In breve

L’apprendimento a corta distanza rappresenta un approccio all’istruzione primaria e secondaria utile nell’attuale situazione di emergenza anche educativa ma che per i limiti intrinseci nella relazione educativa a distanza non può rappresentare una modalità di didattica ordinaria.

Questa didattica, come tutte le didattiche, deve essere improntata alla situatività, alla generatività e alla creatività, anche per la grande variabilità dei contesti di realizzazione; per questo non può essere standardizzata; va garantita e promossa la pluralità di approcci didattici.

Nell’apprendimento a corta distanza le famiglie rappresentano, assieme agli insegnanti e agli studenti uno dei poli costituenti la comunità educativa.

Se l’apprendimento in presenza è caratterizzato dalla conversazione, quello a distanza ha nel rallentamento la sua tipicità. La qualità degli apprendimenti si impone sulla loro quantità, l’efficacia sull’efficienza, i tempi dilatati caratterizzano l’azione didattica nella distanza.

Per sviluppare apprendimento in un contesto di corta distanza è necessario sollecitare un ruolo cognitivamente attivo attivo dello studente attraverso l’ideazione e la proposta di attività di apprendimento dove la produzione di un artefatto cognitivo catalizza i contenuti da trattare. Questo approccio utilitaristico al sapere depotenzia, però, l’apprendimento significativo e il transfer degli apprendimenti.

Libera da vincoli non pedagogici, la valutazione può porsi come pratica a supporto dell’apprendimento e finalizzare i propri strumenti alla raccolta di indizi probatori dell’apprendimento sviluppato e alla generazione di feedback che aiutano lo studente ad orientare e a migliorare il proprio apprendimento.


Possiamo pensare ad una pedagogia specifica per la cosiddetta “didattica a distanza”? E’ opportuno riconcettualizzare la didattica in emergenza rispetto alla didattica ordinaria? Ha senso una didattica a distanza oltre l’emergenza?

La scuola nell’emergenza

Sono tanti gli interrogativi che ci poniamo tutti i giorni e ai quali ognuno di noi ha cercato di dare una risposta provvisoria attingendo alla propria esperienza, alle proprie credenze e valori sull’apprendimento e sulla scuola.

Nei recenti post in questo blog ho cercato di dare un mio contributo sulla didattica a distanza toccando questioni generali e di significato di questa forma particolare di didattica e mi sono anche addentrato, a volte molto in dettaglio e con concetti ed esempi, su questioni che riguardano l’insegnamento e la valutazione.

Penso, pertanto, che sia giunto il momento di mettere un po’ d’ordine nei tanti pensieri sparsi e tentare (con presunzione?) di delineare una pedagogia e una didattica specifica per la scuola nell’emergenza.

E’, infatti, l’emergenza che determina il contesto di questo modo di fare scuola e ad offrirne l’orizzonte di senso.

Cosa non è

Partiamo da alcune considerazioni: quella che chiamiamo didattica a distanza non è paragonabile a quella che chiamiamo formazione a distanza e neppure e-learning, anche se da quelle pratiche può mutuare molto del know-how sviluppato ma da quelle deve anche prendere in considerazione le criticità manifestate in anni di pratiche, non solo perché l’utenza non è la stessa (FAD e e-learning hanno avuto quasi esclusivamente un’utenza adulta e con finalità professionalizzanti oppure universitaria) ma anche perché il percorso di studio non viene qui svolto interamente a distanza.

La nostra didattica a distanza è una forma particolare di didattica che:

  • Si svolge in condizioni di emergenza,
  • Ha come destinatari studenti e studentesse in un percorso di istruzione iniziale e obbligatoria,
  • Viene svolta solo per alcune fasi a distanza essendo una parte circoscritta temporalmente di un percorso che si svolge sostanzialmente in presenza.

Chiamare e-learning la didattica dell’emergenza (pur nel riconoscimento dei tanti significati che ha assunto nel passato e che ora ha) è fuorviante concettualmente e operativamente: le soluzioni tecniche utilizzate (la logica e la pratica dei Learning Object, ad esempio, la standardizzazione dei prodotti, l’ingegnerizzazione della gestione), la scalabilità dell’utilizzo, i costi dell’infrastruttura tecnologica necessaria non sono giustificate e adeguate al contesto d’uso, a meno di non immaginare un modello neo-fordistico e industriale di istruzione.

