMANDE: COS’È LA COMPETENZA?

COMPETENZA è un termine d’uso corrente che evoca comportamenti oppure “PRESTAZIONI” efficaci e rimanda al saper fare bene qualcosa: la persona che riteniamo competente è quella che agisce in uno specifico ambito di attività ad un ben preciso standard di qualità (definito implicitamente o esplicitamente da criteri) ed è in grado di conseguire lo scopo per cui la sua prestazione viene richiesta. Fa tutto questo  usando conoscenze e abilità specifiche, ha una chiara rappresentazione di come dovrà essere il prodotto del suo lavoro e sa aggiustare il proprio operato in corso d’opera qualora rilevi degli scostamenti tra il risultato atteso e quello che si sta costruendo. La persona competente sa utilizzare la propria competenza in contesti differenti generando un’ampia gamma di soluzioni ai problemi che incontrerà. L’efficacia della sua “prestazione competente” è dovuta alle conoscenze e alle abilità possedute che sono state acquisite attraverso apprendimento formale ed esperienza, alla sua capacità di capire cosa viene richiesto nella specifica situazione, alla sua determinazione a conseguire il risultato. Non sempre tutta la sua competenza riesce ad essere utilizzata nell’operatività perché ci possono essere condizioni interne o di contesto che ne limitano l’efficacia, che è come dire che la prestazione competente non sempre rappresenta la competenza (Adattamento da Baldacci, Curricolo e competenze, 2010).

Quando si fa riferimento alla competenza in ambito educativo non si può che far riferimento a  queste caratteristiche di senso comune per identificarne l’essenza e l’articolazione ma è necessario interrogarsi su quali possano essere gli aspetti della competenza che possono essere agiti in contesti educativi per aiutare gli studenti ad agire in modo competente.

Oltre al cosa sia possibile fare a scuola per la competenza va anche specificato in quali contesti sia utile dare prestazioni competenti e per quali scopi, cioè in cosa gli studenti debbano essere competenti.

Detto che fare in modo che il sistema scolastico favorisca lo sviluppo della competenza  degli studenti sia una meta di apprendimento importante  ci si dovrebbe domandare se, considerati i fini dell’istruzione, la scuola debba lavorare solo per aiutare gli studenti ad essere competenti in alcuni campi ben specificati, cioè fornire loro le conoscenze e le abilità necessarie a questo scopo, oppure se la scuola possa e debba andare oltre la competenza.

UNO SGUARDO PEDAGOGICO

Analizzando in profondità il costrutto di competenza (lo fa molto bene Massimo Baldacci nel libro Curricolo e competenze, Mondadori, 2010, e a questo lavoro mi riferisco qui in alcuni passaggi) si vede bene che essa non esiste come entità originaria che viene rappresentata  nell’azione (come dire che “competenza” e “azione competente” coincidono) mentre esiste la “prestazione competente”, una prestazione (riflettiva – Fodor ripreso da Baldacci – non costitutiva) che viene data:

  • Sulla base di risorse conoscitive e di abilità cognitive, personali e sociali;
  • Con il supporto di processi cognitivi che favoriscono la loro mobilizzazione, combinazione ed utilizzo;
  • Con riferimento a specifici contesti che richiedono quella prestazione;
  • Con la capacità di organizzare le conoscenze secondo la rappresentazione mentale dello scopo dell’azione stessa (intenzione);
  • Con la consapevolezza dei punti critici dell’attività da svolgere e delle connesse alternative di scelta;
  • Monitorando l’azione in svolgimento o già svolta per calibrarla sulla base dell’intenzione valutando il grado di corrispondenza dell’agito all’intenzione.

I processi e le risorse prima menzionati (l’aspetto interno della competenza   – cfr. Baldacci) possono essere considerati quasi una dote della persona e rimanere in una qualche misura costanti (salvo il continuo e fisiologico cambiamento e sviluppo) mentre a cambiare sono le modalità e gli esiti della loro combinazione (l’aspetto esterno della competenza – sempre Baldacci).

Possiamo anche dire che ciò che intendiamo nel linguaggio corrente come “competenza” è in realtà la “prestazione competente” resa possibile dall’insieme di risorse e processi interni “abilitanti”: A questo sistema interno (costrutto mentale, Baldacci) possiamo dare il nome di “competenza”.

Le determinanti interne si possono combinare in numerosi modi in relazione agli scopi della prestazione e ai contesti in cui deve essere agita dando origine ad un’ampia gamma di prestazioni. La variabile è la prestazione (competente) mentre l’invariante è la competenza.

Quello che è possibile sviluppare nei sistemi d’istruzione non è tanto l’aspetto esterno della competenza che è sempre diverso a seconda dei contesti e degli scopi ma quello interno, cioè le diverse forme di conoscenza che presiedono all’azione e al suo controllo, gli abiti mentali le abilità combinatorie, le capacità di diagnosticare i contesti, gli aspetti motivazionali e volitivi.

L’implicazione didattica di tutto questo è che la competenza sia una modalità di agire i saperi e le abilità sviluppati nel corso di un processo di istruzione e non il suo contenuto.