Corta distanza

Per queste ragioni mi pare necessario introdurre una diversa concettualizzazione relativamente alla dimensione della “distanza”: la nostra non è una didattica completamente in presenza e neppure completamente a distanza. Ciò che avviene a distanza è strettamente correlato con ciò che è avvenuto e avverrà in presenza e da tutto quanto è avvenuto e avverrà in presenza trae enorme beneficio in termini di conoscenza reciproca, di relazioni , di reciproche percezioni, di dinamiche di apprendimento.

Ma non è neppure una didattica in presenza perché non c’è la freschezza e la ricchezza dell’interazione faccia-a-faccia. C’è “distanza”, e questo non va dimenticato per non commettere grossolani errori, ma è una “distanza” particolare che chiamerei corta distanza. Si, siamo distanti ma non tanto distanti.

Apprendimento

Più che alla generica “didattica” penso sia opportuno far riferimento a quello che è lo scopo della scuola: l’apprendimento. Dovremo prendere in considerazione i processi di apprendimento, cosa significhi apprendere, come si apprende, come attraverso l’insegnamento sia possibile favorire lo sviluppo dell’apprendimento, quale apprendimento vogliamo sviluppare.

Dovremo, pertanto, farci guidare dell’apprendimento più che dall’insegnamento. Dobbiamo ricordare che si apprende quando qualcuno ha voglia di imparare, non quando qualcuno ha voglia di insegnare (Roger Schank).

Si apprende quando qualcuno ha voglia di imparare, non quando qualcuno ha voglia di insegnare

Dovremo compiere la scelta di focalizzarci sulla qualità più che sulla quantità dell’apprendimento, poche cose ma solide, stabili, importanti. Dovremo sfrondare l’insegnamento di tanti orpelli didattici e valutativi inutili.

Dovremo assumere la prospettiva di un approccio umanistico all’apprendimento: considerare la persona come fine e non come strumento, dovremo promuovere la sua unicità, la sua possibilità e capacità di guidare le scelte e non subirle.

Dovremo puntare all’apprendimento significativo di pochi concetti, alla capacità di fare connessioni, allo sviluppo di abilità cognitive, metacognitive e sociali.

In questo post ho sviluppato l’idea di un approccio umanistico alle competenze di cittadinanza.

Pedagogia e didattica

La didattica che si svolge quando insegnanti e studenti sono lontani non può essere la stessa di quando gli stessi sono presenti perché il contesto e le dinamiche che si generano sono differenti e, pertanto, quelle attività che hanno un senso ed una efficacia in presenza non lo hanno a distanza quando tutto è più difficile, tutto è meno efficiente e meno efficace. L’insegnamento a distanza ai tempi del Coronavirus viene proposto come soluzione di emergenza e in questo contesto è accettabile ogni limite, purché se ne sia consapevoli e, contestualmente, si sia in grado di identificare approcci pedagogici e didattici e formulare finalità e obiettivi che diano, comunque, una dignità all’essere scuola in condizioni precarie e che disegnino un contesto educativo in cui la dignità degli insegnanti e degli studenti è preservata.

Provo, quindi, a formulare alcuni primi principi di pedagogia e di didattica in questa prospettiva.

La didattica a distanza va considerata un contesto di “apprendimento a corta distanza” valido solo in condizioni di emergenza per la parzialità delle finalità e degli obiettivi di apprendimento conseguibili quando viene a mancare la relazione diretta tra insegnanti e studenti e per i limiti insiti nel tipo di didattica. Qui una riflessione sulle criticità della didattica nell’emergenza dovendo fare che non si sanno fare.

È una didattica parziale e selettiva: non può interessare tutti gli aspetti di un curricolo, non tutte le sue finalità e gli obiettivi di apprendimento, ma alcuni di questi possono trovare nella distanza un contesto se non proprio ideale, almeno favorevole.

Insegnare e apprendere a distanza è molto più problematico che farlo in presenza per cui dovremo essere consapevoli del fatto che abbiamo a che fare con una forma di didattica di minor efficienza ed efficacia: sono necessari tempi lunghi per preparare adeguati supporti didattici, tempi dilatati per la realizzazione delle attività di apprendimento, limitazione delle finalità e degli obiettivi di apprendimento conseguibili. Qui un approfondimento sulle ragioni della minor efficacia qui un approfondimento sulle caratteristiche dello studente “ideale” che portano a ritenere questa modalità didattica di nicchia)

Nella selezione delle finalità perseguibili in un contesto a corta distanza è opportuno focalizzarsi su quelle dimensioni che possono meno risentire della separazione fisica tra insegnante e studenti. Paradossalmente, nonostante la “distanza” fisica, la dimensione del prendersi cura dello studente viene potenziata attraverso il tempo che è possibile dedicare nella relazione didattica: tempo, qualità e quantità del feedback, rapporto personalizzato, tempestività dell’intervento. Una diversa forma di presenza che anche quando non riesce ad incidere direttamente sugli aspetti “duri” dell’apprendimento, può assicurare allo studente una sensazione di benessere che può riverberarsi positivamente anche su quelli. In questo caso le tecnologie digitali diventano strumenti abilitanti della cura della relazione didattica ed educativa.

Distanza, rallentamento, lavoro indipendente possono rappresentare condizioni favorevoli allo sviluppo di importanti risorse cognitive, personali e sociali di cui spesso si lamenta la mancanza: autonomia e responsabilità, collaborazione, pensiero critico, autovalutazione, metacognizione. Nel riconoscimento della carenza di tali abilità, un approccio didattico promettente potrebbe essere quello dell’ “allenamento”: proposta di attività a crescente complessità e impegno con attenuazione progressiva di supporto e controllo da parte dell’insegnante, una forma di apprendistato cognitivo.

Se la didattica in presenza è caratterizzata dalla conversazione educativa tra i soggetti coinvolti (una dinamica che per essere efficace richiede l’instaurarsi di una relazione fatta di elementi verbali e non verbali, di emozioni che si sviluppano nella prossimità, di segnali deboli che vengono raccolti, di retroazione tempestiva), la didattica nella distanza è il territorio tipico del rallentamento. Un buon apprendimento si ha quando chi apprende si appropria dei nuovi contenuti, quando integra nella propria struttura cognitiva i nuovi contenuti con quelli già presenti, quando si ha un “lavoro” cognitivo ed emotivo. Il processo di presentazione di nuovi contenuti deve rallentare, fin quasi a fermarsi. Questo rallentamento può godere dei tempi dilatati della distanza, di un luogo in cui non si vive nel caos della classe, dove si possono assumere ritmi propri senza interferire con quelli degli altri. La distanza facilita il prendere tempo per riflettere, per organizzare e chiarificare i propri pensieri, per focalizzare la propria attenzione e per essere cognitivamente attivi. In questo post ho sviluppato il tema dell’interazione presenza-distanza.

Il rallentamento delle attività didattiche è anche quantitativo: i carichi di lavoro sostenibili attraverso il lavoro degli studenti, che è sostanzialmente autonomo, saranno ridotti rispetto a quanto avviene nella didattica in presenza. Le attività di apprendimento dovrebbero essere svolte in tempi dilatati rispetto a quanto avviene abitualmente in aula (dove sono spesso inutilmente compresse) e questo comporta che in termini strettamente efficentisti, a parità di ore sia (fisiologicamente) possibile trattare una parte ridotta della programmazione. Questo per compensare con maggior tempo disponibile le maggiori difficoltà che lo studente incontra a lavorare senza supporto costante anche tra pari.

L’insegnamento a distanza, diversamente da quello in presenza, si caratterizza più che per quello che potremo chiamare “insegnamento diretto” (la presentazione dei contenuti attraverso la lezione, che ci sta, ovviamente), per l’assistenza all’autoapprendimento. Lo studente a distanza non va lasciato solo, la presenza didattica deve essere intensa anche se non costante, lo “studente invisibile” è a forte rischio di dispersione e va escogitata un’ampia gamma di strategie per ricostruire l’intersoggettività docente-studente che è la chiave di ogni forma di apprendimento. Qui un approfondimento sul senso dell’assistenza didattica e qui una riflessione concettuale sulle condizioni dell’apprendimento a distanza.

Pur pesando in modo differente a seconda dell’eta e dell’associata autonomia di lavoro dello studente, la famiglia assume il ruolo di autentico e legittimato di partner didattico, una sorta di tutor il cui intervento è essenziale per conseguire un soddisfacente livello di apprendimento. In questa situazione il carico di lavoro viene suddiviso tra insegnante, studente e famiglia. Questo setting didattico rappresenta anche la legittimazione reciproca e sostanziale tra istituzione scolastica e cittadini cui la scuola è finalizzata.