PER … COSA?

Ritornando al lessico corrente e al “famoso” PER come prima ipotesi si può sostenere che

Non si programma “per” competenze e neppure si progetta o si insegna “per” competenze e ma si insegna PER LA COMPETENZA (e non PER COMPETENZE)  perché considerata la sua natura, la competenza è una modalità dell’azione e non una specifica azione. Si agisce didatticamente per favorire lo sviluppo della persona competente.

Approfondendo la questione possiamo rilevare che il PER usato nel lessico didattico comune  può avere due valori.  O ha un valore di fine (= con l’obiettivo di: la competenza diventa il fine dell’istruzione) oppure ha un valore di strumento (= attraverso: la competenza diventa il contenuto dell’istruzione ).

Tra le due accezioni quella che sembra prevalere nella pratica è quella secondo la quale il valore sia strumentale: la competenza è un oggetto da formare.

Infatti avendo reificato le competenze dando loro formulazioni specifiche (comunicazione, imparare a imparare, imprenditorialità etc…), e quindi ontologicamente definite, vien da pensare che esse diventino i contenuti stessi dell’azione didattica e non le modalità per rendere operative ad elevato livello di efficienza ed efficacia, abilità complesse maturate a partire da saperi.

Assumendo questa visione di “competenza”  si è nell’errore concettuale, epistemologico e pedagogico e nelle pratiche didattiche quotidiane si naviga a vista.

CONCLUDENDO (PROVVISORIAMENTE)

L’impostazione pedagogicamente fondata è quella di ragionare su una didattica (progettazione, programmazione) PER LA COMPETENZA e non come, con approssimazione lessicale e concettuale, si usa dire didattica PER COMPETENZE.

Non ci sono dubbi che la competenza debba essere una delle mete dell’istruzione. Un’azione (basata su saperi e abilità) può essere svolta in modo competente (cioè appropriato agli scopi che la richiedono) oppure in modo non competente (cioè inadeguata agli scopi), e nessuno si aspetta che la scuola formi persone incompetenti.

Si potrebbe concludere che:

  • Usare l’espressione didattica PER competenze significa attribuire alla competenza uno status epistemico originale e, quindi, dover ri-articolare il curricolo ristrutturando i contenuti curricolari (sfoltendoli), inserendone di nuovi tipici del contenuto delle competenze e rinunciando agli apprendimenti “collaterali” di una buona didattica ancorata alle discipline;
  • Usare, invece, l’espressione didattica PER LA competenza significa attribuire alla competenza uno status epistemico derivato, una modalità di resa operativa di saperi e abilità, potenziando l’apprendimento dei saperi disciplinari nella logica dell’apprendimento significativo e utilizzando strategia di apprendimento che consentano di conseguire contemporaneamente mete di apprendimenti disciplinari (obiettivi) e di competenza (traguardi).

Al di là di questioni che per alcuni potrebbero essere di lana caprina, ciò che conta è se la persona istruita e formata attraverso la didattica PER competenze sia davvero più competente di quella formata attraverso la didattica PER LA competenza.

La mia idea è che nel primo caso sia possibile sviluppare una forma di competenza caratterizzata da esecuzione meccanica di procedure esecutive, un’azione priva o debole di comprensione, debole anche nel saper pensare, si tratta, cioè, di una competenza adattiva, nel secondo si può puntare, invece, ad una competenza generativa produttiva, resa possibile dall’integrazione tra sapere, saper fare e saper pensare.

P.S.  PERCHÉ SI USA PROGETTARE PER COMPETENZE?

Una storica (italiana) dell’istruzione, Monica Galfré, nel suo bel libro Tutti a scuola! L’istruzione nell’Italia del Novecento, Carocci, 2018 e recensito da Daniele Lo Vetere qui, fa notare che una costante presente nelle politiche educative sia data dall’inventarsi problemi per giustificare riforme già decise e senza alcuna correlazione con quei problemi.

Sappiamo tutti dove la scuola italiana si stia dirigendo in risposta al mandato della Commissione europea di cambiare la scuola per renderla funzionale all’obiettivo strategico di fare dell’Europa la più forte economia del pianeta.

E’ credibile che nelle riforme necessarie un obiettivo da perseguire consista nel ristrutturare i curricoli scolastici abbandonando la tradizionale organizzazione attorno alle discipline a favore di qualcos’altro perché a scuola, seguendo le discipline, si trasmettono troppe conoscenze che non servono all’economia e che le persone, oramai disabituate a pensare, non riuscirebbero neppure ad imparare.

Questo “altro” pare sia stato identificato nel costrutto di “competenza”, una dimensione che richiama il fare, un termine che evoca positività: chi vorrebbe mai una persona incompetente?

In questa prospettiva la concettualizzazione di DIDATTICA PER COMPETENZE (e associate programmazione per, progettazione per….) è coerente e più che giustificata. Come sono giustificate e funzionali didattiche come i così detti “compiti di realtà“, materializzazione della didattica povera PER COMPETENZE.

 

 

 

http://www.giannimarconato.it/2018/10/piccole-competenze-crescono/

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