Gli “ambienti” all’interno dei quali si sviluppa l’apprendimento a corta distanza, per la diversità dei contesti di applicazione (situazioni socio-culturali, profilo cognitivo dello studente, “bisogni speciali”, finalità e obiettivi didattici per le scuole di ogni ordine e grado) non possono essere standardizzati o normalizzati, anzi, il loro assetto tipico deve essere caratterizzato da generatività e pluralità di approcci didattici a rappresentazione della creatività e dell’apertura intrinseca della buona didattica.

Per sviluppare apprendimento in un contesto di corta distanza è necessario sollecitare un ruolo cognitivamente attivo dello studente attraverso l’ideazione e la proposta di attività di apprendimento dove la produzione di un artefatto cognitivo catalizza i contenuti da trattare: lo studente produce un oggetto e per farlo usa la conoscenza che già possiede e se ne appropria di nuova “studiando” i contenuti che l’insegnante avrà selezionato, organizzato e distribuito. Adottando questo approccio al sapere che è di stampo utilitaristico, la disciplina viene frantumata in tanti elementi e unità e pur potendo conseguire obiettivi di apprendimento circoscritti, si possono perdere tutti i benefici di una buona didattica disciplinare e di una sua trattazione fatta sulla base dell’epistemologia della stessa, come gli apprendimenti collaterali e di lungo periodo ovvero gli atteggiamenti, i valori, il metodo di lavoro, la forma mentis e inoltre viene depotenziato l’apprendimento significativo e generativo della disciplina Qui un approfondimento dell’approccio per “attività di apprendimento” mentre qui alcune idee per rendere più efficace l’organizzazione dei “contenuti” da apprendere a distanza quando l’insegnante non può monitorare le reazioni degli studenti e non può apportare correttivi in tempo reale.

Nell’apprendimento a corta distanza la valutazione può riconquistare tutta la propria dignità pedagogica venendo meno, per ragioni logistiche, le possibilità di controllo che abitualmente creano il contesto per la valutazione a scopo amministrativo: assegnare formalmente giudizi e voti per la promozione, i debiti o la ripetenza. Libera da vincoli non pedagogici, la valutazione può porsi come pratica a supporto dell’apprendimento e finalizzare i propri strumenti alla raccolta di indizi probatori del possesso di conoscenze, abilità e competenze e alla generazione di feedback che aiutano lo studente ad orientare e a migliorare il proprio apprendimento, abbiamo così la valutazione come opportunità di apprendimento. Nella consapevolezza che la valutazione è per sua stessa natura soggettiva e mai potrà essere oggettiva, possiamo comunque non farne una pratica arbitraria rendendo trasparenti i criteri su cui basiamo la valutazione e aumentandole l’affidabilità condividendo quei criteri all’interno della comunità dei valutatori. In questo post propongo un approccio culturale alla valutazione mentre in quest’altro parlo di valutazione autentica e di rubric e in questo terzo di un approccio “leggero”, ma sempre valido, alla valutazione, ovvero alla valutazione intuitiva.


Nel tentativo di dare identità e dignità ad una pratica empirica e di emergenza non ho inteso formalizzare un’attività che non può essere formalizzata per l’ampia gamma di contesti in cui viene realizzata ma di identificare alcuni elementi caratterizzanti.

Ho messo in evidenza tematiche di valenza generale, di significato, di principi e di metodo e il tutto va contestualizzato in relazione alle età degli studenti coinvolti perché le loro capacità cognitive e il grado di autonomia variano enormemente nello spazio di pochi anni; va contestualizzato anche alle finalità e agli obiettivi di apprendimento che caratterizzano le scuole dei diversi ordini e grado, alle discipline e, in ottica inclusiva, al singolo studente.

Quando sono sceso nell’operativo non ho inteso fornire delle prescrizioni ma delle ipotesi aperte perché la didattica non può e non deve essere prescrittiva perché deve la sua efficacia alla generatività con cui il singolo insegnante concepisce e gestisce l’ambiente di apprendimento in cui si trova ad operare.

Da ultimo va ricordato che la situazione in cui studenti e studentesse vivono in questo momento di emergenza offre, comunque, molte occasioni di apprendimento significative e importanti per cui lo studente anche se lasciato solo dalla scuola ufficiale non è deprivato di stimoli che lo fanno crescere. L’insegnamento a distanza potrebbe favorire la sistematizzazione di questi apprendimenti informali , non prevedibili e non inseribili in alcun curricolo.

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